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 2016  aprile 27 Mercoledì calendario

VI RACCONTO IL MIO INFERNO– [Fabrizio Corona] MILANO – APRILE Corona, ci crede ancora nella giustizia? «Oggi credo nuovamente nella giustizia e nelle persone che ricoprono ruoli importanti nella magistratura italiana»

VI RACCONTO IL MIO INFERNO– [Fabrizio Corona] MILANO – APRILE Corona, ci crede ancora nella giustizia? «Oggi credo nuovamente nella giustizia e nelle persone che ricoprono ruoli importanti nella magistratura italiana». Sono passati oltre mille e duecento giorni da quando Fabrizio Corona ha rilasciato le sue ultime dichiarazioni pubbliche alla stampa. Era su un volo Lisbona-Milano. Aveva le manette strette ai polsi. Era un latitante tratto in arresto dall’Interpol. Aveva gli occhiali a goccia con le lenti azzurre, i capelli lunghi, la barba incolta, il giubbino di pelle e la sua solita sicurezza di chi non sarebbe caduto mai. Quando quel volo ha sfiorato il suolo italiano però la vita di Fabrizio si è trasformata. Corona è diventato prima un detenuto del carcere di Busto Arsizio (per poche settimane); poi un detenuto destinato al reparto di Alta Sicurezza nel supercarcere di Opera per due anni e dieci mesi. Sulla sua testa pendeva una condanna a oltre quattordici anni e due mesi. I reati? Estorsione, bancarotta, corruzione, eccetera. Una vita, forse, spezzata. «Io però non ho mai mollato», dice Fabrizio a denti stretti. Quei denti che non sono più i suoi per via della “galera”. Corona vede la luce il 18 giugno del 2015. Libero perché tossicodipendente (alcool, droga, sesso e denaro). Libero per un disturbo narcisistico della personalità. Libero, ma in comunità. A Lonate Pozzolo da Don Mazzi dove ha trascorso quattro mesi. Poi il ritorno verso la via di casa, verso la vita. Ma Corona ha una restrizione: “Gli è vietato di rilasciare dichiarazioni e di usare i social network come mezzo di comunicazione”. Cosa rara, in tutta Europa, per un detenuto. Ma Corona è Corona. Oggi però Fabrizio ha un permesso speciale e ha deciso di usarlo scegliendo di parlare per la prima volta con “Chi”. Corona, la sua latitanza era programmata? «No. È stato un gesto impulsivo. Quella mattina del 18 gennaio 2013 avevo deciso di aspettare la sentenza della Cassazione in modo sereno. Intorno alle 10 del mattino sono uscito di casa e ad aspettarmi c’erano due volanti. Mi pedinavano. Ma la sentenza sulla mia condanna l’avrebbero emessa verso l’ora di pranzo. Una cosa strana. Così ho chiesto: “Come mai siete qui?”. E loro: “Corona, oggi c’è la sentenza”. In quelle parole avevo già previsto tutto: condanna e arresto immediato». Quindi decide di fuggire? «Ho chiamato il mio autista e gli ho chiesto di presentarsi all’uscita secondaria della palestra. Così sono entrato, ho salutato tutti e sono uscito dal retro. In poche ore ero in autostrada. Ascolto alla radio la notizia della mia condanna definitiva a cinque anni. Quindi voleva dire carcere. Allora, ho impostato il navigatore con destinazione Portogallo». Ripeto: lei aveva previsto la latitanza? «Non volevo che la mia vita finisse in galera. Ho cercato una soluzione. Volevo salvarmi. Follia pura. Avevo paura». Mentre l’Interpol la cercava, lei che cosa ha fatto? «Ho viaggiato quattro giorni senza mai fermarmi fino al mio arrivo in Portogallo. Una volta arrivato là sono entrato in un bar e mi sono collegato a Internet per cercare qualche news su di me. Tutti i media parlavano del latitante Corona. Non mi ero reso conto di aver combinato la più grande “coronata”». Perché il Portogallo? «Alcuni amici mi avevano spiegato che l’ordinamento giuridico portoghese lasciava qualche speranza ai condannati in caso di estradizione». L’hanno beccata subito? «No. Mi sono consegnato spontaneamente». Prima l’hanno mandata a Busto Arsizio, poi a Opera. Reparto Alta Sicurezza. Corona detenuto: immaginava già tutto? «No. Nessuno può capire che cos’è il carcere se non lo ha vissuto pienamente e duramente. Non era una semplice custodia cautelale la mia. Era una condanna definitiva. In totale quattordici anni e due mesi». Racconti. Innanzitutto perché lei era un detenuto A.S. (Alta Sicurezza)? «Ero un detenuto sorvegliato in modo speciale per via della mia popolarità. Da quando sono uscito dal carcere non ho mai raccontato la mia vita tra le sbarre. Piovo vergogna, mi fa male, il ricordo lacera la mente e il cuore. Lo fa sanguinare. Di notte però mi capita spesso di svegliarmi all’improvviso e di non credere che sia finita. Posso solo dirle che in galera mi è successo di tutto. L’inimmaginabile. Non è stata una semplice detenzione». È vero che l’hanno picchiata e ha perso i denti? «Andiamo avanti...». Tre anni di galera racchiusi in così poche righe. Dov’è finito il Corona che conosciamo tutti? «Non ho più bisogno di apparire per quello che non sono. In cella ho diviso il sonno con diversi compagni. Fare i nomi e raccontare le condanne, viola il codice della “galera” e dei detenuti. Posso dirle che l’ultimo mio compagno di cella si chiamava Carlos, peruviano. Carlos, ha capito? Come mio figlio. Mi ha dato forza». Fabrizio, lei timido? Lei che non parla? Ripeto: dov’è finito il vecchio Corona? «I primi due anni li ho trascorsi chiuso in cella. Ventidue ore al giorno in una cella di tre metri quadrati. Ho imparato il codice penale a memoria». Si è scritto che ha trascorso notti in lacrime. Che abbia tentato il suicidio... «Falso. Mai una lacrima. Mai pensato di togliermi la sacra vita che in quelle condizioni diventa ancora più sacra». Dopo due anni di galera si è integrato? «La mia integrazione era un percorso non fattibile. Non ho mai accettato con me stesso il fatto di essere un detenuto. Mi guardavo dall’esterno e non mi consideravo tale. Ho evitato tutto, ho evitato la vita comune nella galera. Mi sono creato un mio mondo parallelo fatto di libri, quotidiani, tv, palestra in cella e la mia inseparabile radiolina. Era accesa ventiquattro ore su ventiquattro. Mi permetteva di estraniarmi dal mondo interno volando verso l’esterno. E viaggiavo con la fantasia dialogando anche con chi c’era dall’altra parte, ma che non poteva sentirmi». Quando ha visto suo figlio Carlos per la prima volta in galera, come ha reagito? «È successo dopo oltre un anno di detenzione. Lo ha portato quella santa donna di mia madre Gabriella. È stata un’emozione fortissima. L’ho lasciato bambino, l’ho ritrovato un ometto. Mi ha stretto forte. E mi ha dato la forza di andare avanti. Mi ha detto: “Papà, ci sono io qui per te”. Aveva capito tutto. Per la prima volta mi sono sentito come se le parti fossero invertite: lui il padre e io suo figlio. Per la prima volta non ero più solo al mondo». Intanto le condanne aumentavano e la libertà ormai era un miraggio. Sarebbe riuscito a resistere quattordici anni? «La mia rinascita è iniziata quando ho incontrato, per caso, l’avvocato Ivano Chiesa. Insieme abbiamo affrontato in tre anni quasi trenta processi. Mi ha salvato. Oggi è il mio più caro amico. Quattordici anni? No, non avrei resistito. Fisico e mente mi avrebbero lasciato. Tragga lei il significato di queste paiole dure, ma vere». Mentre era in galera in molti (da Travaglio a Celentano, da Grillo a Costanzo) si sono spesi per lei avanzando una richiesta di “grazia” pubblica. Lei come reagiva da dentro? «Li ringrazio nuovamente. Ma ognuno lo ha fatto con ragioni diverse. Celentano con il cuore ed è stata la più bella sorpresa. Quel giorno stavo pulendo la cella. Passa lo “spesino” (colui che si occupa della lista della spesa per i detenuti, ndr) e mi urla: “Celentano ha chiesto la grazia per te”. E io: “Dai non dire cazzate”. Accendo il Tg5 ed ero tra le prime notizie. Ho pensato davvero: “Dio c’è”. Poi Beppe Grillo ha usato la testa. Ha studiato le carie e ha capito la mia causa. Marco Travaglio, invece, si è fermato sul tecnicismo e ha proiettato nella mia causa il suo livore per Berlusconi che era stato assolto da poco. In breve: “Assolto Silvio, giusto che assolvano anche Corona”». Ha dimenticato Costanzo? «No. Merita un capitolo a parte. Maurizio era legato a mio padre Vittorio. Lui nutre affetto per me. In questi anni ho ricevuto proposte per rilasciare la mia prima intervista da chiunque: Vespa, Giletti, la D’Urso, Floris, Formigli... ma Costanzo è una scelta di cuore e sarò onorato di essere al Maurizio Costanzo Show per la prima volta in video dopo quattro anni di assenza». In carcere dove trovava la forza di resistere? «Ho sempre vissuto immaginando il giorno della mia uscita. Nella parete sopra il tavolino della cella, avevo creato un collage con le foto e i ritagli di giornali che parlavano del mio mondo, quello dove io ero stato cancellato. I protagonisti dei ritagli erano quelli che avevano vissuto la mia vita precedente». Fuori i nomi! «C’erano politici, conduttori, soubrette, calciatori e addirittura una foto gigante di mister Antonio Conte». Perché Antonio Conte? «Lui è un uomo simbolo. È la dimostrazione che con il cuore e la grinta puoi arrivare dove vuoi». Ha parlato di soubrette, sta parlando della sua ex Belen Rodriguez. Dunque ha seguito l’evolversi della sua vita? «Certo. Ho visto le sue nozze a Verissimo e le ho lette su “Chi”. L’ho vista diventare moglie, mamma e ho visto l’evolversi della sua carriera. Negli alti e nei bassi. Ho seguito il tutto con molta, molta indifferenza. Io e Belen oggi siamo due persone completamente diverse da quelle che si erano amate follemente e che avevano fatto della loro storia un romanzo nazional popolare con molti pro e pochi contro. Un amore che non distingueva più la realtà dalla fiction». L’ha mai incontrata? «No». E se dovesse vederla? «Le direi: “Ciao Gorda”». Sa che si è separata? «Perché si è mai lasciata (ride, ndr)?». Il sesso le è mancato? «In quelle condizioni si azzerano tutti gli stimoli». La prima cosa che ha fatto appena uscito dal carcere? «Mi sono fermato in autostrada, ho guardato il cielo e ho vomitato. Poi mi sono fatto una sana scopata». Dopo il carcere è stato affidato alla Comunità di Lonate Pozzolo di Don Mazzi. Che ricordo ha? «Finalmente ho dormito in un letto. Avevo lenzuola pulite e alberi intorno e soprattutto c’era mio figlio Carlos». Si è scritto: Corona in libertà non è cambiato. «Oggi sono un detenuto in affidamento ai servizi sociali. L’unica persona a cui devo rendere conto è il mio magistrato. Tutto ciò che faccio è in linea con regolari permessi e il massimo rispetto della legge. Chi scrive, chi parla, chi si riempie la bocca non ha mai studiato né il mio caso, né il codice penale». Corona, ha più sentito Lele Mora? «L’ho incontrato in un ristorante milanese. L’ho abbracciato con forza. Ci vogliamo ancora molto bene. La galera cancella i rancori. Alcuni». Con Nina Moric come vanno le cose? «Preferisco non parlarne. La situazione non è facile. Ma mio figlio Carlos sta bene». Che cosa ne pensa del gossip oggi? «Il gossip? È morto il giorno del mio arresto». Guarda la tv? Nessun personaggio la affascina? «Oggi in tv non c’è niente. Nell’era dove Simona Ventura viene eliminata da due sconosciuti nel programma che lei ha creato e poi s’indigna se da naufraga subisce i trattamenti che lei ha offerto a tanti e tanti naufraghi e alle loro famiglie, beh, significa che la tv ricicla un passato che non c’è più. Salvo solo Maria De Filippi, che è l’unica innovatrice». Un’ultima domanda: perché non lo ha nominato mai? «Perché mi fa male». Non lo ha mai sognato? «Ho sognato mio padre Vittorio quasi tutte le notti. Era con me. Mi proteggeva. Era come se fosse lì. Mi ha salvato, sostenuto, dato forza. Una forza inspiegabile. Lui c’era». È mai andato a trovarlo al cimitero? «No. Mai. Per pudore, per vergogna, per paura di averlo deluso».