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 2016  aprile 22 Venerdì calendario

TRA LAVORO, LICENZIAMENTO E OSCENITÀ

Beltrami – il sindacalista della Uil – mi aveva avvertito: «Guardi, dottore, che la signora Fanti non verrà, l’ho consigliata io, c’è troppa rogna fra lei e il suo ex-datore di lavoro, rogna vecchia… meglio così, mi creda… poi la rappresento io, no?».
«D’accordo, Beltrami… dovrò avvertire l’azienda…».
«Lo sa già, lo sa già il sig. Doni…».
Così comincia, a tre, il tentativo di conciliazione. Motivo del contendere: il licenziamento in tronco della lavoratrice. Erano tempi, allora, in cui il licenziamento era sempre possibile, ciò che variava era l’ammontare dell’indennità di licenziamento, da concordare, appunto, per evitare che il lavoratore licenziato adisse il giudice.
Ci sediamo al tavolo. Inutili le presentazioni, ci conosciamo tutti. Apro il fascicolo… e si apre anche la porta. Inaspettata entra la signora Fanti. «Buongiorno» e si siede, tranquilla, al tavolo, giusto di fronte al sig. Doni. Siamo tutti sorpresi. Lei non aggiunge parola, ma guarda solo, interrogativa, negli occhi, come a dire «Cominciamo?».
Io sono alle prime armi del mio mestiere di conciliatore, ma mi rendo conto di essere da solo a dirigere quella che si annuncia una “danza”. Beltrami, il vecchio sindacalista, non mi aiuterà per certo e, a fronteggiarsi, Doni – sessantenne odoroso di colonia, con gli occhi stretti a ostentare indifferenza – e la Fanti, una quarantenne calma e decisa, con qualche filo bianco tra i capelli.
Così comincio: «La signora Fanti, qui assistita dal signor Beltrami, contesta il licenziamento, che ritiene ingiustificato, ed è disposta a rassegnare le dimissioni a fronte di una liquidazione di lire seicentomila (era il 1962)…».
«Ma per carità…» interrompe e piagnucola il Doni «ma se l’ho sempre trattata come una figlia… poi si è messa a rompere le scatole! Con gli altri… adesso vogliono anche la mensa…».
Nel silenzio, con voce fonda, pesante e scandita, la Fanti: «Sta zitto…, porco, che mi hai rotto il culo che non avevo ancora quindici anni…».
Restiamo, tutti, raggelati. Non è un’oscenità quella che ci è caduta addosso, è un macigno, una pietra tombale sulle speranze di convivenza fra l’uomo e la donna. Mi sento un verme, per la mia appartenenza al genere umano, per il mio quotidiano aggirarmi fra quest’umanità oscena (questa sì), dove chi può non sa resistere alla tentazione di prevaricare e umilia, godendone sul momento e, poi, rientrando nell’indifferenza.
La vertenza si conclude subito, conciliata al livello più alto.