Enrico Camanni, La Stampa 24/4/2016, 24 aprile 2016
RICHARD PARKS SFIDE POSTMODERNE PER SENTIRSI VIVI
È un libro che interesserà i patiti di sport e annoierà i pigri e i sedentari, anche se forse dovrebbe essere vero il contrario. L’autore di Oltre l’orizzonte (Newton Compton, pp. 279, € 12,90) è Richard Parks, il campione gallese di rugby che in seguito a un incidente di gioco si è convertito in alpinista e maratoneta, scalando le sette vette più alte dei sette continenti e raggiungendo in tempi da record i Poli della Terra. Si fatica a stargli dietro anche sulle pagine.
Parks è il perfetto interprete contemporaneo di qualcosa che si può chiamare efficienza fisica e adattamento performativo, o bisogno di misurare sé stessi, raggiungere il limite, soffrire per annientarsi e rinascere. Parks è il capofila di quei milioni di persone che corrono ogni giorno, pedalano, scalano e vogano disperatamente, non per vincere qualcosa, ma per sentirsi vivi. La fatica e il sacrificio sportivo danno un senso a milioni di vite troppo organizzate e ripetitive per averne uno, finché l’adrenalina e le tossine da sforzo diventano compagne inseparabili, la dipendenza quotidiana, e non si può più farne a meno.
È molto contemporaneo e molto occidentale questo faticare per compensare un senso di vuoto. In molti di noi c’è un eccesso di energie che va disperso sotto forma di sport, inseguendo i propri limiti in un mondo che sembra non averne più, misurando resistenza fisica e forza di volontà in luoghi dove la resistenza e la forza sono ancora necessarie, anzi determinanti, perché nessuna macchina è chiamata a supplire. Nel libro di Parks si scopre che non c’è più quell’incolmabile distanza tra lo stadio da rugby e le seraccate dell’Everest o del Denali; ogni luogo è ormai popolato e addomesticato; la vera avventura è sempre più personale, interna al corpo, in una cornice naturale accessoria.
Pochissimi, affrontando queste sfide postmoderne, si sentono esploratori. Molti altri hanno già esplorato per loro, tutto è mappato, precisi mansionari prescrivono i tempi e i modi della ripetizione. Le uniche ricognizioni possibili, a meno di lasciare le piste battute, sono quelle dentro sé stessi.
Enrico Camanni, La Stampa 24/4/2016