Carlo Federico Grosso, La Stampa 24/4/2016, 24 aprile 2016
CORRUZIONE, L’ANM EVITI LE RICETTE MORALI
Che i politici (non tutti ovviamente, ma una parte di essi) non abbiano mai smesso di rubare e che i politici corrotti oggi abbiano addirittura smesso di vergognarsene mi sembra pacifico.
è sufficiente pensare che ai tempi di Mani pulite anche soltanto l’ombra di un avviso di garanzia per corruzione copriva di ludibrio e spingeva alle dimissioni, mentre oggi rinviati a giudizio e condannati continuano tranquillamente ad operare nei luoghi della politica.
Che la corruzione, anziché diminuire, dal 1992 sia aumentata, e sia peggiorata la sua qualità, mi sembra una realtà altrettanto incontestabile: nel 1992 una parte rilevante di coloro che avevano percepito tangenti lo aveva fatto per il partito, mentre oggi la tangente è di regola accettata in chiave di guadagno personale.
Se Piercamillo Davigo, nella sua intervista dell’altro ieri, ha inteso, come mi sembra, esprimere questi concetti, ha enunciato cose delle quali una parte consistente degli italiani è assolutamente convinta. Avrebbe detto – me lo consenta l’illustre magistrato – quasi una banalità.
E’ altrettanto incontestabile, mi sembra infine, che i magistrati, come tutti i cittadini, abbiano il diritto di interloquire sui problemi intervenendo nel dibattito culturale e politico-istituzionale. Per cui affermare in assoluto che essi devono «esprimersi soltanto con le sentenze» è una sciocchezza, poiché impedirebbe a un’intera categoria di persone di manifestare le proprie idee.
Il punto è tuttavia un altro. Davigo non è, oggi, un magistrato qualsiasi, sia pure importante; è il presidente dell’Anm, associazione ufficialmente deputata ad interloquire con il mondo della politica sui temi della giustizia. E chi esercita un ruolo di tale natura deve sapersi autolimitare nelle parole: per non rischiare di suscitare confusione fra posizione personale e posizione ufficiale dell’organizzazione rappresentata e per non creare artificiosamente tensioni e contrasti che potrebbero nuocere ad una proficua dialettica fra giustizia e politica.
C’è poi un ulteriore profilo che merita attenzione. E’ giusto che l’Anm manifesti idee e suggerisca modifiche anche legislative, purché non esorbiti dai suoi compiti, purché si tratti cioè di idee e di proposte che riguardino i problemi della giustizia e della magistratura. Guai se tale associazione pretendesse di ergersi, a tutto campo, a censore delle immoralità pubbliche o private altrui, quasi che esistesse una magistratura sempre buona in grado di valutare e censurare una politica od una società civile sempre cattiva. Buoni e cattivi, com’è naturale, esistono dappertutto.
Ma non solo. Qual è la funzione della magistratura nei confronti del malaffare? Rispondere è semplice: la magistratura è chiamata a reprimere singoli casi che costituiscono reato, e null’altro. Non è sicuramente chiamata a fornire ricette morali o a risolvere questioni deontologiche non proprie, come non è, altrettanto certamente, chiamata ad affrontare, sul terreno politico, il tema generale della prevenzione contro la corruzione. Quest’ultimo è tema di specifica competenza politica.
E’ stato ripetutamente osservato, soprattutto in questi ultimi anni, che la repressione della corruzione da sola non è sufficiente, poiché essa colpisce a posteriori, in modo casuale e quando i danni sono già stati prodotti. A fianco della repressione deve essere pertanto articolato, e soprattutto fatto funzionare in concreto, un adeguato sistema di prevenzione anticrimine.
La politica su questo terreno ha già assunto alcune iniziative importanti (Legge Severino, Autorità Anticorruzione). Affronti ora a tutto campo la questione, introducendo ulteriori, essenziali innovazioni legislative, ma soprattutto operando sul terreno della concreta organizzazione dei meccanismi di prevenzione. E si assuma fino in fondo le relative responsabilità, magari rinunciando a delegare a questo o a quel magistrato funzioni amministrative che dovrebbero, ragionevolmente, essere garantite da personale governativo o amministrativo, quasi che nelle pubbliche amministrazioni non esistesse nessuno in grado di assicurare rigore, trasparenza ed onestà.
Che dire, infine, del coro di reazioni negative all’intervista di Davigo (e non soltanto da parte di una porzione consistente del mondo della politica, ma anche di un certo numero di magistrati)? Era inevitabile che accadesse: «politicamente», l’ho già detto, egli ha commesso un errore e sarà opportuno che, finché rivestirà la carica di presidente, stia attento a dosare parole e concetti. La mia stima e simpatia per il personaggio rimangono comunque intatte.
Carlo Federico Grosso, La Stampa 24/4/2016