Guido Ruotolo, La Stampa 24/4/2016, 24 aprile 2016
SANGUE, PISTOLE, DROGA E OMERTÀ LA CITTÀ OSTAGGIO DEI BOSS RAGAZZINI
Una pioggerellina insistente, fitta. Il silenzio irreale di un mercato all’aperto, inanimato, che propone ogni mercanzia. Si rivedono i «bancarielli» di sigarette di contrabbando, anche di marche mai incrociate prima. La «bolletta» che va per la maggiore è quella del tre a uno per il Napoli contro la Roma, con il primo gol di Higuain. Paga quasi cinquecento euro contro i cinque del costo della giocata.
C’è un senso di morte che pervade il quartiere, Rione Sanità. La piazza. Viene da sorridere nel vedere quel mezzo fuoristrada di «Città sicure», con i soldatini armati di mitra davanti alla chiesa del Rione.
Inutile, purtroppo. Come ha dimostrato l’agguato dell’altra sera davanti al circolo ricreativo di via Fontanelle, a duecento metri dalla piazza. Ora sembra che sia stato un solo killer con il palo, che guidava lo scooterone, ad aprire il fuoco uccidendo il boss del clan Vastarella, un suo complice e ferendo altre tre persone del clan.
Giuseppe Montesano scrive nel suo commento in prima pagina sul Mattino: «La camorra sembra rigenerarsi dal proprio stesso sangue». Sono gli spazi vuoti che vengono riempiti. Anche con l’uso della violenza assassina. Clan decimati dalle guerre per il controllo del mercato della droga. Arresti e pentimenti. Gli spazi vuoti vengono occupati da nuove leve sempre più agguerrite e senza regole.
Chissà perché, ma questo clima, il silenzio, la pioggia, l’odore di sangue fanno rivivere la città ai tempi di Curzio Malaparte e de «La pelle». Il fatalismo, le tinte grigie, la sfiducia, il pessimismo di una generazione che ha vissuto con la guerra.
Nella chiesa che si è trasformata nella «piazza» della democrazia e della legalità, non c’è il «popolo», lo stesso che all’indomani dell’uccisione di una vittima innocente, Genny Cesarano, il 6 settembre scorso, diede vita a una straordinaria testimonianza di senso civico. Diecimila persone sfidarono la storia del loro quartiere.
Oggi sembrano rivoluzionari in clandestinità. Si riuniscono in sagrestia, i preti delle periferie del mondo, di un mondo che si chiama Napoli con le sue periferie che sono i quartieri della città negata: Sanità, Forcella, Secondigliano, Quartieri spagnoli, San Giovanni a Teduccio. Tra i parroci di questi quartieri c’è anche il missionario Alex Zanotelli. Che rievoca similitudini con altri Paesi di continenti lontani: «È vero, Napoli può essere la Medellin del Mediterraneo che oggi sta precipitando in una sanguinaria guerra tra clan per il controllo del mercato della droga. Con i suoi vecchi boss in carcere, sono ragazzini quelli che sparano all’impazzata».
«Nessuno ha visto nulla – dice amareggiato l’uomo di Chiesa –. Il popolo della Sanità deve ricominciare a parlare». Antonio ascolta. È il papà di Genny Cesarano, vittima innocente della guerra tra clan: «La nostra vita è distrutta. Lo Stato continua ad essere assente, dovrebbe investire nel futuro delle nuove generazioni. Quando si cresce senza prospettive, senza istruzione, senza scuole, le nuove generazioni sono già condannate in partenza. Oggi, le famiglie che vivono la crisi non hanno soldi da investire per mandare i figli in piscina o a ripetizioni. Noi siamo dalla parte dello Stato, ma ci vogliono soldi. Questa chiesa fa quello che dovrebbero fare le istituzioni. Dopo la repressione, ci vuole il pane».
Riflessioni sagge, di un padre addolorato. Si affacciano il vicesindaco di Napoli, la combattente assessore Alessandra Clemente che ripete a ciascun interlocutore di essere sconvolta per la «città armata»: «A Napoli girano troppe armi. Bisogna intervenire». Valeria Valente, candidata Pd a sindaco di Napoli ricorda il parente, l’amica che viene a fare le condoglianze a casa del morto.
È Napoli ferita a morte che non sembra avere la forza di rialzarsi. I parroci dei quartieri del disagio all’indomani della morte di Genny, il 6 settembre scorso, diedero vita al movimento «Un popolo in cammino». Il parroco di Forcella, don Angelo Berselli, portavoce del movimento che ha aggregato tutte le sigle possibili e immaginabili, persino i centri sociali duri e puri, precisa: «Siamo costretti a fare un mestiere che non è il nostro: dare voce a un popolo che nessuno ascolta. Se vogliamo eliminare la camorra, dobbiamo recidere le radici. E dunque occuparci della cultura».
Guido Ruotolo, La Stampa 24/4/2016