PIERO IGNAZI, la Repubblica 24/4/2016, 24 aprile 2016
L’ORA DEL TRAMONTO SU FORZA ITALIA
Forza Italia è arrivata all’ultima spiaggia: queste elezioni saranno decisive per la sua evoluzione (improbabile) in senso moderato o una abdicazione alle spinte radicali dei nuovi, giovani leader del centrodestra, Salvini e Meloni.
La crisi in cui è precipitata Forza Italia dipende anche dal suo codice genetico, dall’essere nata “contro”, in antitesi a tutto: ai partiti tradizionali, e in primis alla sinistra, alla magistratura, ai poteri forti, all’Europa e così via. Oggi che il nemico per antonomasia, “i comunisti “, ha cambiato pelle e sfugge alle demonizzazioni del passato, il partito del Cavaliere si sta afflosciando. Solo con una polemica aggressiva verso l’esterno poteva compensare l’assenza di un progetto compiuto. Ma l’inebriante, stordente caleidoscopio di immagini e slogan ha lasciato il nulla dietro di sé. Certo, anche l’aver portato il paese sull’orlo della bancarotta nell’estate del 2011 gli ha alienato le simpatie di coloro che avevano creduto ai “nuovi miracoli economici”.
L’agonia di Forza Italia inizia con l’uscita di Berlusconi da Palazzo Chigi. Solo il disastroso esito del Pd alle elezioni del 2013 gli aveva ridato fiato. Ma non poteva durare: non poteva prosperare sulle disgrazie altrui. Il governo Letta era un incidente di percorso transitorio. Il Cavaliere non aveva capito che il M5S gli aveva tagliato l’erba sotto i piedi raccogliendo quel risentimento antipartitico che nel passato fluiva verso destra. E poi iniziava il rinnovamento del Pd che portava a galla una nuova classe dirigente, di cui il segretario era l’emblema, del tutto immune da quell’impasto di attrazione-repulsione che aveva imbrigliato tanti leader di sinistra.
La caduta di Forza Italia era nelle cose da anni: nella perdita di un elettorato ormai disincantato e lasciato senza messaggi mobilitanti sia in negativo che in positivo, nella crescita di avversari esterni (il Movimento 5 Stelle) e interni (la Lega), nello svincolarsi del Pd da ogni seduzione/soggezione. La gestione dell’elezione di Mattarella ha dato il colpo finale alle illusioni di poter ancora giocare un ruolo nella politica italiana. Ora all’interno di Forza Italia si sta recitando la classica scena della spartizione delle spoglie del leader sconfitto. I commensali- cannibali vogliono tutti una loro porzione. C’è chi chiede di ritornare gagliardamente all’opposizione, come se nulla fosse successo e i comunisti scalpitassero alle porte; chi cede alla logica dei numeri e invoca uno schieramento unitario con i pur irrispettosi alleati; chi invoca una corsa solitaria all’insegna di una inedita moderazione, stile Parisi. Qualunque sia la direzione che prevarrà, Forza Italia è comunque arrivata al capolinea. Il partito che abbiamo conosciuto, dipendente in tutto e per tutto dal suo capo, non esiste più. Eppure un elettorato di destra pavlovianamente ostile alla sinistra esiste ancora, e aspetta solo un contenitore e una guida per poter tornare a votare. Il piccolo travaso di consensi a Renzi nelle ultime elezioni europee (meno di mezzo milione di voti) dimostra che lo smottamento non va a beneficare il Pd; semmai rifluisce verso la Lega o verso i 5Stelle, offerte politiche più fresche e vigorose nei loro appelli anti-politici.
Le prossime elezioni amministrative saranno quindi molto più importanti per la destra che non per il Pd. Mentre Renzi dovrà, al massimo, rimediare a qualche ammaccatura, Fi potrebbe trovarsi relegata in fondo, distanziata dalla Lega al centro-nord, e travolta dalla Meloni a Roma. Anche una ipotetica vittoria di Parisi, ultima àncora di salvezza del partito, andrà calibrata sul voto alle liste per capire quale sia il contributo rispettivo di Lega e Forza Italia.
Il tramonto della formazione di Berlusconi ripropone un tema antico della politica italiana: l’assenza di un partito di destra conservatrice o liberale. Forza Italia non è stata né l’uno, né l’altro. Ha preferito insistere sul tasto del populismo e dell’antagonismo. Del resto, il suo elettorato era ben lontano da quello propagandato e supinamente veicolato dai media: non votavano per Berlusconi i ceti produttivi, bensì le masse di pensionati, casalinghe e lavoratori con bassa qualificazione, tutti con intensa esposizione televisiva. Con questo elettorato era difficile promuovere una rivoluzione liberale: più semplice ed efficace agitare paure e creare illusioni.
Ora che l’avventura berlusconiana si sta esaurendo c’è uno spazio virtuale per imprenditori politici che abbandonino i cliché del passato e costruiscano una diversa offerta politica moderata. In questo contesto, l’esito di Milano sarà importante, molto più della disfida romana.
PIERO IGNAZI, la Repubblica 24/4/2016