ETTORE LIVINI, Affari&Finanza – la Repubblica 25/4/2016, 25 aprile 2016
TRAGEDIA GRECA, IL SECONDO ATTO SUI MERCATI: RITORNA LA PAURA DI GREXIT
MILANO – Bruxelles contro Fmi. I falchi del rigore e la Germania contro il Club Med della Ue. Atene contro tutti. La crisi della Grecia, sparita per qualche mese dai radar della cronaca, riaggiorna il suo copione – complicato da crisi dei migranti e frizioni tra creditori – e prova a rubare alla Brexit l’Oscar di primavera per la tempesta perfetta nel Vecchio Continente.
Il protagonista è sempre lui, Alexis Tsipras. Impegnato nei prossimi giorni nella partita decisiva per salvare il paese – un dejà vu – e per non gettare alle ortiche l’esperienza politica di Syriza. Di fronte ha un match in tre tappe, iniziato (bene) venerdì scorso all’Eurogruppo e destinato a proseguire questa settimana, forse giovedì, con un nuovo vertice Ue. Il primo obiettivo è lo stesso di sempre: trovare un’intesa con l’ex Troika che consenta di sbloccare una nuova tranche di aiuti necessaria per pagare 3,5 miliardi di prestiti in scadenza a luglio ed evitare il default.
La seconda sfida, tutta interna, sarà quella di far digerire al suo partito e alla coalizione di governo l’ennesima dolorosa riforma alle pensioni (la dodicesima della serie) e gli 1,8 miliardi di nuove tasse necessari per convincere Ue, Bce e Fmi ad aprire i cordoni della Borsa.
La terza, per lui la più importante, è la battaglia per la ristrutturazione del debito. Lo zuccherino che gli consentirebbe di addolcire la pillola amara rifilata al paese con questo nuova dose d’austerity, nella speranza che la ripresa dell’economia nel 2017 – quando il Pil dovrebbe crescere del 2,7% – gli consenta finalmente di fare davvero qualcosa di sinistra.
Il braccio di ferro con l’ex-Troika. La partita greca, come al solito, corre sul filo dell’incertezza. E i tassi dei bond, con i rendimenti del biennale risaliti la scorsa settimana all’11% (erano al 6% a marzo), sono la prova lampante di come i mercati non abbiano esorcizzato del tutto il timore di Grexit. Il primo passo però, quello dell’intesa con i creditori sul nuovo piano di tagli, è forse questa volta il più semplice per Tsipras. Un’intesa di massima sulle nuove misure da adottare è stata raggiunta su quasi tutti i punti più spinosi: la riforma delle pensioni – con l’unificazione dei vari fondi previdenziali, la salvaguardia di quelle di base e il taglio di quelle "supplementari" pari a risparmi per quasi un miliardo – e quella fiscale. L’aliquota massima dell’Iva sarà rivista dal 23 al 24%, quelle Irpef saranno ritoccate all’insù assieme alle tasse sui giochi. Questo pacchetto, sommato a una tassa graduale di solidarietà sui redditi oltre i 12mila euro, garantirà allo Stato 1,8 miliardi di entrate in più all’anno.
Restano piccole divergenze sulla soglia minima esentasse – il governo l’ha abbassata da 9.550 euro a 9.091, i creditori la vogliono a 8.182 – ma Tsipras ha comunque calendarizzato in Parlamento le nuove norme senza l’ok dell’ex-troika, pronto a ritoccarle in caso di nuove intese entro il voto di inizio maggio. Il premier sa che questo passaggio è decisivo: gli interventi su tasse e pensioni sono il boccone più difficile da digerire per il paese e i parlamentari nell’ambito del nuovo piano triennale di tagli. Superato questo scoglio, buona parte dei 5,4 miliardi di austerity previsti dal terzo memorandum sarà stata approvata. E la strada del suo esecutivo, aiutato magari dalla ripresa del Pil, potrebbe essere forse un po’ meno in salita.
Il vero ostacolo al lieto fine sono le frizioni tra Ue e Fmi, i dottori che dopo sei anni al capezzale della Grecia (con risultati in realtà poco confortanti) si sono divisi sugli effetti di questa nuova cura. La Ue, che vorrebbe chiudere il negoziato con Atene prima del voto inglese, è convinta che queste riforme bastino a raggiungere l’obiettivo – un avanzo primario del 3,5% nel 2018 – fissato dal piano. Il Fondo sostiene che per centrare il target è necessario un forte taglio del debito ellenico (salito a 311 miliardi, il 176% del Pil) indigeribile per i tedeschi e i falchi del nord. E in alternativa – l’ipotesi di accordo che pare aver preso quota nelle ultime ore – pretende una sorta di clausola di salvaguardia: l’impegno di Atene a concordare preventivamente e approvare in aula 3 miliardi di nuovi tagli da attivare automaticamente se non saranno rispettati gli impegni di bilancio. Tsipras pare disposto a battere questa strada. Spiegando ai suoi concittadini che i tagli supplementari non saranno alla fine necessari perché l’economia va meglio del previsto: il pil 2015 è calato dello 0,3% contro il -2,3% previsto dalle istituzioni e l’avanzo primario è stato del -0,7%, meglio delle stime Fmi.
Tutte le spine di Syriza. Le discussioni di queste ore rischiano di essere l’ultima spiaggia per il premier ellenico (e per la Grecia) anche per un altro motivo: il rischio che Syriza si spacchi alla prova del voto sulle nuove misure. Il primo governo Tsipras è caduto l’estate scorsa dopo l’addio dell’ala radicale guidata da Panagiotis Lafazanis contraria alla firma del terzo memorandum. E il dibattito interno, dopo sei mesi di tregua, è tornato a surriscaldarsi ora che bisogna dire "sì" a nuovi tagli alle pensioni e ad aumenti fiscali. Un passaggio ad alto rischio e che non ammette defezioni visto che la maggioranza in Parlamento è di 153 deputati su 300. La spia dell’allarme si è accesa la scorsa settimana quando il "gruppo dei 53", la corrente di Syriza cui fanno capo il ministro delle finanze Euclid Tsakalotos e 11 parlamentari, ha pubblicato un documento estremamente polemico sulle trattative con i creditori.
Il manifesto chiede al presidente del Consiglio un cambio di passo deciso sul fronte del cosiddetto "programma parallelo", gli aiuti sociali alle fasce più deboli del paese promessi in campagna elettorale e malvisti (causa mancanza di copertura) dall’ex Troika. Il governo ha già dato via libera ad alcuni di questi provvedimenti malgrado i mal di pancia di Ue, Bce e Fmi, approvando la copertura sanitaria per tutti, buoni pasto e casa per le famiglie più povere. La minoranza però vuole di più. E ha chiuso la sua lettera al premier con una frase da brividi per i mercati: "Preferiamo cadere da eroi resistendo alla Troika e ai suoi alleati ellenici piuttosto che essere umiliati e spediti a casa dai greci ". E lo stesso Tsakalotos, per dire, ha sparato una salva preventiva annunciando che a suo parere la Grecia non può votare clausole di salvaguardia.
A turbare i sogni del premier ci sono pure i sondaggi. Il centrodestra di Nea Demokratia, grazie all’attivismo del neo leader Kyriakos Mitsotakis, viaggia tra i tre e i sette punti sopra Syriza. Non solo. A sinistra della formazione di Tsipras è spuntato un nuovo "cespuglio" – "Veleggiando verso la libertà" – guidato da Zoe Konstantopoulou, ex presidente della Camera in quota Tsipras, che potrebbe calamitare qualche parlamentare dal partito sfarinando la maggioranza. Cosa potrebbe fare in quel caso il Primo ministro? Mollare e portare il paese a nuove elezioni, ipotesi che circola da qualche giorno, oppure cercare di formare un governo di unità nazionale assieme ai socialisti del Pasok e a To Potami che stanno trattando una fusione.
La battaglia del debito. La madre di tutte le battaglie per Tsipras sarà però nei prossimi giorni quella per la riduzione del debito. Le possibilità di successo, su questo fronte, sono in deciso rialzo. Dopo le incomprensioni del 2015, la diplomazia del nuovo esecutivo e la (relativa) coerenza e tempistica con cui ha rispettato gli impegni hanno favorevolmente colpito persino un "duro" come Wolfgang Schaeuble. Non solo. L’Europa divisa tra profeti dell’austerità e i malumori del sud, Spagna e Portogallo in testa, sa che in questo momento non può consegnare la Grecia al caos politico. Nel paese sono bloccati 65mila migranti, Atene si è fatta carico con grandi sacrifici della gestione del dramma dei profughi, spesso in completa solitudine, salvo poi veder premiata la Turchia con un assegno da 3 miliardi contro i 700 milioni in tre anni stanziati per sostenere gli sforzi dell’esecutivo ellenico. E se al referendum vincesse il Brexit, molti osservatori temono che l’addio del paese all’euro – senza un’intesa con i creditori solida – sarebbe inevitabile.
Morale: tutti si sono convinti che per far quadrare i conti del Partenone è necessario rimettere mano al debito. Senza tagliarne la parte capitale, formula invendibile a Berlino, ma utilizzando il margine di manovra rimasto su scadenze e tassi. Le prossime ore sono decisive. I ministri delle finanze hanno dato mandato per mettere le proposte tecniche sul tavolo già al prossimo Eurogruppo. Poi potrebbe venire varato un pacchetto complessivo in grado di accontentare tutti: le riforme di Atene accompagnate dal "bonus" di tagli da 3 miliardi (oltre ai 5,4 già concordati) per placare l’Fmi. E un taglio soft dell’esposizione ellenica da consegnare come scalpo a Tsipras per placare il fronte interno. Un accordo fragile, ma pur sempre un accordo. L’alternativa, in caso di intoppi, è il ritorno dello spettro della Grexit sui mercati.
di ETTORE LIVINI, Affari&Finanza – la Repubblica 25/4/2016