Goffredo Buccini, Corriere della Sera 24/4/2016, 24 aprile 2016
«MIA SORELLA PALMINA, ARSA VIVA CERCO LA VERITÀ 35 ANNI DOPO»
I bambini infelici hanno poche foto. «Palmina ne aveva solo una, eccola», dice Mina che, pur maggiore, accanto alla sorella sembrava più piccola: «Era il compleanno di nostra madre. Qui Palmina lava i piatti, ha il vestito bagnato. Dieci giorni prima che la bruciassero». Giacomina Martinelli, «Mina», stipa nelle scatole dei ricordi un dolore vecchio quasi 35 anni che però ancora deborda, talvolta, popolandole d’incubi le nottate. Ha ritagliato tutti gli articoli sulla morte di Palmina, dal primo, una «ultim’ora», come si usava nei giornali a sera tarda, a quelli di adesso che il caso è, per merito suo, riaperto. Sul primo foglio ha aggiunto quella data maledetta, 11 novembre 1981, e due righe in stampatello: mia sorella viene data fuoco/ i miei sospetti sono i miei genitori… «Le ho scritte allora».
Fuma tanto, s’emoziona un po’: «Considero loro i primi responsabili, non penalmente, ovvio. Mia madre soprattutto. Poi vengono gli assassini. Perché se ‘sta gente non entrava in casa, non sarebbe successo nulla. A mia madre piaceva il lusso, ma eravamo poverissimi, me e Palmina ci hanno tenute anni e anni in orfanotrofio. Mi sono sempre domandata: ma i soldi da dove vengono? Mamma è morta, e certe notti le chiedo perdono per i sospetti che ho. Ma tra zii, cugini e parenti qualcuno sa, e adesso parli!».
Bisogna andarci cauti — anche negli incubi — con chi non può più difendersi. Capire il contesto. Undici figli, papà Mario disoccupato e sottomesso, mamma Madia domestica col vizio di bere troppo, questi erano i Martinelli quando tornarono sconfitti a Fasano, in Puglia, dopo gli anni da emigranti a Torino. Come accade a volte quando il familismo amorale si coniuga a una miseria che acceca, quasi nulla è ciò che appare nella storia di Palmina, arsa viva a 14 anni. A cominciare dagli imputati per il suo omicidio, due ragazzi del vicino paese di Locorotondo, fratelli per parte di madre, invischiati anche in giri di prostituzione: scagionati dalla Cassazione nel 1988, e dunque innocenti, definitivamente. Palmina, nei venti giorni di agonia in ospedale, ai medici che cercano invano di salvarla e al giovane pm Nicola Magrone, ne fa addirittura i nomi: «Enrico e Giovanni». Ne descrive l’opera crudele sul suo corpo: con «alcol e fiammifero». Bruciata per punizione, nel bagno di casa sua, perché non voleva prostituirsi anche lei come Franca, una delle sorelle maggiori, cui avevano persino tatuato il nome del «padrone» sulla carne. La voce della piccola, che Magrone incide nel magnetofono, un soffio roco che le sale dai polmoni devastati dal fuoco, è un atto d’accusa che risuonerà per anni: la vittima in punto di morte indica i carnefici, prova regina.
Invece no. Perché per i giudici d’assise e d’appello neppure l’omicidio è certo: forse Palmina ha calunniato quei due che le bazzicavano per casa (Giovanni Costantini s’atteggiava a suo fidanzato, Enrico Bernardi era il convivente di sua sorella Franca) e si è data fuoco da sola, scrivono, come fosse un capriccio; lo dimostrerebbe una lettera alla madre che lascia sul tavolo della cucina: addio per sempre. Ritirata da scuola in quarta elementare, sguattera in famiglia, presto forse schiava: la morte poteva apparirle una liberazione, chissà. Mina, che adesso vive con marito e figli a Napoli, ha altre certezze: «Aveva un anno meno di me ma sembrava più grande, più saggia. Fossi rimasta lì, avrei fatto la sua stessa fine». Già, la casa popolare dei Martinelli poteva apparire terra di conquista; di soldi per comprarsi figlie di famiglie povere a Fasano si mormorava da tempo, e persino di cifre, cinque milioni d’allora per una ragazzina. Prove, però, zero. Mina comunque si salva perché la mandano a servizio a Bari, «da una signora che mi ha fatto da vera mamma». Lì, alla radio, sente la notizia di una adolescente di Fasano bruciata...
Questa è una storia di ombre, omissioni. Palmina viene trovata piangente e ustionata dal fratello grande, Antonio, che non chiama l’ambulanza. Decide di portarla in ospedale con la sua macchina ma siccome è senza benzina va a piedi con una tanica al distributore lasciando lei sola a casa: ci mette quaranta minuti. Nessuno spiegherà mai perché. «Ho sempre voluto giustizia», dice Mina: «Io penso che la Cassazione ha sbagliato con quei due, ma comunque devo sapere se ci sono complici, dentro o fuori la famiglia. Voglio arrivare alla Corte europea. Solo mia sorella Carmela m’è sempre stata accanto. Accusavo mia madre: non hai fatto niente per Palmina. Lei rispondeva: lascia stare le cose come stanno. Mio padre era succube, non contava. Ora sono morti, ci sono io. E ho dentro tanta rabbia».
A volte la rabbia trova la sua strada per caso. Quando il figlio maggiore, Cristiano, va a lavorare in Inghilterra, Mina si decide a «imparare il computer» per scrivergli. Scopre le mail. E ne manda un paio anche alla sua trasmissione preferita, «Chi l’ha visto?». Quelli la richiamano, il silenzio di tanti anni si rompe. Mina trova un avvocato leccese, Stefano Chiriatti, che si muove, «non voglio stare in un Paese dove a una bambina succedono cose così». Una nuova perizia stabilisce che Palmina s’è coperta gli occhi al momento della fiammata, dunque non può essersi data fuoco da sola. Un test sulla calligrafia del biglietto d’addio mostra che le parole «per sempre» sono aggiunte e ritoccate da una mano non sua, forse Palmina stava solo preparandosi alla fuga. Non si parla più di suicidio, Brindisi riapre il caso. Archivia di nuovo, sì, ma il 30 marzo la Cassazione sposta il fascicolo a Bari ordinando alla procura di ricominciare daccapo. Per omicidio, contro ignoti. Vengono risentiti anche Giovanni ed Enrico, stavolta come testi: non si può essere imputati due volte per lo stesso reato. «Credo nell’aldilà. Palmina mi aiuta», dice Mina: «Quando dovevo andare in Puglia per la nuova indagine, beh, mi ha fatto vincere i soldi al Superenalotto. Non di più, che non mi servivano: giusto quelli del viaggio». Nelle sue notti affollate di demoni, comincia a far capolino qualche angelo, più saggio e grande dell’età che ha.