Francesca Basso, Corriere della Sera 24/4/2016, 24 aprile 2016
«CREATIVITÀ PER REPERIRE RISORSE NON ESCLUDIAMO I MIGRATION BOND» – «Abbiamo accolto con molto favore la proposta del premier Renzi
«CREATIVITÀ PER REPERIRE RISORSE NON ESCLUDIAMO I MIGRATION BOND» – «Abbiamo accolto con molto favore la proposta del premier Renzi. Il Migration compact crea un ulteriore terreno di discussione su un tema di importanza fondamentale per l’Unione Europea». Kristalina Georgieva ha apprezzato il pacchetto sull’immigrazione che l’Italia ha presentato la scorsa settimana. È vicepresidente della Commissione europea con delega al bilancio Ue: è lei che in questi mesi ha messo sul tavolo, con non pochi sforzi diplomatici, i fondi necessari per far fronte all’emergenza rifugiati. «La proposta italiana enfatizza la necessità di una soluzione europea ampia, condivisa e complessiva — spiega — e riconosce l’approccio che ha sempre avuto anche la Commissione Ue. Servono risorse per questa sfida». Alcune delle misure proposte dall’Italia sono strumenti finanziari che presuppongono il coinvolgimento del bilancio europeo. Gli Stati membri sono pronti? «C’è la proposta di raccogliere denaro facendo leva sul merito di credito dell’Europa, utilizzando gli Eu-bond, o Eu-Africa bond o Migration bond. Va analizzata con attenzione, anche se non sarà facile da accettare. L’idea è già stata avanzata in passato e alcuni Paesi reagirono in modo prudente, la Germania era ed è piuttosto riluttante. Ma tutti riconoscono, e anche Berlino è d’accordo, che dobbiamo essere capaci di raccogliere fondi collettivamente per garantire una risposta molto forte nei confronti dell’immigrazione in Europa e nei Paesi terzi. Dobbiamo fornire solidarietà a quegli Stati Ue che sono colpiti più direttamente dal fenomeno. L’Italia è uno di questi». Quanti fondi può mettere a disposizione l’Europa? «Abbiamo iniziato il 2015 con 4,5 miliardi di euro a disposizione per rifugiati e immigrazione legale presi dal bilancio europeo. Ora siamo a 10,5 miliardi, più del doppio ma il budget Ue ha delle limitazioni, non è possibile continuare con questa crescita. Dobbiamo mettere in pratica un approccio alternativo, come quello usato nell’accordo per i rifugiati con la Turchia: un terzo del denaro viene dal bilancio Ue e due terzi dagli Stati membri. Servono creatività e innovazione nel modo in cui raccogliamo i fondi». Negli ultimi mesi alcuni Stati Ue hanno mostrato una mancanza di solidarietà nell’affrontare l’emergenza migranti, in modo particolare di Paesi dell’Est. Ora è cambiato qualcosa? «Sono bulgara, provengo da un Paese entrato di recente nella Ue. La tradizione del mio Paese è stata sempre di ospitalità. Ma quando nel 2013 sono arrivati i rifugiati siriani, la reazione della popolazione è stata più cauta e in alcuni casi negativa. Il mio Paese ha vissuto dall’altra parte della Cortina di ferro con una piccola esposizione alle culture diverse. Questo aspetto si lega con il problema della sicurezza. Ho parlato con molti leader dei nuovi Stati membri e sta crescendo la consapevolezza che serve una soluzione europea, vedo maggiore interesse a partecipare fornendo competenze per proteggere i confini esterni e aumentando i contributi finanziari, preparando gradualmente la società a un atteggiamento più aperto verso gli immigrati legali e i rifugiati». L’Europa ha perso la propria capacità di integrazione? «Nessun Paese può essere preparato ad accogliere 1,8 milioni di persone senza uno choc. In Europa dobbiamo riconoscere che quello che ci sta succedendo è eccezionale e serve tempo per trovare il modo di reagire. Dobbiamo lavorare duramente per non permettere che la paura domini l’approccio. Sono d’accordo con papa Francesco quando dice che lo spazio per l’umanità va protetto. Abbiamo l’obbligo di lavorare per la pace e per la ricostruzione. Il 2015 è stato un anno record per l’Europa per gli aiuti umanitari per lo sviluppo: 68 miliardi, il 15% in più dell’anno precedente». In Italia c’è chi pensa che Bruxelles abbia trovato velocemente una soluzione per bloccare la rotta balcanica, a differenza di quanto fatto per i flussi del Mediterraneo. «Il movimento delle persone è un fiume che cambia la propria direzione: la prima rotta che abbiamo bloccato è stata quella che andava in Italia. Siamo intervenuti per rendere molto più difficile per i trafficanti portare le persone da voi, allora hanno preso la via dei Balcani. Ora è stata ridotta e c’è una preoccupazione legittima da parte dell’Italia che i flussi ritornino. Bisogna anticipare il cambio e agire insieme per ridurre il rischio di arrivi irregolari. La Libia è un Paese con enormi problemi. Un accordo come quello con la Turchia è molto più difficile da fare con la Libia, ma non è impossibile». Lei è copresidente del Panel di alto livello delle Nazioni Unite sul finanziamento umanitario. Che ruolo gioca la finanza? «Non ci sono più emergenze umanitarie a breve termine. Certo il terremoto in Ecuador rientra in questa categoria, ma l’80% delle persone che si trovano in una situazione di emergenza umanitaria vivono in un conflitto di lunga durata. Abbiamo bisogno di un aiuto più professionale di lungo termine per sostenere la ripresa e costruire la capacità delle comunità di reagire. In un mondo che produce 78 trilioni di dollari di Pil dobbiamo essere capaci di trovare 15 miliardi per l’azione umanitaria». In questo momento in Europa c’è anche un’emergenza sicurezza. La Ue sta facendo abbastanza? «Dobbiamo investire nell’integrazione. Sulla mia scrivania ho la foto di Patrizia Rizzo, l’italiana che ha perso la vita nell’attentato alla metro di Bruxelles: mi serve per ricordare quello che dobbiamo fermare e per farlo dobbiamo essere più consapevoli sulla sicurezza».