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 2016  aprile 24 Domenica calendario

NELLA LONDRA ELISABETTIANA, 50 MILIONI DI SPETTATORI CON UN PENNY

Almeno cinquanta milioni di persone. E’ questa la stima del numero di spettatori che frequentarono i teatri a Londra durante l’epoca elisabettiana e sino al 1642 quando i puritani di Cromwell li chiusero ritenendoli “luoghi di immoralità e perdizione”. Era dunque per un pubblico di massa che vennero composti i testi di Shakespeare e dei suoi contemporanei. Il costo per l’ingresso a spettacoli replicati da mattina a sera era irrisorio: per stare in piedi nell’arena centrale senza alcuna protezione in caso di pioggia si pagava appena un penny, ovvero meno di un boccale di birra, mentre per un cifra poco più alta ci si accomodava nelle gallerie. I teatri, come il Rose, lo Swann o il Globe, si trovavano sulla sponda sud del Tamigi, ben lontani da una City restia a contaminarsi con gli attori, ritenuti all’epoca poco più di istrionici vagabondi.
Il vociare di chi assisteva alla rappresentazione o dei venditori di bevande si mescolava con le parole dei protagonisti delle commedie e della tragedie, la presenza di prostitute imbellettate in cerca di clienti un fenomeno ben noto. «Quei luoghi indegni traboccano di folla mentre le chiese restano vuote», tuonavano i predicatori dai pulpiti. Un monito inutile per frenare la folla che attraversava il fiume per accalcarsi in file disordinate agli ingressi delle costruzioni in legno erette prendendo a modello architettonico la locanda.
METROPOLI
In quella che allora era la metropoli più grande d’Europa con sessantamila abitanti non esistevano altre forme di divertimento in grado di catturare un favore altrettanto diffuso e la popolarità del teatro crebbe molto in fretta anche grazie al sostegno di Elisabetta (che assisteva regolarmente alle rappresentazioni durante le feste natalizie e, sostiene la leggenda, recitò travestita in un’epoca in cui alle donne il palcoscenico era vietato) e di molti aristocratici della corte. Che ben presto compresero di poter fare buoni affari offrendo il loro appoggio alle compagnie.
La struttura dei teatri era decisamente spartana: un palcoscenico nudo che si spingeva sino al centro dell’arena, sormontato da un tettoia sulla cui parte inferiore era dipinto “il cielo” che nascondeva un argano dal quale potevano scendere angeli, fate o creature volanti come Ariel nella Tempesta. La parete di fondo aveva due porte per l’entrata e l’uscita degli attori e un vano centrale chiuso da una tenda mentre al centro era presente una botola, “l’inferno”, per far uscire i diavoli, le streghe o lasciar precipitare un “dannato”. Nessun attore disponeva dell’intero copione ma solo delle proprie parti (era regola che ciascuno interpretasse almeno cinque o sei personaggi) e l’unica copia esistente veniva custodita in bauli protetti da catene molto robuste per paura che gli emissari delle compagnie rivali si impadronissero del successo del momento. Del resto è noto che la prima edizione delle opere di Shakespeare, riunite nel First Folio, apparve a stampa solo dopo la sua morte e che tutti giudicarono “una stramberia” la scelta di Ben Johnson di riunire in volume nel 1616 i propri lavori.
DIRITTI
Nonostante non fossero previsti diritti d’autore, un genio come il figlio del guantaio di Stratford riuscì in fretta a diventare ricco grazie a un immenso talento e potè persino acquisire una quota rilevante della compagnia per la quale lavorava. Quando infine decise di abbandonare Londra Shakespeare possedeva un solido patrimonio. E alla sua morte, quattrocento anni fa, erano ben pochi gli abitanti della capitale che non avessero assistito alla rappresentazione di uno dei testi che ancora oggi vengono riproposti ottenendo un immutato consenso.