Filippo La Porta, Il Messaggero 25/4/2016, 25 aprile 2016
LA SORRIDENTE RIMOZIONE DEL TRAGICO
L’Orlando furioso esce nell’aprile del 1516 ed è il primo libro della letteratura moderna scritto pensando ad un’ampia diffusione attraverso la stampa (ebbe un successo enorme e innumerevoli ristampe). E’ un’opera inclassificabile, policentrica e poco rispettosa delle norme: poema epico di ispirazione bretone-carolingia? Oggi Ariosto ci appare assai più italiano di Dante, il cui severo moralismo non sembra avere in comune molto con il carattere nazionale, almeno come si formerà nei secoli successivi. Credo infatti che in Ariosto si esprima, in modi sublimi, l’ambivalenza della nostra stessa tradizione. Pensiamo anzitutto alla sorridente rimozione del tragico, al rifiuto della “profondità” in nome della superficie dorata e sempre cangiante delle cose.
LE ILLUSIONI
A che serve approfondire se il fondo è inafferrabile (proprio come Angelica), se comunque sempre ci rinvia alla vanità dell’esistenza, incline a inseguire desideri illusori come nel castello di Atlante? A che pro inseguire una qualche coerenza se la vita consiste precisamente in un errore, in una “follia”? Qui si nasconde un tratto tipico, che appartiene alla nostra stessa civiltà, e che poi ritroviamo nel melodramma, straordinaria invenzione italiana che nell’800 si contrapponeva al romanzo europeo.
Suppongo che per Rossini la ricerca romanzesca dell’“aspra verità” potesse apparire come una impresa noiosa. Certo Ariosto, che pure considera la noia il peccato più imperdonabile non intende solo dilettarci. Il metro e il verso dell’Orlando furioso rendono quasi fisicamente tangibile il ritmo dell’universo, la imperscrutabile armonia di guerre e conflitti e amorose inchieste. Così come la sua multiforme commedia umana rivela una sterminata cartografia delle passioni umane, assai più ricca di quella del “Trono di spade” e del fantasy odierno: amicizia, fedeltà, devozione, odio, ebbrezza, rancore...). Sta agli italiani del terzo millennio, sempre più refrattari (come Rinaldo!) a bere nella coppa della conoscenza, far tesoro della loro Grande Tradizione, e ritrovare sulla luna almeno una parte dei propri perduti talenti.