Davide Maria De Luca, Libero 25/4/2016, 25 aprile 2016
ITALIA REGINA DELL’ENERGIA VERDE. MA CI COSTA CARISSIMA
Il cosiddetto referendum sulle trivelle non ha raggiunto il quorum, ma secondo molti dei suoi promotori ha comunque ottenuto il suo obbiettivo: dare un forte segnale politico al governo a favore dell’utilizzo di energie rinnovabili e contro l’uso delle fonti fossili, come gas e petrolio. In queste settimane di dibattito, però, è mancata la risposta a una domanda apparentemente molto importante. L’Italia ha davvero bisogno di un forte segnale sulle rinnovabili? Siamo davvero così indietro rispetto alla produzione di energie da fonti pulite?
La risposta a queste domande è in parte sorprendente: «L’Italia è sicuramente un Paese virtuoso», spiega Nicolò Sartori, esperto di energia dell’Istituto Affari Internazionali: «Dal 2014 il 17 per cento di tutta l’energia consumata in Italia proviene da fonti rinnovabili». Significa che il nostro Paese ha raggiunto con sei anni di anticipo gli obbiettivi 20-20, quelli fissati dall’Unione Europea e che stabiliscono che entro il 2020 il 20 per cento del totale di tutta l’energia consumata in Europa dovrà provenire da fonti rinnovabili (ogni Paese ha il suo obiettivo che per l’Italia era proprio il 17%).
Nella classifica di quanta dell’energia totale consumata in un Paese proviene da fonti rinnovabili l’Italia è al 13 ̊ posto in Europa, ma è al primo tra i grandi paesi europei: Francia, Germania, Spagna e Regno Unito fanno tutte peggio di noi. Questa classifica comprende tutti i consumi energetici, quindi anche l’energia usata per trasporti e quella usata per il riscaldamento. Se esaminiamo soltanto la classifica della produzione elettrica escludendo quindi il riscaldamento che funziona soprattutto a gas, e i trasporti che vanno a petrolio la quota di rinnovabili sul totale sale ancora: da anni oramai circa il 40 per cento dell’energia elettrica utilizzata in Italia proviene da fonti rinnovabili, una classifica in cui tra i grandi paesi europei siamo dietro soltanto alla Spagna e battiamo di gran lunga Germania, Francia e Regno Unito.
IL «MIX ELETTRICO»
In tutto, il consumo lordo di energia elettrica in Italia è di poco superiore ai 320 mila GWh (gigawattora), di cui circa 280 mila sono prodotti nel nostro Paese, mentre il resto (circa il 15 per cento del totale) viene importato, soprattutto da Francia e Svizzera entrambi paesi che sfruttano moltissimo l’energia nucleare e vendono elettricità a prezzi molto competitivi. In questo «mix elettrico», come si dice in gergo, le rinnovabili contano per 120 mila GWh, mentre le fonti fossili ammontano a un totale di poco superiore ai 150 mila GWh. In questa seconda categoria a farla da padrone è il gas utilizzato nelle centrali termoelettriche, che conta per due terzi. Il petrolio conta per una piccolissima parte, mentre il resto è prodotto bruciando carbone, la più inquinante tra le fonti fossili. Anche qui, l’Italia ha ottenuto risultati importanti: «È stato avviato un processo di de-carbonizzazione, che può essere considerato un vanto spiega Sartori visto che la Germania, nonostante il suo focus sulle rinnovabili, ha creato un’accoppiata col carbone che ha fatto crescere le emissioni di Co2. Il nostro mix, fatto di gas più rinnovabili, è più equilibrato di quello tedesco».
SENZA NUCLEARE
In un certo senso, non è tutto merito di una scelta consapevole e ambientalista. «Il mix energetico italiano deriva da una grossa peculiarità del nostro Paese», spiega Sartori: «Non produciamo energia nucleare, che a livello di Unione Europea pesa per circa il 25 per cento di tutta la produzione elettrica. Questo in Italia non avviene e determina un mix energetico sbilanciato su altri fattori». Ad esempio l’idroelettrico, che conta per il 17 per cento di tutto il consumo elettrico italiano, uno dei livelli più alti d’Europa (dietro la Norvegia, che grazie alle dighe produce circa il 98 per cento dell’energia elettrica di cui ha bisogno). Il resto della produzione rinnovabile proviene dall’energia solare, dall’energia eolica, da quella geotermica e dalla combustione delle biomasse, che è considerata una fonte rinnovabile, ma non pulita, visto che produce emissioni inquinanti.
«Quello che si può mettere in discussione è come siamo arrivati a questi obbiettivi prosegue Sartori L’Italia ha pagato uno sproposito». La strategia utilizzata per aumentare la produzione di energia rinnovabile nel nostro Paese è stata la creazione di forti incentivi economici. Secondo Assoelettrica, il 2016 sarà l’anno in cui l’Italia pagherà di più: 12,5 miliardi. La metà di questa cifra, 6,7 miliardi, deriva soltanto dagli incentivi al fotovoltaico, il settore delle rinnovabili che, fino a pochi anni fa, ha goduto degli incentivi più generosi.
LA BOLLA SOLARE
Per quanto riguarda l’energia solare «le cose nel nostro Paese cominciarono a muoversi nel 2005-2006», spiega Arturo Lorenzoni, professore all’università di Padova e ricercatore dello IEFE, il centro studi sull’energia dell’Università Bocconi. All’epoca l’Italia si mosse dietro alla Germania, che aveva varato il suo primo programma di incentivi. Ma come spesso accade nel nostro Paese, la nuova fonte energetica fu abbracciata con un po’ troppo entusiasmo. «In Germania gli incentivi erano studiati in modo da diminuire non appena la potenza totale installata raggiungeva una certa cifra», spiega Lorenzoni. In questo modo i «pionieri» del settore, che si erano lanciati per primi e nel momento più rischioso, ottenevano i guadagni migliori, ma gli incentivi diminuivano automaticamente, mano a mano che la potenza installata cresceva e nuovi operatori arrivavano sul mercato. «L’Italia ha emulato la Germania con il primo “Conto energia” che offriva condizioni generosissime», continua Lorenzoni. «Conto energia» era il nome degli incentivi che venivano distribuiti a chi installava pannelli solari. In sostanza, chi usufruiva degli incentivi riceveva un prezzo assicurato piuttosto generoso. Inoltre, il sistema italiano non prevedeva meccanismi per limitare automaticamente il numero di impianti che avrebbero potuto sfruttare i suoi ricchissimi incentivi. Nel 2007 il governo Prodi varò il secondo Conto energia, appena meno generoso, ma negli anni successivi accade una cosa che nessun poteva prevedere: «Grazie agli enormi investimenti del governo cinese nella produzione di pannelli fotovoltaici, il prezzo di installazione subì un crollo», racconta Lorenzoni. In Italia ci fu una specie di corsa all’oro, con migliaia di persone che acquistavano pannelli solari, mentre centinaia di imprese che si occupavano di installazioni sorgevano lungo tutta la penisola: una vera e propria bolla. Tra il 2010 e il 2011, quando il governo decise a varare il terzo Conto energia che riduceva ulteriormente gli incentivi l’Italia fu il Paese che installò più potenza fotovoltaica di tutto il mondo.
BOLLETTA PESANTE
Le ricche remunerazioni che avevano attirato così tante persone venivano garantite da una maggiorazione della bolletta di tutti gli italiani, la cosiddetta componente A3. Secondo i calcoli del sito laVoce.info, il costo medio di questi incentivi è di 90 euro a consumatore, il 18 per cento di tutta la bolletta elettrica. Per le imprese cosiddette «energivore», quelle che hanno consumi particolarmente elevati, questa componente può diventare ancora più pesante e contribuisce a rendere l’Italia uno dei paesi con la bolletta elettrica più elevata. Il costo totale di questi incentivi si aggira ancora oggi intorno ai sette miliardi di euro l’anno, anche se dal 2013, con la fine del quinto Conto Energia, gli incentivi all’energia solare sono terminati. Di fatto, l’Italia è passata da un’ubriacatura di entusiasmo ad una completa latitanza nell’adeguamento degli incentivi una dimostrazione che, quando manca la pianificazione, anche le intenzioni più nobili possono avere risultati controproducenti.