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 2016  aprile 23 Sabato calendario

CONTRABBANDIERI DI BIBITE IN LATTINA

Montagne brulle, con tratturi in terra battuta che si arrampicano zigzagando su pendii ripidi, puntellati di vegetazione bassa, pratoni infiniti e vaste aree di roccia friabile. D’inverno impera il freddo, soffiano venti feroci, che accumulano la neve vicino alle creste alte e aumentano il pericolo di valanghe. Raramente trapelano i dati sul numero di contrabbandieri morti sotto le slavine. Ma pare sia sempre molto alto. D’estate trionfa invece il caldo torrido anche sopra i 3.000 metri di quota. Quando manca la neve sono i campi minati (spesso non segnati) a costituire un pericolo e servono passisti esperti che sappiano dribblare le incognite. Paesaggi secchi, calcinati dal sole impietoso. Per trovare acqua occorre scendere nel fondo delle vallate e perdere quota. Non è un caso che da maggio a novembre le carovane di contrabbandieri siano costrette a ridurre il traffico di merce per appesantirsi con taniche d’acqua indispensabili per la sopravvivenza.
Dici “contrabbandiere” e per qualche strana assonanza con la memoria torni come d’incanto a un mondo antico, arricchito dal gioco del gatto e del topo con i finanzieri, imboscate e fughe, lunghe marce notturne, sfide primitive con gli ostacoli naturali, poveracci con carichi da trenta chili e più sulle spalle che rischiano la vita per un pugno di euro al giorno. E la suggestione è tanto più valida se questo riguarda i curdi. Popolo di frontiera per antonomasia. Gente tribale, litigiosa come pochi al mondo, divisi tra di loro (anche se raramente lo ammettono con gli stranieri) ma soprattutto in guerra più o meno apertamente dichiarata con le potenze che controllano le loro regioni natali. Il tutto accompagnato dall’onnipresente sentimento di essere stati “traditi” dalle nazioni vincitrici al tempo della prima Guerra mondiale. «Ci avevate promesso un nostra patria indipendente. Ma siamo rimasti con un pugno di mosche» accusano a ogni occasione. Oggi sono forse quasi quaranta milioni, frazionati tra l’enclave semi-autonoma nell’Iraq settentrionale, sotto attacco da parte del governo Erdogan nella Turchia orientale, repressi dal regime iraniano, forza combattente sostenuta dagli americani contro Isis in Siria.
Curioso che in tutte le quattro regioni in cui sono distribuiti, per quanto diverse e articolate, uno degli elementi unificanti sia proprio il contrabbando. Commerciano di frodo i curdi siriani con i jihadisti di Isis e le regioni turche nel nord. Lo stesso fanno con l’Iraq le unità del Pkk, la formazione della guerriglia curda in Turchia, per sopravvivere ad ogni costo in un ambiente ostile. E di recente è emerso quanto vasto sia il volume del traffico illegale tra Iran e Iraq. Un fenomeno che per tanti aspetti ricorda quello dei “passisti” tra Italia, Francia e Svizzera tra la fine dell’Ottocento e gli anni appena seguenti la seconda Guerra mondiale. Le immagini che arrivano da quelle zone ci mostrano uomini in marcia con carichi pesantissimi sulle spalle. Ragazzi, ma anche quarantenni e ben oltre, che per meno di dieci euro al giorno bivaccano all’addiaccio, rischiano di essere presi di mira dalle guardie di frontiera, si affidano alla fortuna ogni volta che partono. Il fenomeno è talmente vasto che lo scorso agosto le autorità di Teheran hanno deciso di far buon viso a cattivo gioco concedendo la licenza di commercio a circa 4.000 curdi nella regione della cittadina frontaliera di Piranshahr. Dall’altra parte della frontiera, nella cittadina irachena di Choman, hanno fatto festa grande. Sono così aumentate le carovane di muli, che garantiscono talvolta sino a 100 euro di guadagno per viaggio. Le merci trasportate in genere però valgono poco: gomme da masticare, noci, bibite in lattina, sacchi di tè, al meglio qualche apparecchio elettronico non sofisticato. Guadagni più alti si farebbero contrabbandando alcoolici dall’Iraq. «Ma il rischio è altissimo. Raramente i militari iraniani si lasciano corrompere per le casse di whisky, se vengono scoperti dai superiori possono essere condannati a morte» confidano a Choman.
Sino ad un paio d’anni fa erano soprattutto i curdi iraniani a rischiare la vita per un lavoro tanto duro. Ma ultimamente la caduta del prezzo del petrolio ha gravemente penalizzato il Kurdistan iracheno. A Erbil e Suleymaniye la grande crescita urbana si è fermata. Chi può cerca lavoro e fortuna all’estero. L’ottimismo e l’attivismo imprenditoriale che hanno caratterizzato il boom economico dei primi anni del nuovo millennio ormai sono un ricordo lontano. Così i contrabbandieri tornano di moda. Il valore del traffico legale tra Iraq e Iran è valutato attorno ai quattro miliardi di dollari annui. Ma si stima che quello illegale possa adesso salire a quote anche più alte.