SELENE PASCARELLA, il Fatto Quotidiano 25/4/2016, 25 aprile 2016
BASTA… TI PREGO… SCUSA, LE ULTIME PAROLE DI MARCO
Il 23 maggio inizierà il processo per la morte di Marco Vannini. A giudizio per omicidio andrà l’intera famiglia della fidanzata del ventenne di Ladispoli: il papà Antonio, accusato di aver sparato a Marco, la moglie Maria, la figlia Martina, il figlio Federico con la sua ragazza, Viola Giorgini, imputata per omissione di soccorso. Secondo i pm hanno tutti mentito, cagionando il decesso del ragazzo. Hanno fornito false informazioni al 118, ritardando i soccorsi, e avrebbero confezionato per gli inquirenti una versione di comodo, per salvare il padre e la famiglia. Anche le bugie più grossolane dei Ciontoli, in realtà, offrono inaspettati spunti di verità, raccontando la possibile dinamica dei fatti.
“Basta”… “Ti prego”… “Scusa”… Sono tra le ultime parole di Marco, registrate durante la telefonata al 118, inoltrata da casa Ciontoli la notte della sua morte. Antonio Ciontoli sta raccontando all’operatrice che il ragazzo si è fatto un “buchino” scivolando nella vasca e cadendo su un pettine appuntito. Dall’altra parte del filo gli viene fatto notare che Marco ha una voce distorta dal dolore, troppo per un piccolo incidente. “È andato in panico”, risponde laconicamente Ciontoli. Quella però è già la seconda telefonata partita dalla sua abitazione.
Nella prima Federico chiede aiuto per un ragazzo divenuto “di botto troppo bianco, che non respira più” a causa di uno scherzo. “E che scherzo gli avete fatto?”, domanda l’operatrice. “Non lo so, non c’ero in quel momento” ribatte il giovane. “E come fa a sapere che è stato uno scherzo?” insiste la voce del 118. “Perché sta con mio padre e mia madre” risponde Federico, ormai, anche lui, palesemente in confusione. “Mamma, glielo dici tu, per favore, non ci crede”, con queste parole Maria viene chiamata in ballo. Spiega che Marco era nella vasca, ma poi una voce fuori campo le suggerisce che l’ambulanza “non serve” e così mette giù. Se in queste due telefonate uno solo dei Ciontoli avesse detto la verità sulle reali condizioni di Marco, probabilmente gli avrebbe salvato la vita. Invece tutti tacciono e Antonio Ciontoli nega fino all’ultimo, per poi capitolare. Prima ammette di aver sparato al “genero” per errore, poi che è stato uno scherzo finito male. Non sappiamo se al processo la strategia difensiva lo porterà a rimaneggiare nuovamente la sua verità. C’è però una costante nelle dichiarazioni di Ciontoli: dal pettine appuntito allo sparo per scherzo, colloca Marco nella camera da bagno, solo o in sua compagnia. L’assenza dei familiari, inserita in ogni ricostruzione, è una verità in una cornice di menzogna o una bugia ripetuta mille volte per renderla credibile? Torniamo alle bugie degli altri Ciontoli. Federico è il primo ad avanzare la storia dello scherzo. Interrogato sulle modalità si scorpora dalla scena del crimine. Inventando una spiegazione plausibile, non dice, come sarebbe naturale, che è stata la vittima a riferirgliela. Si nasconde dietro alla madre e al padre ed è davvero come se lui non avesse visto da vicino Marco in quei momenti. E Martina, invece? Anche lei dichiara agli inquirenti di essere arrivata in bagno solo dopo lo sparo, ma le riprese in caserma raccontano un’altra storia. Nelle intercettazioni video Martina è seduta in sala d’attesa con Federico e Viola; Antonio sta parlando con gli inquirenti, Marco è morto da poche ore. Lo scambio tra i ragazzi è da far accapponare la pelle. Viola dice che è meglio che Vannini non ce l’abbia fatta, sarebbe rimasto “con qualche ritardo psicologico”. Per Federico conta solo il dramma del padre: “Non mi posso immaginare il momento in cui si immagina il momento che ha sparato”. Interviene Martina: “Lui ripensa alla scena con lui (Marco-ndr) che faceva: leva un po’ sta pistola puntata!”.
“Ho visto il momento quando papà gli ha puntato la pistola – aggiunge poi la Ciontoli – e Marco ha detto: ‘Non si scherza così’. Qua sotto c’aveva il proiettile”.
Gli inquirenti hanno usato il video per sottolineare le incongruenze nella versione di Martina. Come ha fatto a vedere Marco se, come ha dichiarato, era in un’altra stanza? Una giusta osservazione, che fa dimenticare altre note stonate. Tutta la conversazione è costruita come un’arringa difensiva per Antonio. Il tono di voce è monocorde, anche quando si dicono cose di grosso peso emotivo. Parlando del racconto del padre, Federico usa il verbo “immaginare” non ricordare. Martina si affretta a correggerlo, ricostruendo il ricordo di Antonio con una serie di particolari dettagliati, che Ciontoli riferirà quasi con le stesse identiche parole.
Nessuno, nemmeno Viola, la meno coesa alla famiglia, avanza critiche sul comportamento prima e dopo l’incidente. A così poco tempo dai fatti, isolati da orecchi indiscreti, i figli non sembrano nutrire dubbi sulla versione del genitore. Più che colti a sorpresa dall’intercettazione, però, sembrano confidare nell’eventualità di essere registrati. Martina si consola dicendo che “era destino” che Marco morisse perché “si sentiva un fallito”. Il suo punto di vista si fonde con quello di Antonio Ciontoli. Dice: “Ho visto”, ma parla attraverso gli occhi del papà. E infine, interrogata, cambia tutto e sostiene: “Ero nell’altra stanza”. Ha mentito dicendo di aver visto o negando di essere stata presente? E come si può escludere una terza ipotesi, cioè che fosse presente, ma che i fatti si siano svolti diversamente?
Le bugie sono spugne. Quando le fai tue aggiungi sempre qualcosa, anche se pensi di ripeterle alla lettera o se sei convinto che siano la verità. Forse davvero Antonio era solo con Marco quando gli ha sparato, per sbaglio o volutamente. Ma se questa è una bugia, o parte di una bugia, non basterà smascherarla. Bisognerà trovare la verità sulla morte di Marco che essa che contiene.
SELENE PASCARELLA, il Fatto Quotidiano 25/4/2016