Francesco Grignetti, La Stampa 25/4/2016, 25 aprile 2016
PRESCRIZIONE E INTERCETTAZIONI I FRONTI APERTI TRA TOGHE E RENZI
Sono almeno tre i dossier che dividono la politica dalla giustizia: prescrizione, intercettazioni, commistioni tra carriera giudiziaria e incarichi politici.
Sulla prescrizione, i dati dicono che nel 2013 sono stati cancellati 68.107 procedimenti di fronte al gip, 20.685 in primo grado, 21.521 in sede di appello. Approvato alla Camera e all’esame del Senato, c’è un ddl a firma di Donatella Ferranti, Pd, che modificherebbe le regole attuali con una «sospensione» nei conteggi di 2 anni dopo il primo grado e di 1 anno dopo l’appello.
Tale meccanismo non convince assolutamente i magistrati, che spingono per una riforma più drastica: sospendere del tutto i conteggi una volta che viene esercitata l’azione penale. E se una parte della magistratura sarebbe propensa a fermare gli orologi a fronte di una condanna di primo grado, Piercamillo Davigo spinge per la versione più radicale, ovvero sospensione della prescrizione al termine dell’udienza preliminare.
Sulle intercettazioni, il contrasto tra mondo politico e giudiziario non potrebbe essere più plateale. Il governo Renzi ha messo in cantiere una riforma, dichiarando di voler limitare la pubblicazione delle intercettazioni non essenziali, assolutamente non ridimensionando lo strumento. Al momento c’è una legge-delega in discussione al Senato (approvata nel settembre scorso alla Camera) che darebbe al governo la possibilità di intervenire secondo le seguenti linee guida: vietare la pubblicazione di «comunicazioni non rilevanti a fini di giustizia penale»; tutelare «la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento»; prevedere la reclusione da 6 mesi a 4 anni per chiunque diffonda intercettazioni fraudolente «al fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui», ma la punibilità è esclusa nel caso in cui le registrazioni siano utilizzate «nell’ambito dell’esercizio del diritto di difesa» o rientrino nel diritto di cronaca.
Da parte sua, la magistratura sta tentando di prevenire guai maggiori con l’autoregolamentazione. Vi sono circolari delle procure di Torino, Roma, Napoli e Firenze che, con varie forme, dovrebbero impedire il travaso di conversazioni private e irrilevanti negli atti, sapendo che da un certo momento in poi è fisiologico che le intercettazioni diventino di dominio pubblico. Su questa ipotesi dell’autoregolamentazione si sta muovendo anche il Consiglio superiore della magistratura, con la Settima commissione che sta elaborando una super-circolare di rango nazionale. Si segnala qui una posizione molto personale di Piercamillo Davigo che difende lo statu quo. «Ma lo sanno o no - ha detto a Il Fatto quotidiano - che ciò che è irrilevante per il pm o per il giudice può essere rilevantissimo per il difensore?».
Infine il nodo delle porte girevoli. Approvato dal Senato, pendente alla Camera, un ddl limiterebbe moltissimo la possibilità per un magistrato che sia entrato in politica, o che abbia comunque rivestito un incarico fiduciario, di rientrare. Nasce dal dialogo tra due ex magistrati quali i senatori Felice Casson e Franco Nitto Palma, uno del Pd e l’altro di Forza Italia, che avrebbero voluto addirittura impedire il ritorno alla toga. Alla fine i paletti non sono così insormontabili. Comunque il testo è maldigerito dai magistrati. E chissà se Piercamillo Davigo pensava proprio ai due quando ha detto, al Corriere della Sera, «secondo me i magistrati non dovrebbero mai fare politica. Perché sono scelti secondo il criterio di competenza, e avendo guarentigie non sono abituati a seguire il criterio di rappresentanza. Per questo i magistrati sovente sono pessimi politici».
Francesco Grignetti, La Stampa 25/4/2016