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 2016  aprile 25 Lunedì calendario

TRATTATI, INTESE E «VOLUNTARY» CONTRO I PARADISI

L’ultimo scandalo dei Panama Papers dimostra che le vie dei capitali all’estero sono infinite. Mano a mano che quelle vecchie vengono sigillate, nuove rotte si aprono per l’esportazione illecita di denaro, in una continua partita tra guardie e ladri. In questo quadro, gli ultimi sviluppi sul fronte interno e internazionale disegnano una strategia in tre mosse contro l’evasione fiscale internazionale: il potenziamento degli accordi bilaterali, l’incremento dei controlli e dello scambio di informazioni e, per finire, una fase-2 della voluntary disclosure.
ACCORDI BILATERALI
Basterà per convincere (o costringere) a pagare le imposte gli evasori che nascondono oltreconfine le somme sottratte al fisco? Lo scenario internazionale va sempre più verso un isolamento dei paradisi fiscali con la costruzione di reti di scambio di informazioni. Uno scenario caratterizzato dalla firma di accordi bilaterali o dall’aggiornamento di intese preesistenti sulla base dello schema messo a punto dall’Ocse, il cosiddetto Crs (Common reporting standard).
Il percorso avviato punta sempre di più - anche se con step non immediati ma progressivi - a passare da un modello su richiesta a uno automatico, con un vantaggio enorme per le autorità fiscali e giudiziarie, perché consentirebbe di ridurre i tempi e contestualmente di aumentare la reattività nell’intervento sui fenomeni di evasione.
Per quanto riguarda l’Italia la legge sul rientro dei capitali ha accelerato la firma di accordi per lo scambio di informazioni o di integrazioni secondo i nuovi canoni Ocse. Nei tre casi principali (Svizzera, Monaco e Liechtenstein) questo ha consentito di fatto ai contribuenti che detenevano patrimoni non dichiarati al fisco italiano di regolarizzarli senza vedersi applicare il raddoppio delle sanzioni relative ai Paesi black list.
I CONTROLLI
In attesa di sfruttare tutte le potenzialità dello scambio automatico, si comincia a lavorare con quello che c’è. È degli ultimi giorni la notizia che l’agenzia delle Entrate ha bussato alla porta dell’autorità corrispondente lussemburghese per chiedere e ottenere informazioni su soggetti (quelli che in base all’accordo del 2012 si chiamano «gruppi di contribuenti») ritenuti in forte odore di evasione.
L’incrocio di questi dati con quelli degli aderenti al rientro dei capitali potrà consentire di far emergere chi continua a bluffare sulle disponibilità oltreconfine. Una sorta di prova generale di quanto potrebbe avvenire anche con altri Paesi dove sono stati esportati capitali e patrimoni, prima fra tutte la Svizzera.
IL RIENTRO DEI CAPITALI
La terza mossa contro l’evasione internazionale è tutta italiana, ed è la fase-2 della voluntary disclosure, la procedura che consente di regolarizzare i capitali all’estero, pagando tutte le imposte e beneficiando di sconti sulle sanzioni oltre che della copertura penale sui reati presupposto.
Da un lato, gli uffici delle Entrate sono al lavoro per definire le istanze presentate dai contribuenti entro la fine del 2015, che hanno fatto emergere 60 miliardi di asset oltreconfine con un maggior gettito di 4 miliardi. Dall’altro, aumentano i segnali per una possibile riapertura della voluntary.
Il tam tam soprattutto negli studi professionali è forte da diverse settimane, ma probabilmente in questo caso è più la speranza di nuovi incarichi ad alimentare le voci. Tuttavia il segnale che anche il Governo ci sta pensando è arrivato in settimana dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini: «Non c’è una decisione presa al riguardo ma è una opzione sul tappeto, che potrebbe portare a una riproposizione di quello strumento riadattato a una seconda fase». E pure il ministro Padoan nell’intervista al Sole 24 Ore del 13 aprile ha affermato che «se una macchina funziona e ci sono ancora chilometri da fare, si può certamente usare ancora», sottolineando che si sta facendo un “tagliando” ai meccanismi della voluntary disclosure per capire «quali risultati ha prodotto e se esistano ancora margini di utilizzo».
Intanto il fronte parlamentare comincia a fare pressing per una riapertura. Maurizio Bernardo, presidente della commissione Finanze della Camera, ha chiesto di reintrodurre la procedura di collaborazione volontaria, ricordando come l’Ocse la suggerisca quale misura a regime.
Il dossier è sicuramente aperto, ma non ci sono ancora piani precisi: la voluntary potrebbe essere introdotta nell’ordinamento senza scadenza e con sanzioni più dure di quelle sperimentate nel 2015, ma anche con un altro provvedimento temporaneo.
Di sicuro, lo scandalo dei Panama papers impone di pensare attentamente alla tempistica con cui lavorare a questa prospettiva. Anzi, ha sicuramente rappresentato una frenata su questo cammino, proprio per l’inopportunità politica di fornire una copertura preventiva a eventuali illeciti fiscali così come al riciclaggio e al nuovo reato di autoriciclaggio. Probabilmente se ne riparlerà più avanti, anche in considerazione delle nuove entrate che un’eventuale riapertura potrebbe garantire.
Dario Aquaro, e Cristiano Dell’Oste, Giovanni Parente, Il Sole 24 Ore 25/4/2016