VARIE 25/4/2016, 25 aprile 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - LA LIBIA CHIEDE AIUTO IL CAIRO - Il governo del premier Fayez Serraj potrebbe essere vicino a una svolta decisiva: il Consiglio presidenziale guidato dall’architetto tripolino nominato primo ministro durante i colloqui di pace organizzati dall’Onu, ha emesso un comunicato per informare di aver chiesto all’Onu, ai paesi europei e quelli africani confinanti "aiuti per proteggere le risorse petrolifere del Paese"
APPUNTI PER GAZZETTA - LA LIBIA CHIEDE AIUTO IL CAIRO - Il governo del premier Fayez Serraj potrebbe essere vicino a una svolta decisiva: il Consiglio presidenziale guidato dall’architetto tripolino nominato primo ministro durante i colloqui di pace organizzati dall’Onu, ha emesso un comunicato per informare di aver chiesto all’Onu, ai paesi europei e quelli africani confinanti "aiuti per proteggere le risorse petrolifere del Paese". Il Consiglio esprime "profonda preoccupazione per gli avvertimenti ricevuti dalla Compagnia Nazionale Petrolifera (Noc) e dai rapporti delle forze di sicurezza su possibili attacchi a installazioni petrolifere, anche marittime". Una notizia confermata a Repubblica da fonti vicine al governo di Tripoli. In mattinata c’era stata una conversazione telefonica tra lo stesso Serraj e Renzi. Renzi ad Hannover parla della crisi libica. Il premier italiano, ad Hannover, ha parlato della crisi libica. "Sulla Libia - ha detto - c’è una disponibilità rilevante da parte della comunità internazionale e questo è un cambio. C’è il pieno sostegno allo sforzo del governo di Serraj. Dobbiamo fare di tutto perché abbia successo". E al G5 si è registrato "un sostegno unanime". Dal G5, ha precisato il presidente del Consiglio, c’è piena disponibilità a sostenere lo sforzo del governo Serraj e "tutte le iniziative" della comunità internazionale "dovranno essere richieste dal governo". "I pozzi petroliferi sui quali il governo libico ha chiesto aiuto per la protezione "non sono i pozzi dell’Eni. La richiesta riguarda altre strutture". A proposito di immigrazione, Renzi ha aggiunto: "Con l’accordo con la Libia si ridurrà il traffico dei migranti. L’ipotesi di un accordo sarebbe molto importante, se si facesse, sarebbe tutta un’altra musica. Se in Libia si consolida il governo, potremo mettere la parola fine all’emergenza". Il primo appello di Serraj. Di fatto, quindi, quello di Serraj sarebbe il primo invito alla comunità internazionale a fornire aiuto militare al governo libico. La ragione della richiesta non sarebbe, quindi, nella necessità di proteggere il governo a Tripoli, quanto di difendere le installazioni petrolifere nell’est, sottoposte agli attacchi dell’Islamic State. Una ragione che di sicuro verrebbe accolta con minore sospetto da quella parte della società politica libica che avrebbe potuto accusare il governo Serraj di "farsi proteggere dagli stranieri". Secondo il Daily Mail, i commando britannici "si preparano" a lanciare un attacco contro l’Is a Sirte. Le forze speciali del Regno Unito - scrive il quotidiano - si uniranno a quelle francesi e americane. I militari britannici verranno impiegati simultaneamente anche nell’operazione per riconquistare Mosul, la ’capitale’ del Califfato in Iraq. Da giorni nella zona di Sirte e soprattutto nella cosiddetta "mezzaluna petrolifera" i militanti dell’Islamic State sono all’attacco di installazioni petrolifere e posti di blocco. Ieri i miliziani dell’Isis avrebbero preso il controllo del "Checkpoint 52", a sud dell’importante porto petrolifero di Marsa Brega, nel golfo della Sirte. I guardiani dei vicini pozzi petroliferi hanno respinto l’attacco durante violenti scontri che hanno provocato un morto e sei feriti tra gli stessi guardiani. Tra i feriti c’è anche lo stesso Ibrahim Jadhran, il giovane capo della Petroleum Facilities Guards, un ribelle anti-gheddafiano molto popolare in cirenaica che aveva trascorso 4 anni nelle carceri di Gheddafi prima di mettersi al capo di una milizia rivoluzionaria nella sua regione. Dalla fine della rivoluzione Jadran ha creato questa "Petroleum Guard" dedicata alla sorveglianza dei pozzi e dei terminal petroliferi, un gruppo armato che di fatto è diventato una milizia e che adesso si è schierato contro l’Islamic State e a favore del governo di Serraj, sostenuto dalle Nazioni Unite. Venerdì i miliziani del Daesh hanno attaccato con 60 mezzi e decine di uomini le postazioni di Jadhran, e questo era solo l’ultimo attacco: dall’inizio di aprile le autorità libiche hanno evacuato il personale di tre giacimenti di petrolio per evitare che diventassero bersaglio dei miliziani del califfo. In questa fase di caos che segue all’arrivo del governo Serraj a Tripoli, ieri la National Oil Company di Tripoli ha annunciato di aver sventato un tentativo di esportare illegalmente petrolio dalla Cirenaica messo in atto delle autorità di Beida. Gli uomini vicini al generale ribelle Haftar hanno provato a caricare una petroliera saudita di 650.000 barili. Da Tripoli la Noc denuncia che "la Agoco, una nostra sussidiaria nell’est del Paese, ha avuto istruzioni da un funzionario di Beida di rifornire un cargo al terminal di Marsa-el Hariga", ha spiegato il capo della Noc, Mustafa Sanalla, aggiungendo di aver informato il "primo ministro Sarraj ed il Consiglio Presidenziale, che ha compreso subito l’importanza della questione". Gli stessi lavoratori del terminal avrebbero bloccato il carico della petroliera bloccando il tentativo di esportare illegalmente il petrolio. IL VERTICE DI HANNOVER BERLINO - "Gli Usa e il mondo hanno bisogno di un’Europa forte". Lo ha detto il presidente degli Usa Barack Obama, parlando alla fiera di Hannover, la maggior fiera mondiale di tecnologia industriale, che ha visitato al fianco della cancelliera tedesca Angela Merkel e di cui gli Usa sono ospiti speciali. "Questo Continente - ha affermato il presidente americano - nel ventesimo secolo era in costante conflitto: la gente moriva di fame, le famiglie venivano separate. Ora la gente vuole venire qui esattamente proprio per quello che avete creato. Vi sono genitori pronti ad attraversare il deserto, il mare per dare ai propri figli quelle cose che noi non dobbiamo dare per scontate". Intanto, il vice consigliere per la Sicurezza nazionale Ben Rhodes ha annunciato che gli Stati Uniti invieranno altri 250 militari in Siria a sostegno delle forze locali che combattono contro il Daesh. Sui migranti Obama cita il Papa. "In Germania più che in qualsiasi altro posto nel mondo avete imparato che quello di cui c’è bisogno nel mondo non sono muri", ha detto Obama a proposito dei profughi. Il presidente ha poi citato il Papa: "Papa Francesco ha detto che i profughi non sono numeri, ma sono persone, che hanno volti e storie". Renzi: "Da Obama disponibilità all’uso di mezzi Nato contro il traffico di uomini e scafisti". "Il presidente Usa si è detto disponibile all’impiego di mezzi Nato per bloccare il traffico di uomini e scafisti". Lo ha detto il premier Matteo Renzi al termine del G5 informale nel castello di Herrenhausen, organizzato dal governo tedesco ad Hannover in concomitanza con la visita di Obama, a cui hanno partecipato la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese François Hollande, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il primo ministro britannico David Cameron e lo stesso Renzi. Che poi ha aggiunto un messaggio alle autorità austriache contro il progetto della costruzione di una barriera anti-migranti. "Nessun elemento giustifica la chiusura del Brennero". "Non c’è alcun elemento che giustifichi la chiusura del Brennero. Le autorità austriache non possono fare altro che rispettare la normativa europea", così le parole del premier italiano, che poi ha commentato anche la vittoria in Austria dell’estrema destra di Hofer nel primo turno delle presidenziali: "Il voto è del popolo e quindi da rispettare, ma occorre che contro il populismo la Ue torni a investire nella crescita. Non bisogna giocare sulla difensiva ma d’attacco". Poi Renzi ha parlato anche di altri delicati temi sul tavolo europeo, come il Ttip. "Favorevoli all’accordo Ttip, purchè si rispettino alcune specificità" "La nostra posizione sul trattato Ttip è che siamo impegnati in un negoziato, siamo favorevoli e spingiamo perchè si concluda, purchè si rispettino alcune specificità". Così ha sottolineato il premier Renzi sul trattato di libero scambio Ue-Usa che divide l’Europa. FRANCESCO SEMPRINI SULLA STAMPA DI OGGI Blindati e munizioni per Haftar Il generale avanza e spacca la Libia Giallo sulla fornitura di un migliaio di mezzi militari. Dubbi sul ruolo dell’Egitto L’aviazione anti-Tripoli martella Derna e Bengasi. E nel mirino non c’è solo l’Isis Francesco Semprini Sempre più spaccata e senza pace. Con il generale Haftar che marcia da Est verso Ovest puntando a sradicare Isis dalla Libia; e il governo a Tripoli di Fayez al Sarraj che punta a catalizzare sempre più consensi tra le componenti politiche e militari puntando al contempo ad uscire dall’isolamento della base navale di Abu Sitta dove si è insediato quasi un mese fa. Esistono di fatto due Libia, con sponsor stranieri diversi, tunisini con Tripoli, egiziani con la componente di Haftar. Per non dire degli europei con l’Italia che preme sempre più per dare forza al governo Sarraj e Parigi velatamente schierata con l’alleato Al Sisi e di sponda con Torbuk. L’esecutivo voluto e creato dall’Onu tuttavia non vuole ingerenze dal punto di vista militare. «Non ci serve parlare di interventi militari che non chiediamo, vogliamo essere artefici del nostro destino», avverte il vice presidente del Governo di accordo nazionale (Gna), Ahmed Maitig, che non concede deroghe neppure nella lotta al terrorismo. «É una priorità nazionale che unirà tutti i libici contro il nemico comune. Il nostro nemico è il vostro nemico». L’esecutivo rimane ancora orfano della fiducia di Tobruk. Dopo sei rinvii per mancanza del quorum, la Camera dei Rappresentanti della «capitale orientale» è spaccata a metà. Dei 200 deputati 102 hanno firmato un documento di sostegno ad Al-Serraj, gli altri, compreso il presidente Agula Saleh, stanno con il generale Khalifa Haftar. I primi sono pronti a giurare fedeltà al Gna e a trasferirsi a Tripoli, gli altri sono arroccati sulle barricate del «generalissimo», allontanando di fatto ogni rispetto formale degli accordi di Skhirat, in Marocco. Una spaccatura che sul piano pratico rischia di sancire l’emergere di una Libia occidentale e una orientale. Ad est di Misurata è caos e guerra, con lo Stato islamico che controlla Sirte e parte del Golfo, contrastata dal progressivo allargamento delle forze di Haftar. Il generale a sua volta è protagonista di offensive a Derna, Bengasi e Adjabiya che stanno assumendo i contorni del giallo. Le operazioni secondo il suo stato maggiore sono volte a cacciare la filiale libica di Abu Bakr al-Baghdadi dalle tre città, ma in realtà avrebbe il doppio obiettivo di stroncare tutte le forze che a loro volta hanno combattuto l’Isis e che non vogliono sottostare all’ex fedelissimo di Gheddafi. Secondo quanto riferito da fonti sul posto le bandiere nere non sventolano più su Derna da tempo, cacciate dai combattenti locali organizzati dal Consiglio della Shura, ma Haftar tuttavia continua a martellare la città, anche con le «barrell bomb», ordigni rudimentali micidiali, soprannominati gli «Ied volanti». «Abbiamo provato a dialogare ma non c’è verso - ci dice Mohammed Benkhaial, uno dei coordinatori dei combattenti di Derna - Per Haftar o sei con lui o sei contro». La striscia di sangue prosegue a Bengasi dove secondo quanto riferisce Agenfor, uno dei principali operatori umanitari attivi in zone di frontiera, almeno 150 famiglie sono intrappolate nella zona della piccola baia di «Mreysa» in attesa di aiuti o di una via di fuga. I tentativi del consiglio della Shura per i Rivoluzionari di Bengasi di evacuare queste centinaia di persone via mare e raggiungere una zona sicura «sono falliti a causa dei raid aerei di Haftar», spiegano fonti locali che chiedono aiuto all’Onu di creare un corridoio di uscita in Mediterraneo. Non è escluso che Haftar e il suo sponsor Al-Sisi possano volere anche i terminali petroliferi più a ovest, controllati dalle milizie della Noc, il cui presidente Mustafa Sanalla si è schierato con Sarraj. A Tobruk intanto sono arrivati 1050 veicoli militari e armi in favore dell’Esercito nazionale libico (Lna), intenzionato a marciare sulla roccaforte dell’Isis a Sirte. Non è chiaro da dove arrivi la fornitura visto che la Libia è sotto embargo in questo senso, ma tutto sembra ricondurre alla coalizione pan-araba che sostiene Haftar, Egitto ed Emirati in primis. E con l’appoggio tacito della Francia che, mentre plaudiva con i partner europei allo schieramento dei 102 di Tobruk con Sarraj, assicurava sostegno al Cairo e dispiegava proprie unità delle forze speciali alla base Benina di Bengasi. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI (AFP) - Armamenti di fortuna Forze fedeli al governo di unità raccolgono parti di bombe ed esplosivi improvvisati pag. 1 di 4 PAOLO MASTROLILLI L’Italia si aspetta che la Nato approvi al prossimo vertice del 7 luglio in Polonia il coordinamento per impiegare i suoi mezzi nell’emergenza dei migranti in partenza dalla Libia, ed è pronta ad aiutare il governo di accordo nazionale a stabilizzare il Paese, a partire da un’operazione per garantire la sicurezza della missione Onu a Tripoli. A rivelarlo è il ministro della Difesa Roberta Pinotti, che lancia anche un avvertimento al generale Haftar: «Siamo contenti se combatte l’Isis, ma ora si chiede che tutti gli sforzi puntino a sostenere il nuovo governo». Che proposte aveva fatto l’Italia alla Nato? «Già con il Libro bianco avevamo individuato il Mediterraneo come il tema centrale per la sicurezza europea, e al vertice in Galles avevamo insistito perché il fianco Sud diventasse una priorità come quello Est. A livello europeo avevamo spinto affinché nascesse la missione Sofia, di cui abbiamo il comando, e a livello Nato avevamo sollecitato di ricalibrare Active Endeavor, da operazione antiterrorismo concentrata sulla parte Est del Mediterraneo a missione che guardi le coste libiche. Durante il recente vertice che abbiamo avuto in Lussemburgo, il segretario Stoltenberg mi ha detto che la proposta è stata accolta». Se ne parlerà oggi al Quint di Hannover. Cosa vi aspettate? «Sostegno anche sulla parte più difficile, cioè il rientro nel proprio territorio di chi non ha diritto all’accoglienza. Nel caso dell’Egeo c’è una Paese Nato, la Turchia, con cui colloquiare sulla destinazione finale dei rifugiati, ma in Libia no». La soluzione è creare centri accoglienza nei Paesi d’origine? «Sì, quella è la strada da seguire. Nel rispetto dei diritti umani, e insieme al sostegno per i Paesi di origine, affinché l’accoglienza dei rimpatriati venga gestita». Il varo operativo sarà al vertice Nato del 7 luglio a Varsavia? «Sì, sicuramente per il coordinamento delle missioni nel Mediterraneo. In quella sede la proposta dovrebbe diventare una decisione effettiva». Haftar sembra prepararsi a marciare verso Derna e Sirte: sostenete la sua iniziativa? «Appoggiamo con forza il nuovo governo, che speriamo trovi il modo di esser votato dalla maggioranza dei parlamentari di Tobruk, che ha già firmato un documento in questo senso. Qualsiasi forzatura sarà condannata dalla comunità internazionale e dall’Italia». Quando partirà l’intervento per la stabilizzazione? «L’Italia ha dato la disponibilità a svolgere un ruolo di leadership, ma ha preso subito la posizione giusta che qualunque aiuto andrà offerto in collaborazione con i libici, sulla base delle loro richieste». Vi preparate a garantire la sicurezza della missione Onu? «Sappiamo che Unsmil sta pensando alle esigenze per la propria sicurezza, e sta dialogando con noi. Siamo disposti a ragionare sulla base di queste esigenze e dare contributi, insieme ad altri Paesi». Svolgeremo anche l’addestramento di militari e poliziotti? «Lo facevamo anche prima che la situazione diventasse drammatica, a Cassino. L’allora ministro della Difesa al Thinni, poi diventato premier, mi aveva chiesto di trasferire l’addestramento in Libia e avevamo accettato. Siamo pronti a riprendere quel programma». Gli Usa dicono che nel frattempo loro continueranno a lanciare gli attacchi necessari contro il terrorismo. Siete d’accordo? «Certo. Il tema antiterrorismo è separato da quello della stabilizzazione. Sul piano dell’intelligence già esiste da un anno e mezzo un punto di confronto a Roma fra Italia, Gran Bretagna, Francia e Usa, finalizzato proprio allo scambio delle informazioni per prevenire attentati». Le fibrillazioni in Iraq mettono a rischio la tenuta del governo? «L’Italia ha contribuito a vittorie importanti, come la ripresa di Sinjar e Ramadi. Abbiamo addestrato 3000 dei 6000 peshmerga curdi impegnati. Ora c’è attesa per Mosul, che sarebbe il colpo di grazia alle conquiste del califfato in Iraq. Perciò vediamo con preoccupazione le divisioni fra sunniti, sciiti e curdi, che rendono difficile l’offensiva finale. Noi restiamo impegnati con un totale di 750 uomini, destinato ad aumentare». Perché? «Oltre all’addestramento condotto ad Erbil, e quello dei carabinieri per la polizia, abbiamo forze speciali a Baghdad che aiutano a programmare le operazioni. A questi si aggiungeranno 130 uomini per la nuova attività di assistenza ai feriti, con 4 elicotteri sanitari e 4 per la difesa, e circa 500 per proteggere i lavori di riparazione alla diga di Mosul». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI (Gian Mattia D’Alberto/LaPresse) - Ministro della Difesa Roberta Pinotti passa in rassegna i nostri soldati impegnati nell’opera- zione Strade sicure pag. 3 di 3 GIORDANO STABILE Passi avanti in Iraq e stallo in Siria Ma Obama non vuole truppe di terra Giordano Stabile Come in Libia, anche in Siria sarebbe «un errore» inviare truppe di terra. Barack Obama mantiene la linea «basta scarponi sul terreno» che ha caratterizzato la sua presidenza e insiste su una «soluzione politica». Da concordare con la Russia di Vladimir Putin, a cominciare dal «ripristino» della tregua, che non esiste più. Un compromesso con i russi e, di fatto, con Bashar al-Assad, dove anche l’instaurazione di «zone di sicurezza» per i civili è vista come «problematica». Dalle parole del presidente americano, prima in una intervista alla Bbc poi nell’incontro con Angela Merkel, si capisce che la spallata decisiva al Califfato non arriverà dal fronte siriano ma da quello iracheno. In Siria la lotta all’Isis continuerà, come da due anni a questa parte, con raid e blitz delle forze speciali per eliminare i capi. La frenata curda L’armata arabo-curda creata nel Nord (30 mila uomini) è impelagata in lotte settarie, con i curdi dello Ypg di nuovo in conflitto con le milizie arabe filo-Assad. Raqqa è a portata di cannone, è vero, ma è stata fortificata e a difenderla sono le migliori unità a disposizione di Abu Bakr al-Baghdadi, Jaysh al-Khilafa e Jaysh al-Badiya (armata del deserto). Il Pentagono ha inviato 200 uomini delle forze speciali con i curdi, e una tv francese li ha anche ripresi nella battaglia di Shaddadi a febbraio. Altri 50 sono in arrivo. Lo slancio però si è fermato dopo la presa della cittadina sulla strada che collega la capitale siriana dell’Isis, Raqqa, a quella irachena, Mosul. Anche l’offensiva a nord di Aleppo dimostra che in Siria l’Isis non è ancora sull’orlo del collasso. In Siria ci sono i due terzi dei suoi 70 mila uomini, secondo l’analista Hassan Hassan. Le brigate composte solo da foreign fighter, come la famigerata Al-Battar dei libici, sono state sciolte e sostituite da unità miste, più adatte a difendere il territorio. Al-Baghdadi ha dato ordine ai maghrebini di «essere più discreti», per recuperare consenso fra la popolazione locale. Mosul in vista In Iraq è invece la crisi politica, con il premier Haider al-Abadi che ha perso la maggioranza, a impedire l’immediato assalto a Mosul. Ma qui la situazione sul terreno è lineare. Stati Uniti e alleati (550 istruttori italiani) stanno ricostruendo l’esercito iracheno da zero e i primi risultati si sono visti con la liberazione di Ramadi nell’Anbar, seguita da quella di Hit. L’Isis è spinto verso il confine siriano e non è in grado di reagire. Verso Mosul procede la messa in sicurezza delle linee di rifornimento. Con l’arrivo di altri 200 uomini le forze di supporto Usa sono salite ufficialmente a 4100, in realtà sarebbero 6mila. I Marines hanno basi avanzate e artiglieria pesante a 60 km dalla città. Duecento Sas britannici agiscono già nei sobborghi. I Peshmerga curdi sono alleati affidabili. L’ultimo ostacolo è la messa ai margini delle milizie sciite, come già nell’Anbar. Nei giorni scorsi hanno subito una dura sconfitta contro l’Isis a Bashir, vicino a Kirkuk. A differenza che in Siria, dove combattono inquadrati da Hezbollah e Pasdaran, i volontari sciiti finora sono stati più di intralcio che altro. Serve una soluzione politica e un compromesso con le forze sciite oltranziste di Moqtada al-Sadr a Baghdad. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI (Karim Kadim/AP) - Tregua fragile Ieri ad Aleppo il fitto fuoco incrociato tra ribelli e forze governative e i bombardamenti hanno causato 14 vittime civili pag. 2 di 2