Federico Fubini, Sette 22/4/2016, 22 aprile 2016
Politica miope (e con l’artrosi)– Sono pronto a fare una scommessa con i lettori e a risponderne con ciascuno individualmente se poi perdo: il tema delle pensioni non andrà via
Politica miope (e con l’artrosi)– Sono pronto a fare una scommessa con i lettori e a risponderne con ciascuno individualmente se poi perdo: il tema delle pensioni non andrà via. Non smetteremo di parlarne, né quest’anno né questa primavera. Il governo ha appena presentato un provvedimento che con poche centinaia di milioni di spesa (pubblica, naturalmente) incoraggia l’ingresso nel part-time per le persone a pochi anni dal ritiro; il primo ministro ha ripreso a parlare di estendere il bonus da 80 euro alle pensioni minime, peraltro senza specificare se per caso riguarderà anche coloro che magari di pensioni minime ne percepiscono due. Per parte propria, il presidente dell’Inps Tito Boeri ha presentato una propria proposta per la cosiddetta «flessibilità in uscita»: l’obiettivo è permettere il ritiro anticipato rispetto agli stringenti vincoli della riforma impostata dal ministro Elsa Fornero nel 2012. Boeri suggerisce di compensare la spesa in più con alcune penalizzazioni per chi lascia in anticipo e con un contributo da certi tipi di pensioni più alte. Il governo non ha accolto la proposta, ma scommetto che presto ne avanzerà una propria con lo stesso obiettivo: la «flessibilità in uscita». Ciascuna di queste idee ha dalla sua validi argomenti. Ma tutte hanno un tratto in comune: a giudicare dalla costanza con cui questo tema torna nell’agenda politica, si direbbe che la principale emergenza è qui. Dobbiamo parlare così spesso delle persone sopra i 60 di età - è il messaggio - perché sono i più bisognosi di attenzione. Ma è così? No, non lo è. Se l’attenzione della politica dovesse essere proporzionata allo stato di bisogno di una particolare sezione della società italiana, non dovremmo passare tanto più tempo a discutere di pensioni che di altro. Cerco di spiegarmi. Un modo per capire chi è in stato di bisogno, non è guardare ai redditi ma ai consumi. Due persone possono avere una busta paga uguale a Milano e a Calascibetta in provincia di Enna - per esempio due insegnanti delle medie inferiori - ma avere un tenore di vita radicalmente diverso. Lo stipendio di un insegnante a Milano non compra gli stessi metri quadri di abitazione di quanti ne compra a Calascibetta, né gli stessi chili di frutta. I consumi rivelano di più. E cosa dicono? Secondo l’ultima indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia, dicono che quasi un quarto dei giovani fino a 18 anni (il 23,4%) e oltre un quinto di quelli fra i 18 e i 34 anni (20,3) vivono in condizioni di povertà «relativa». (Con questo aggettivo si indicano coloro che vivono al di sotto del 60% della media della popolazione). E ancora. Negli ultimi vent’anni, il reddito medio dei pensionati e in genere quello delle persone oltre i 64 anni di età è quello cresciuto di più: di quasi il 20% in termini reali, cioè al netto degli effetti dell’inflazione. E i giovani? Dal 1995 è sceso del 12% il reddito di quelli fra 19 e 34 anni, la fascia di età più colpita. consenso elettorale. L’emergenza del Paese non sono i più anziani ma gli ultimi arrivati. Non serve né un premio Nobel né un premio Pulitzer per capirlo, ma questa risposta lascia aperta la prossima questione: perché allora la politica continua a privilegiare con le sue attenzioni persone relativamente più soddisfatte rispetto ad altre? Dopotutto, i giovani in Italia sono in un tale stato di bisogno che un gesto verso di loro potrebbe produrre molto consenso. Fra loro e magari fra i loro genitori preoccupati del futuro dei figli. A quest’ultima domanda non ho una risposta, ma ho un sospetto: il meccanismo del consenso nel nostro Paese potrebbe vivere la sua fase artritica. Tutti conosciamo questo disturbo dell’età. Le membra si irrigidiscono, continuano a compiere abbastanza bene i movimenti che hanno sempre eseguito ma non riescono a impararne di nuovi. Così la politica in Italia è talmente abituata a corteggiare il consenso degli anziani che non sa più come conquistare i giovani. In fondo li considera persi, dunque si rifiuta di investire tempo, energia e finanze per rivolgersi veramente a loro. Ma in tal modo questi ultimi si sentono negletti, disertano le urne o i partiti con programmi credibili. E l’artrosi dell’Italia compie un altro giro della sua spirale.