Riccardo Staglianò, il venerdì 22/4/2016, 22 aprile 2016
COSÌ SFIDO RENZI (DA SINISTRA)
[Enrico Rossi]
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Dice che Renzi, quando l’ha incrociato all’inaugurazione di un fabbrica di camper a San Casciano, non ha proferito verbo e gli ha solo dato una pacca sulla spalla: «Amichevole non saprei, ma neppure minacciosa. Almeno per ora». La cosa da commentare, l’elefante nella stanza, era la candidatura del bientinese governatore della Toscana (57 anni) a guidare il Partito democratico al posto del fiorentino presidente del Consiglio (41 anni). L’annuncio, dato nel giorno del secondo anniversario a Palazzo Chigi, è stato attutito dalle stentoree dichiarazioni del premier sulle «briciole dall’Europa» di cui l’Italia non si accontenterà più. Scambiarlo per una semplice testimonianza, però, sarebbe un grave errore. Enrico Rossi, hombre vertical d’altri tempi, non battutaro, fermo sui principi senza essere ingessato, è laureato in filosofia e sa che «di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Se ha aperto bocca nel momento in cui la maggioranza di governo ha raggiunto il perimetro massimo, imbarcando eccezionalmente anche Verdini, ci sono solo due possibilità: o è un kamikaze o sa esattamente cosa sta facendo. Sebbene abbia in passato postato una sua foto abbracciato a una famiglia rom («Vi presento i miei vicini»), escludo la prima ipotesi. Uno che non si spaventa neppure a maneggiare quella kryptonite politicamente bipartisan può arrivare quasi dappertutto. Anche se, esordisce negli uffici romani della Regione Toscana, «Renzi è imbattibile nel corpo a corpo. Però, mentre lui è un velocista, io da piccolo correvo la campestre». Buche da schivare, dossi da saltare e fango quando piove. Un talento che, da oggi al congresso del partito nell’autunno 2017, gli verrà sicuramente utile.
Perché candidarsi ora?
«Perché non mi riconosco più né nel gruppo di Roberto Speranza né in quello dei cosiddetti turchi e questa logica renzismo/anti-renzismo sta imballando il partito. Innanzitutto bisogna accettare che Renzi è stato voluto da tanti compagni. È stato l’argine al crollo, quello giusto per battere Berlusconi. Detto questo, rivendico una mia posizione, autonoma. Lui appartiene all’anima cattolica, io – come il mio amico Gianni Cuperlo – a quella socialista-comunista».
Ecco, la parola proibita. Non teme che le si ritorcerà contro?
«Senta, ricordo ancora mio padre che smoccolava (bestemmiava, ndr) alla notizia che l’Urss aveva invaso la Cecoslovacchia. L’errore più grande del Pci, il suo vero delitto, è di non aver preso le distanze per tempo. Al netto di ciò, quella dei comunisti italiani è una storia positiva. Come diceva Bobbio, il comunismo è tragicamente finito, ma le sue domande restano inevase. Ai giovani è più chiaro di tutti: la sua versione sovietica faceva schifo, ma mio figlio mi saluta con il pugno».
Mi sembra di capire che lei non creda che la distinzione tra destra e sinistra sia superata...
«Non lo è affatto. Ideologico è semmai sostenerlo. Credo, ancora con Bobbio, che il valore cardine della sinistra resti l’uguaglianza, seguita dalla libertà. Per questo la lotta contro la disuguaglianza dovrebbe essere centrale. E invece questa e altre sfide sembrano oggi che le ponga soltanto Papa Francesco. Se uno prova a proporre un orizzonte di valori più ambizioso, gli ribattono: sii concreto. Ecco, detesto questa lobotomizzazione in nome della concretezza. Berlinguer, per dire, non si è fatto mai intrappolare da questo ricatto dialettico».
Ci racconti qualche sua priorità.
«Ci sono 4,5 milioni di poveri. Bisogna aiutarli, a trovare lavoro (i nostri ottomila addetti ai centri per l’impiego sono niente di fronte ai centomila tedeschi) e con redditi di inclusione sociale. A questo proposito, aver tolto la tassa sulla casa anche a chi poteva permettersela non mi è sembrata una buona idea. E con i 500 euro a pioggia sui diciottenni ci si poteva assumere 10-15 mila ricercatori ed evitare loro fughe all’estero. Bisogna ridistribuire la ricchezza. Se il termine è desueto, troviamone un altro. Hollande aveva annunciato di tassare al 75 per cento le grandi fortune, ci ha vinto le elezioni, e poi se l’è rimangiato. Non ci ha fatto una bella figura».
A proposito di modelli stranieri, che ne pensa del candidato Sanders?
«È interessante. Ha avuto l’ardire di rilanciare la parola socialismo. Mi fa venire in mente Gramsci quando scriveva del fordismo, come lotta incessante alla caduta del saggio di profitto del capitale».
Di fronte a pressioni migratorie sempre più forti cosa bisogna fare?
«Intanto l’Europa potrebbe iniziare da un mea culpa su come abbiamo abbassato la guardia sui nostri ideali. Scegliersi come alleati Egitto e Arabia Saudita risponde a una chiara logica commerciale, ma non etica. Per stare in casa nostra, Finmeccanica ed Eni sono realtà importanti, ma guai ad anteporre gli affari ai diritti. Il Pd che immagino non se lo può permettere, non senza perdere l’anima».
E con l’Is, invece, come si comporterebbe?
«In Siria, colpevolmente, ci siamo mossi tardi e male. Credo che servano anche i bombardamenti. Però, come mi spiegava molto lucidamente l’imprenditore berbero che ha investito 140 milioni di euro nelle acciaierie di Piombino, se non capiamo alla svelta che entro il 2050 la popolazione africana raddoppierà, siamo nei guai. Per allora o saremo stati in grado di creare lavoro a casa loro, senza lasciare campo libero ai cinesi, oppure prepariamoci a un assalto alla fortezza Europa. Perché, sia che fuggano dalle guerre o dalla fame, niente li fermerà».
Le sembra che la politica europea ci senta da quell’orecchio?
«Non possiamo permetterci di dividerci su dieci o centomila profughi. Se non affrontiamo sul serio il problema diamo la vittoria ai barbari, intendendo con ciò le nuove destre lepeniste e leghiste del continente».
Tornando alla sua a campagna, come pensa di convincere i militanti democratici?
«Da sindaco di Pontedera ho impedito che la Piaggio delocalizzasse a Nusco. Come assessore regionale alla sanità ho portato la Toscana al primo posto per livelli essenziali di assistenza. Nella crisi la regione da me governata ha retto molto meglio delle altre. Come avrebbe detto Einaudi, almeno non ho ostacolato. Un sondaggio di Scenari Politici mi dà secondo, al 16 per cento contro il 67 di Renzi, come futuro segretario. Considerato che non ho ancora iniziato la campagna, che prevede un libro-manifesto e un lungo giro per l’Italia, mi sembra incoraggiante».
Certo, però lei stesso ammetteva che Renzi oggi sembra imbattibile. Che pensa di fare?
«Credo che il velocismo sia la sua forza ma anche il suo limite. Tra un anno, quando si voterà per la direzione, potrebbe essere subentrata un po’ di stanchezza. L’uomo giusto per battere Berlusconi non è necessariamente quello giusto a guidare il Pd. Bisogna ridare senso alla militanza, rifuggire da tentazioni leaderistiche. E, fuori dal partito, ascoltare le associazioni sul territorio. Come insegnano i genetisti, le specie si rafforzano grazie alla variabilità intra-specifica, ovvero l’insieme delle differenze tra i membri della stessa specie. Vale per tutti, anche per il Partito democratico. Sarà una corsa in salita, ma so che se [*] avessi deciso di correrla sarebbe stato solo per codardia».
Riccardo Staglianò