Carlo Puca, Panorama 21/4/2016, 21 aprile 2016
SULLE TRACCE DEL QUASI GRILLO
Pomigliano d’Arco hanno governato in tanti: destra, sinistra, centro. Manca soltanto un 5 Stelle tra i sindaci di questo paesone industriale di 40 mila anime a nord del Vesuvio. Eppure la generale simpatia politica va orgogliosa e unanime a un giovane grillino che sta scalando i vertici delle istituzioni: lo chiamano «Giggino» e compirà trent’anni il 6 luglio.
Ecco, il Luigi Di Maio nazionale risulta fin troppo noto. È vicepresidente della Camera, componente del direttorio pentastellato, lanciatissimo come candidato premier del movimento (in accordo, va da sé, con Beppe Grillo e Davide Casaleggio). Ma prima di approdare a Roma Giggino fu molto altro ancora, a partire dal suo liceo, intitolato a Vittorio Imbriani, letterato ottocentesco fieramente reazionario ma emarginato anche nella destra storica, complice una visione alternativa della società; la seguente: «L’individuo, secondo me, non esiste, non debbe esistere che per e nello Stato; a questo Moloch deve sacrificare tutto, libertà, affetto, opinioni». A pensarci bene, basta sostituire la parola «Stato» con «movimento» per capire chi sono e cosa perseguono i 5 Stelle. Quanto alla visione politica dell’adolescente Di Maio, è agli atti del liceo. All’inizio del Duemila fu rappresentante di istituto e presentò una lista alternativa a quella di sinistra. La sua si chiamava Mas, acronimo di «Memento audere semper», locuzione in latino creata dal poeta di ideologia fascista Gabriele D’Annunzio. Significa «Ricorda di osare sempre» e fu una frase assai diffusa tra i militanti di estrema destra negli anni Settanta.
D’altronde Antonio Di Maio, il padre, ancora incideva sulla sua educazione politica. È noto che Antonio fu militante della postmissina Alleanza nazionale, è dubbia la sua appartenenza anche al post-fascista Movimento sociale italiano (ramo duri e puri). Appunto, togliamoci ogni dubbio. «Alla cena di fine anno scolastico io e il papà di Luigi facevamo certe discussioni... Irrimediabilmente la tensione dialettica saliva, eravamo su posizioni troppo contrapposte, lui nostalgico di Giorgio Almirante, io di Enrico Berlinguer». A parlare è Raffaele «Lello» Di Pasquale, insegnante di educazione fisica all’Imbriani, dalla lunga («e ininterrotta», rivendica) militanza comunista. Da docente del giovane Di Maio notò «il suo talento politico ma anche la sua praticità. Condusse lui la battaglia per farci trasferire dalla vecchia sede, di fatto un appartamento, a questa scuola qui, una struttura finalmente europea». Lello e Giggino non si sono più persi di vista. Alle elezioni comunali del 2010, quelle in cui Di Maio ottenne appena 59 preferenze, Di Pasquale fu un suo grande sostenitore: «Mi disse che si candidava e ne fui felice. Gli organizzai un incontro con gli elettori. E di quei 59 voti una trentina li prese nel mio seggio, quello di Parco degli amici». Pure da vicepresidente della Camera, Di Maio perpetua ancora la venerazione dei suoi maestri del liceo classico. Come il professore Antonio Cassese, docente di filosofia, con il quale ha anche scritto e girato un cortometraggio sulla Resistenza a Pomigliano. O la sua professoressa di italiano, Rosa Manna, che lo ricorda «con i capelli sempre ben curati, per nulla stravagante nel look. Insomma, è sempre stato un acuto osservatore ma mai un tipo esuberante». Quanto all’apprendimento, la professoressa regala un giudizio che sembra uscito dal suo registro di classe: «Inizialmente riservato, Di Maio è cresciuto con gradualità in termini relazionali e sociali, fino a diventare attivo e partecipe». Probabilmente, sul cambio di personalità hanno inciso la sua attività politica e quella nel laboratorio teatrale dell’Imbriani, uno dei migliori d’Italia. «Luigi strutturava testi inediti o rielaborava la drammaturgia classica» spiega Rosa Manna. Tuttavia, aggiunge, «non era certo un attore nato». E i voti scolastici? «Bene nelle materie classiche, con una evidente preferenza per la filosofia. Nelle materie scientifiche, a partire dalla matematica, era invece nella norma». Un quadro, in effetti, che spiegherebbe il suo insistere, anche nei talk show, sui massimi sistemi scansando i dettagli tecnici. Da adulto, infatti, economia e finanza restano il suoi punti deboli.
Lo sa anche lui, Di Maio, che fino a poco tempo fa conosceva appena la differenza tra Pil e spread. Per questo Giggino, che è ragazzo pratico, sta studiando economia privatamente e riservatamente, complice la fidanzata (la coach Silvia Virgulti) e la madre, Paolina Esposito. La quale, nonostante tutto, ha ancora un cruccio. Sentite Di Pasquale: «L’ultima volta che ho incrociato Paolina ero con Lina, la bidella, e si lamentava perché vedeva suo figlio distratto dalla politica invece di studiare giurisprudenza. Le ho detto che ormai il ragazzo aveva trovato la sua strada, bisognava solo incoraggiarlo». Quella strada era partita da un punto ben preciso, la Distilleria di via Roma, una fabbrica di alcool etilico trasformata in un centro polifunzionale. Ci sono un bar di design, un ristorante gourmet, una sala conferenze e una grande e ben frequentata libreria. Tutto viene gestito dalla famiglia Scuotto (Giuseppe, Giorgia e Piera), che al meet-up di Pomigliano offrì l’utilizzo gratuito di una saletta. «Si capiva da subito» rievoca Giuseppe «che quei ragazzi avevano tanta energia». Ma anche molto tempo. Paolo Picone, direttore di Primapress, una fortunata agenzia di stampa, aveva fondato lui il primo meet-up di Pomigliano, salvo poi disimpegnarsi: «Eravamo un centinaio di iscritti. Però quando capii che lavoro, famiglia e meet-up erano incompatibili, invitai tutti ad associarsi al Pomigliano-2». Ovvero al gruppo di Di Maio, Valeria Ciarambino e Dario De Falco, all’epoca tutti meno indaffarati di Picone. Il fato ha poi voluto che i 5 Stelle esplodessero elettoralmente. Di Giggino sappiamo; Ciarambino è stata la candidata governatrice in Campania nel 2015; De Falco, che ha corso come sindaco nel 2015, viene considerato il vero leader dei 5 stelle di Pomigliano e per tutti è una sola cosa con Di Maio, personalmente e politicamente.
Ora De Falco è qui alla Distilleria, ed è l’unico a Pomigliano a dire Luigi e non Giggino. Le sue parole sono una conseguenza di chiarimenti. La candidatura di Di Maio alle politiche? «Luigi era intimorito, sentiva il peso delle cose più grandi di lui. Gli dissi con leggerezza: proviamo. E quando è stato scelto dalla piattaforma, è stata una gioia incredibile. Gli spiegai che era già in Parlamento». Il giorno dell’elezione? «Aprimmo una torta in via Cantone, avevamo un cappello di carta, di quelli da muratore, con sopra il simbolo dei 5 Stelle». Perché sceglieste lui e non altri? «Possiede un saper fare esclusivo. E, tra noi, già allora era quello che manteneva sempre fede all’impegno preso». Avete festeggiato anche la vicepresidenza della Camera? «No, nessuno di noi ne aveva capito la portata. Alla vigilia non sapevamo proprio che esistesse il ruolo, pensavamo che ci fossero solo i presidenti».
Con la scomparsa di Gianroberto Casaleggio i 5 stelle diventeranno un’altra cosa? «No, il direttorio è autonomo, e comunque la Casaleggio associati è sempre arrivata fino a un certo punto. Il movimento già cammina sulle sue gambe». Al netto dell’avversione di qualcuno tipo Roberto Fico, un gruppo di senatori e qualche decina di iscritti ai meet-up Di Maio ne sarà il leader? «Questa è una forzatura giornalistica, Roberto e Luigi sono come fratelli. Per il resto, comanderà la Rete. Se lo sceglierà, il movimento sarà unito su di lui». Però lo ammetta: «uno vale uno» è un concetto superato.«No, è soltanto un concetto che non va scimmiottato. Luigi vale uno numericamente ma vale dieci, cento o mille se dieci, cento o mille si riconoscono nella sua attività politica. Perché il movimento siamo tutti noi, un’intelligenza collettiva». Che ora ha pure (quasi) trovato un leader dannunziano.