Costanza Spocci, Limes: Bruxelles il fantasma dell’Europa 3/2016, 21 aprile 2016
ISLAMICO, MA PUR SEMPRE STATO
Lo Stato richiede un sistema di vita islamico, con una costituzione coranica e un sistema per implementarla.
Documento programmatico dello Stato Islamico [1]
1. La narrazionie mainstream si è finora concentrata su due aspetti dello Stato Islamico (Is): la sua ferocia e la foga religiosa, pretendendo di spiegare la natura del gruppo esclusivamente con questi due fattori, senza distinguere gli strumenti dagli obiettivi.
Se l’Is non è (ancora) uno Stato effettivo, di certo è un’organizzazione politica con una struttura molto complessa e minuziosamente calibrata ed è in questo che differisce da al-Qa‘ida e dagli altri movimenti jihadisti. L’Is ha l’obiettivo di fondare un vero Stato con tutti gli attributi del caso: monopolio esclusivo della forza, sovranità interna e indipendenza dall’esterno. L’impronta statale già esiste, così come i documenti che testimoniano lo sforzo di strutturare un apparato burocratico che protegga ed estenda l’identità e il potere sunniti, al punto da sfidare i confini tracciati dagli accordi di Sykes-Picot (1916) e dalla conferenza di Sanremo (1920).
L’amministrazione delle risorse delle province conquistate in Siria è il Diktat fondamentale per uno dei princìpi base dello Stato Islamico: l’autosufficienza. I corollari, perché questo sia possibile, sono uno stretto controllo del territorio, la tassazione e l’espansione. La religione è puramente strumentale a legittimare il potere, specialmente del politburo dell’Is. Essa viene utilizzata come ideologia unificante con lo scopo di «glorificare e fare eterni i leader che cercano rifugio in Dio», ricoprendoli di un’aura divina e «rendendoli immortali»: queste le parole di Abu Abdullah al-Masri, colui che si è fatto carico di mettere per iscritto il piano per la costituzione dello Stato Islamico [2].
L’Is ha inoltre ideato una struttura parallela a quella statale con l’aiuto della vecchia élite del partito Ba‘t iracheno fedele a Saddam Hussein, spodestata con un colpo di penna dall’amministrazione americana dopo l’intervento militare in Iraq. Dei 23 ministri dell’Is, tre sono ex ufficiali di Saddam che hanno deciso di tagliarsi i baffi e farsi crescere la barba e oggi sono a capo dei ministeri chiave: Sicurezza, Esercito e Finanze. A far loro compagnia ci sono altri rinomati ex ufficiali del Ba‘t iracheno, come Walid Gasim e Fadil al-Hiyali (oggi Abu Ahmad al‘Alwani e Abu Muslim al-Turkumani) e Ayman Sab’awi, figlio del fratellastro di Saddam, nonché Ra‘d Hasan, cugino del ra‘is [3].
Il giornalista di Der Spierei Christoph Reuter ha recuperato a Tall Rif‘at, in Siria, trentadue pagine scritte a mano da Hagi Bakr, l’ex capo dell’intelligence di Saddam Hussein. I documenti riportano come Bakr, insieme ad altri ex ufficiali del Ba‘t iracheno, abbiano programmato l’espansione dell’Is in Siria attraverso la costituzione ex novo di un’intelligence. Si tratta di un piano dettagliato, scritto su carta intestata del ministero siriano della Difesa, che testimonia come Hagi Bakr volesse che le prime missioni di ricognizione dell’Is in Siria riportassero quante più informazioni possibile sugli equilibri di potere presenti nella specifica area da conquistare, in modo da pianificare un divide et impera sfruttando le divisioni interne alla città (tra clan, brigate e consigli locali), da attuare nel momento stesso della conquista. Per ogni villaggio e città, la procedura è la stessa: selezionare una o due persone che fungano da informatori e ne reclutino nuovi di fiducia in grado di fornire «una lista delle famiglie più potenti, i nomi degli individui più influenti all’interno di queste famiglie, le fonti di reddito, i nomi e l’entità dei gruppi ribelli in città» [4]. Questo è esattamente quanto è avvenuto per la conquista di Raqqa, l’autoproclamata capitale del «califfato.
2. La presa di Raqqa è uno degli esempi migliori per capire la logica usata dall’Is per infiltrare e poi governare un territorio. Innanzitutto perché è la città simbolo scelta dal movimento come centro nevralgico delle sue attività in Siria, per la posizione strategica e la storia stessa del luogo. Poi perché Raqqa è la punta di diamante del progetto di governo del gruppo, dopo i fallimenti amministrativi – e le conseguenti rivolte cittadine e tribali – nella regione dell’Anbar in Iraq.
Il 5 marzo la città si libera dal controllo del governo siriano. La battaglia per Raqqa è condotta da Gabhat al-Nusra, supportata da Ahrar al-Sam e da Liwa’ Tuwwar, gruppi locali di ribelli. «Nel 2014 e nel 2015 l’Is è entrato nelle aree controllate dall’opposizione e a Raqqa, appena il regime se ne è andato, ha iniziato la sua opera di infiltrazione», racconta Tahir Maqris, giornalista di Raqqa e coordinatore dell’agenzia stampa siriana Qasiyuni. In città iniziano a spuntare le da‘awat, centri di proselitismo che di solito hanno lo scopo di invitare le persone a dialogare sulla religione islamica. In questo caso però servono a individuare e reclutare i futuri informatori. Uno dei primi centri è gestito da Abu ‘Ali, ex pastore e muratore di Raqqa che faceva campagna elettorale per al-Asad durante le elezioni presidenziali [5], in seguito diventato il primo giudice islamico dell’Is in città.
Lo Stato Islamico paga bene i suoi facilitatori e promette posti di potere in cambio di lealtà e informazioni. I suoi uomini occupano progressivamente le posizioni di rilievo di ogni gruppo con un minimo di autorità, in ogni aspetto della vita sociale di Raqqa: dalla municipalità alla polizia, dai consigli locali alle varie articolazioni della società civile. L’Is coopta alcuni capi brigata di Raqqa, come Abu Hamza al-Sami (al secolo Musa Tabal), ex capo del gruppo ‘Adiyat diventato poi un alto ufficiale nel dipartimento Sicurezza dell’Is; in altri casi promette un’equa spartizione delle armi, come a Gabat al-Nusra, per poi però ucciderne i leader Abu Sadir e Abu Ginan.
La battaglia per il controllo di Raqqa ricomincia a fine dicembre 2013 e dopo due settimane l’Is entra in forze nella città, facilitato dai bombardamenti di al-Asad contro l’opposizione armata e dagli attacchi della l7ª divisione dell’Esercito siriano, stanziata a pochi chilometri dalla città. Un fotografo di Raqqa al seguito di Liwa’ Tuwwar durante gli scontri racconta che a un certo punto Gabat al-Nusra si sarebbe ritirata senza preavviso, seguita poco dopo da Ahrar al-Sam: «Siamo rimasti soli davanti all’Is, ci hanno lanciato contro tre attacchi suicidi con macchine imbottite di esplosivo ed era tutto finito. Avevano vinto» [6].
Lucidati scarponi e kalashnikov, l’Is festeggia la sua vittoria con parate in giro per la città, mettendo bene in mostra l’artiglieria pesante dall’alto dei carri armati. Ma alla baldoria subentra presto il calcolo amministrativo: la città-esperimento, capitale di uno Stato embrionale. «Alla fine dei combattimenti l’Is ha installato immediatamente posti di blocco in tutta la città e ha iniziato una caccia senza quartiere ai membri del Libero esercito che non se l’erano data a gambe», racconta Muhtar.
Abu Luqman diventa l’emiro della provincia di Raqqa, affiancato da un giovane scagnozzo di 23 anni, Abu Anas al-‘Iraqi. «Era una situazione assurda, vedevi i personaggi più pericolosi e ricercati in tutto il mondo camminare tranquilli per le strade tra la gente e al mercato. In soli otto mesi l’Is ha preso il controllo totale delle istituzioni e della municipalità e allora tutto si è fermato: istruzione, assistenza medica e tutte le attività collegate alla società civile» [7]. Una delle prime premure è battere cassa, chiedendo a tutti i cristiani di pagare una tassa annua di 13 grammi d’oro (la gizya) [8] per vivere in territorio musulmano. Ai cristiani viene poi vietato di esporre croci e svolgere funzioni religiose. Le chiese sono immediatamente requisite e convertite in uffici o centri islamici, come la chiesa di Sayyidat al-Bisara che diventa immediatamente un centro per la da‘wa. In parallelo iniziano i saccheggi di tutte le proprietà di quanti si erano opposti all’Is: edifici del governo, proprietà dei leader del Libero esercito, case di altri cittadini o combattenti riutilizzate come carceri o alloggi per i combattenti stranieri.
Inizia una lunga stagione di rapimenti: prima il capo della provincia, ’Abdullah al-Halil, poi uno a uno gli attivisti laici più prominenti. Segue poi l’eliminazione sistematica di tutte le figure chiave dell’opposizione che potessero fungere da contropotere. «All’inizio l’Is negava ogni responsabilità, ma tutti sapevano che erano loro», racconta un cittadino di Raqqa. «Avevano un segno indistinguibile: la Kia bianca, l’auto utilizzata dall’Alligator brigade, la forza speciale dell’Is per i rapimenti» [9]. Chi non è morto o fuggito, è in carcere.
La prigione centrale, l’unica ufficiale della città, si chiama Point 11: l’ex stadio della città è oggi il più grande centro interrogatori dello Stato Islamico, in cui confluiscono tutti i prigionieri catturati in Siria e in Iraq. Un attivista originario di Raqqa che è stato imprigionato a Point 11 per ordine di Abu Luqman con l’accusa di pubblicare articoli contro il «califfato» racconta: «I metodi di tortura dell’Is sono identici a quelli del regime di Bassar al-Asad: perfino il tubo di plastica verde (aHdar in arabo) che usano per picchiare gli interrogati. I carcerieri lo chiamano al-AHdar al-Ibrahimi, l’ex inviato Onu in Siria» [10].
La stessa fonte dice di essere entrata in contatto con una spia dell’Is che si fingeva prigioniero a Point 11. Si tratta di Talas Surur, classe 1992, che il 30 ottobre ha ucciso due attivisti di Raqqa: Ibrahim ‘Abd al-Qadir, cofondatore della piattaforma Raqqa is being slaughtered silently (Raqqa viene sgozzata silenziosamente) e Faris Hammadi, giornalista del siriano Eye on Homeland, trovati decapitati nell’appartamento di Abd al-Qadir a Urfa, la città turca con maggior concentrazione di attivisti dell’Is. Surur aveva raccontato ai due attivisti di aver defezionato dall’Is ed era riuscito a guadagnarne la fiducia, tanto da diventare il coinquilino di Hammadi. Il gruppo continua a inseguire i suoi oppositori anche fuori dal suo territorio, inviando sicari nelle altre provincie siriane e nel Sud della Turchia.
3. Oggi la capitale ufficiosa dell’Is è la città con la maggior concentrazione di possibili obiettivi della coalizione occidentale: i principali leader del gruppo, la burocrazia e tutti i quadri intermedi che hanno giurato fedeltà al «califfo». Si tratta di specialisti di finanza e computer, comandanti di campo e circa 10 mila [11] soldati di terra, tutti raggruppati in poco più di una decina di punti in città. Tra questi vi è il quartier generale dell’Is a Raqqa, il vecchio municipio, ai cui piani superiori dormono 150 combattenti provenienti per lo più da Tunisia e Arabia Saudita, mentre nei restanti piani sono ospitati uffici, una prigione da 25 celle e (nel seminterrato) gli uffici amministrativi per familiari o amici dei prigionieri.).
«L’Is è diventato come un vero Stato se parliamo di amministrazione della città», sentenzia Tahir Maqris, originario di Raqqa e coordinatore dell’agenzia di stampa siriana Qasiyuni. Fornisce servizi attraverso i suoi dipartimenti amministrativi, eroga e distribuisce acqua, garantisce la manutenzione e la pulizia delle strade, ricostruisce le infrastrutture distrutte, gestisce le forniture elettriche, i servizi postali e gli autobus pubblici [12] da Raqqa alle altre province. In città ha costruito un nuovo suq (mercato) e non manca di ribadire il ruolo di welfare svolto dal dipartimento della Zakat, che oltre a ridistribuire il reddito ai meno abbienti si occupa degli orfani, finanzia campagne di vaccinazione antipolio [13], costruisce panifici e gestisce una cucina comune per la distribuzione dei pasti. Questo quando il segretario del dipartimento non scappa in Turchia con tutti i soldi, come nel caso di Abu ‘Ubayda al-Misri, emiro dell’Is di origine egiziana [14]. Inoltre, se da un lato l’Is confisca e distrugge medicine contraffatte, dà fuoco a scatole di sigarette e crocifigge chi viola le regole o è accusato di apostasia, dall’altro stabilisce precisi standard da rispettare, come quelli per i commercianti che in gran parte hanno chiuso le loro attività nel suq e hanno aperto supermercati o kebab. Il dipartimento degli Affari pubblici dell’Is ha inoltre stabilito norme precise per i pochi ambulanti ancora autorizzati a mantenere negozi nei due principali mercati di Raqqa: «Rispettare gli standard di pulizia, non esporre le merci per strada né sui marciapiedi e divieto assoluto di vendere bombole del gas in zone abitate. Gli ambulanti del suq al-Hudra devono lasciare uno spazio di 3 metri per il passaggio dei pedoni, mentre quelli del suq al-Sam almeno 4 metri» [15]. Le pene per il mancato rispetto di queste regole variano da un’ammenda di mille sterline siriane al carcere.
La sofisticata burocrazia del gruppo include anche Corti islamiche e forze di polizia. Tutto è regolamentato da sedici dipartimenti: dalla vendita delle armi a quella di pane, acqua, grano e beni di prima necessità. L’intricata struttura amministrativa ha anche lo scopo di mantenere il controllo sui membri del movimento, al punto che a Raqqa sin dal 2014 l’Is ha aperto un Ufficio lamentele per consentire ai cittadini di denunciare abusi di potere o casi di corruzione. Ciò, comunque, non è necessariamente indice di buon governo: se da una parte produttori e commercianti sono costretti a seguire norme precise che offrono una parvenza di legalità, dall’altra quegli stessi venditori sono completamente in balìa degli intermediari fedeli all’Is che controllano il trasporto di prodotti agricoli da Raqqa alle altre aree sotto il controllo dell’organizzazione, comprese quelle in Iraq. Gli intermediari la fanno dunque da padroni, potendo decidere arbitrariamente i prezzi senza possibilità di appello.
Chi giura fedeltà al «califfo può investire in un campo petrolifero o di gas, ma per la produzione e la compravendita interna ed esterna degli idrocarburi sono necessari i permessi erogati dal dipartimento del Petrolio della provincia (wilaya). Lo stesso vale per l’agricoltura: chi investe nelle terre conquistate o espropriate dallo Stato Islamico riceve in cambio «protezione e la possibilità di fare profitto; ma l’attività resta sotto lo stretto controllo dell’Is, che concorda la produzione, i prezzi e le esportazioni con gli agricoltori. La proprietà della terra e di ogni altro bene immobile deve essere approvata e registrata al catasto della città [16], che effettua regolarmente controlli sui certificati di proprietà. Anche lo scavo di reperti archeologici da parte di privati cittadini è regolamentato: tutto è possibile, basta informare il dipartimento delle Antichità incaricato di fornire le autorizzazioni. I reperti ritrovati devono essere consegnati alle autorità dello Stato Islamico, che li confisca e si occupa di rivenderli sul mercato nero [17].
L’amministrazione fa parte di una precisa tattica dell’Is volta a radicarsi e mantenere il controllo del territorio, perché è dal territorio che esso dipende e si sostenta. Raccogliere le tasse, gestire ordinatamente entrate e uscite, far eseguire gli ordini attraverso una rete capillare di funzionari è un primo passo per garantire la sostenibilità del sistema creato dall’Is nel futuro prossimo. È la preparazione di quello che Max Weber ha definito il passaggio dalla leadership carismatica a quella burocratica, dove l’autorità non risiede più nelle persone fisiche che occupano le posizioni di potere (Abu Luqman al momento per Raqqa), bensì nelle norme, riprodotte e radicate nel territorio grazie a un’amministrazione dipendente dal potere centrale.
L’Is ha eliminato fisicamente la precedente élite amministrativa e l’ha rimpiazzata con uomini ad esso fedeli, ma ha volutamente mantenuto i quadri intermedi, inglobandoli nella sua macchina parastatale. Le amministrazioni distrettuali della provincia di Raqqa impiegano direttamente personale civile offrendo opportunità di lavoro, come mostra un avviso dell’ufficio Ispezioni e Sorveglianza del distretto di al-Hisba: «L’ufficio cerca personale civile specializzato nelle seguenti mansioni: amministratore d’ufficio, contabile, guardia, ispettore sanitario, veterinario e assistente veterinario, macellaio, macellaio specializzato nel taglio della gola (dabbah), addetto alle pulizie» [18]. In questa scelta è evidente l’impronta baatista: la religione è uno strumento per legittimare il potere e reclutare nuovi membri, ma non basta nel medio-lungo termine a garantire una presenza stabile sul territorio. Da qui l’esigenza di codificare il potere, che a Raqqa viene ricolorato di verde (il colore dell’islam) ma che l’Is si sforza di strutturare sul modello occidentale dello Stato nazionale.
Per questo è importante tenere in conto l’enorme sforzo burocratico del movimento per poterlo capire, anche se è più facile immaginare i militanti dell’Is intenti a sgozzare un detenuto in camice arancione, piuttosto che a timbrare scartoffie tutto il giorno. Eppure il timbro dello Stato Islamico è su tutte le ricevute: nei documenti ospedalieri, sui certificati di nascita per la registrazione all’anagrafe [19], nei libretti di vaccinazione dei bambini [20], sui permessi di guida erogati dalla Motorizzazione islamica [21], sulle multe e sulle ricevute di pagamento delle tasse o di ogni altro servizio fornito dall’amministrazione pubblica. Perfino sulle tangenti, ufficialmente definite «permessi», che i conducenti dei camion sono tenuti a pagare per il transito sul territorio dell’Is.
Il timbro e il logo del «califfato» appaiono anche sui benefit riservati ai leader dell’organizzazione, quasi a giustificare le relative spese. Vi sono ricevute, accompagnate da previa richiesta di fornitura, per gli appartamenti di Abu Luqman e Abu Yahya al-Tunusi e i relativi «accessori della camera da letto»; o per la richiesta di un prestito da parte di Abu al-Bara’ al-Dimasqi, mentre Abu ‘Azmi richiede formalmente l’acquisto per sé di una lavatrice automatica ultimo modello, perché l’igiene è importante anche in guerra [22].
4. A conti fatti però, «autosufficienza» rimane la parola d’ordine. Nei suoi documenti, al-Misri riporta la necessità di costruire fabbriche per la produzione alimentare e militare, in modo da non dover dipendere dai trafficanti di armi o di cibo. Da qui l’ossessione dell’Is per le tasse. Secondo la vulgata, l’Is vivrebbe dei proventi del petrolio estratto dai campi di Dayr al-Zawr, la provincia più ricca di petrolio e gas di tutta l’area controllata dal movimento. Il gruppo venderebbe infatti petrolio ed elettricità al governo di al-Asad e idrocarburi alla Turchia [23], lucrando altresì sull’imposizione arbitraria del tasso di cambio col dollaro nelle aree sotto il suo controllo e sulla tassazione del sistema hawala per il trasferimento di denaro.
Guardando però allo statuto finanziario ufficiale della provincia di Dayr al-Zawr, risulta che lo Stato Islamico avrebbe guadagnato 8,4 milioni di dollari nel gennaio 2015, di cui il 23,7% derivante dalle tasse, il 27,7% da vendite di gas e petrolio, il 3,9% da elettricità e il 44,7% da beni confiscati [24]. Dunque il maggiore introito non verrebbe dal petrolio e neppure dalle tasse. Estorsioni e confische restano il pane quotidiano di un embrione di Stato che di fatto non è ancora in grado di redistribuire gli introiti alla popolazione, utilizzandoli in primo luogo per pagare i combattenti, cui va il 43,3% delle entrate nel caso di Dayr al-Zawr. I guerrieri ricevono infatti uno stipendio che varia dai 300 ai 2 mila dollari al mese, a seconda della loro posizione, con un compenso medio di mille dollari per i comandanti [25]. Secondo alcuni documenti recentemente recuperati dal Guardian e studiati da Ayman Gawad al-Tamimi, lo Stato Islamico avrebbe però deciso di decurtare lo stipendio di tutti i suoi combattenti del 50% nella provincia di Raqqa, «a causa delle attuali circostanze eccezionali». Il documento risale alla fine del 2015 e si riferisce ai bombardamenti continui che hanno gravemente danneggiato le attività economiche in città e in provincia. Nonostante tutto, precisa la nota, il versamento «avverrà ogni due mesi come al solito» [26].
A Dayr al-Zawr, invece, le ultime cifre sul salario medio mensile continuano a rimarcare differenze tra locali e stranieri, con stipendi che oscillano tra i 200 e i 500 dollari per i combattenti siriani e tra i 600 e i 1.200 dollari per gli europei. I combattenti provenienti da paesi arabi guadagnano tra 400 e 700 dollari, mentre lo stipendio dei bambini soldato va dai 100 ai 200 dollari e quello delle componenti della brigata femminile al-Hansa’ dai 200 ai 500 dollari. I leader guadagnano invece dai 1.100 ai 2.500 dollari mensili [27].
Secondo il piano di al-Misri, perché lo Stato Islamico si consolidi è necessario creare un nuovo substrato culturale unificato, fondato sull’identità sunnita e sulla lingua araba, senza differenze tra i nativi e gli stranieri che decidono di raggiungere lo «Stato». È dunque necessario un sistema formativo, o di indottrinamento, che porti a un cambiamento sociale, dove i muhagirun (migranti) coesistano e siano integrati con gli ansar (nativi). Per questo l’Is investe nella formazione dei suoi adepti, che finiscono in campi di addestramento per un periodo variabile in base all’età, alla fede e all’esperienza nell’utilizzo delle armi: campi di preparazione, dove viene formata e testata la lealtà al movimento, e campi di «continuazione». In questi ultimi la formazione verte su come gestire una battaglia dall’inizio alla fine ed è qui che si formano i quadri medio-alti, che ricevono dei corsi di aggiornamento continui per rinfrescare la memoria e ricevere istruzioni sulle ultime novità in ambito di tecnologie militari. L’Is punta molto sul suo «capitale umano», poiché l’indipendenza dall’Occidente deve essere anche culturale.
Nella provincia di Raqqa esistono anche campi per bambini, che durante la formazione possono essere impiegati nei posti di blocco e nelle pattuglie, oltre a essere utilizzati come informatori dalle unità amniyyat dell’intelligence interna. A questi campi si affianca un sistema d’istruzione che sulla carta è uguale per tutti: nove anni di studio obbligatori, cinque di elementari e quattro di scuola secondaria, cui seguono le selezioni per entrare al college. Gli insegnanti possono esercitare solo dopo aver firmato una dichiarazione di fedeltà all’Is (che tutti i funzionari pubblici devono sottoscrivere per poter esercitare il proprio ufficio) e aver frequentato due mesi di corsi di sari’a, al termine dei quali devono superare un test [28].
In realtà le scuole funzionano a intermittenza e l’istruzione non è obbligatoria. Gli stranieri, inoltre, sono fortemente privilegiati e hanno scuole private (migliori) in cui mandare i loro figli [29]. Questo è uno dei tanti incentivi che l’Is fornisce agli stranieri che vogliono prendere la «cittadinanza» a Raqqa. I muhagirun, a differenza dei locali, vengono pagati in dollari (quindi non sono soggetti alla continua svalutazione della sterlina siriana), ricevono il doppio del salario medio, non devono pagare per l’alloggio né fare le code per il pane. Inoltre beneficiano di sussidi per il gas e l’elettricità. Perché tanta premura? Perché i muhagirun combattono senza dover pensare alla famiglia, alla proprietà o al raccolto e portano all’Is expertise militare e civile. Lo stesso Hagi Bakr e l’avanguardia dell’Is in Siria non si sono portati i soldati dall’Iraq, né intendevano formare un esercito di soli siriani, legati alla loro terra. Bakr ha volutamente cercato di reclutare soprattutto stranieri: persone che conoscessero solo i loro commilitoni e che avessero pochi legami sul posto, dunque piu disponibili ad azioni crudeli.
5. Da quando l’Is ha smesso di espandersi territorialmente e si è trovato a combattere su più fronti – i curdi a nord (Hasaka), i ribelli ad Aleppo e Idlib, il regime a Dayr al-Zawr – è in difficoltà a gestire i dissidi interni e uno «Stato» minato dall’impegno militare e dai bombardamenti. Lo Stato Islamico è passato da una tattica militare offensiva a una postura difensiva nel febbraio 2015, quando si è trovato ad affrontare per la prima volta una fase di declino nel corso della guerra siriana, seppur mitigata dall’avanzata nella provincia di Dayr al-Zawr nel gennaio 2016.
Il cessate-il-fuoco entrato in vigore in Siria il 27 febbraio ha stabilito una fragile tregua, non sempre rispettata, tra i ribelli e le forze di (o alleate con) al-Asad. Le Forze armate siriane e l’Aviazione russa hanno dunque intensificato gli scontri con l’Is a Dayr al-Zawr e hanno attaccato anche sul fronte di Palmira, riconquistandola. Le forze curdo-siriane della Ypg invece continuano a fare pressioni su Hasaka, a nord di Raqqa, e nella provincia di Manbig, dove l’Is si sta preparando a una battaglia.
I costi crescenti della guerra hanno causato non poche dispute interne tra i leader stranieri e quelli locali (siriani e iracheni). I militanti locali si sono rifiutati di ritirarsi da Aleppo, come invece richiesto dagli alti quadri (iracheni e siriani) e sono rimasti a combattere il Libero esercito in quelle aree; altri militanti temono invece i bombardamenti e non si presentano al fronte, come riportato da un comandante del Libero esercito sul terreno di battaglia di Manbig [30], a nord-est. Tutto credeva Abu Luqman, tranne che proprio Abu Talha al-Kuwayti, capo della polizia religiosa al-Hisba di Raqqa, scappasse a gambe levate in Turchia con un miliardo di dollari. Diversi alti quadri dello Stato Islamico a Raqqa sono stati giustiziati per aver ordito un golpe proprio contro l’emiro della città. Lo scorso settembre la Corte islamica di Mayadin, nella provincia di Dayr al-Zawr, ha condannato a morte quaranta membri dell’Is accusati di tradimento per non aver seguito le istruzioni di andare a combattere al fronte ad Aleppo e a nord di Raqqa, dove l’Is ha recentemente perso terreno di fronte all’avanzata delle forze curde e dei ribelli. Tra i condannati vi erano diversi quadri sauditi che si sono rifiutati di allontanarsi dalla provincia di Dayr al-Zawr. Qualche giorno prima delle esecuzioni, Abu Hudayfa al-Libi, un noto comandate di Raqqa, veniva ucciso con un colpo alla testa da un suo sottoposto, dopo aver ripetutamente minacciato i suoi uomini di ucciderli tutti se non fossero andati a combattere ad al-Hawl, nella provincia di Hasaka, contro i curdi. Un altro evento inedito, accaduto lo scorso ottobre, è la grazia accordata a diversi disertori a Raqqa: un atto di clemenza dettato dalla necessità di rimpolpare le file di combattenti.
Più recente l’episodio del campo di al-Furusiyya, dov’è raggruppata la maggior parte dei combattenti stranieri dell’Is. Il gruppo avrebbe arrestato settantacincjue olandesi [31] accusati di voler scappare dal campo, uccidendone otto e sotterrandone i corpi fra le montagne di al-Gurf, a Ma‘dan.
L’Is appare oggi più paranoico e ha aumentato le restrizioni per chi vive sotto il suo giogo: le donne sotto i 45 anni e i ragazzi sotto i 19 non possono lasciare Raqqa, fatti salvi i viaggi a Damasco per urgenze mediche. Il movimento ha addirittura lanciato una campagna di comunicazione in cui si invitano i giovani a restare, invece di partire per la «xenofoba» Europa [32]. È poi proibito l’accesso a reti wi-fi private; le retate negli Internet caffè sono regolari, così come i controlli a campione di cellulari e pc. Sono stati aumentati i posti di blocco dentro e fuori le città sia per evitare che le persone scappino, sia per tenere a bada i traffici illeciti (cioè non autorizzati dall’Is) di oro, acciaio e reperti archeologici. La guerra su più fronti e i bombardamenti massicci su Raqqa [33] hanno un impatto molto forte anche sui civili, che pagano le conseguenze maggiori in termini di vite umane e costi materiali. La produzione, soprattutto quella agricola, è notevolmente calata, anche se i contadini continuano a coltivare sotto le bombe. Le strade ricostruite sono state danneggiate, quasi tutte le centraline elettriche distrutte, diminuisce il commercio e aumentano i dazi alle dogane. Le scorte di medicinali sono una delle note più dolenti: i bombardamenti costanti e la recente distruzione dell’ospedale di Raqqa impediscono di fornire cure, anche di base.
La situazione difficile e l’aumento delle tasse (+40% solo sull’acqua dallo scorso agosto) creano malcontento in una popolazione ridotta allo stremo. Ma bombardamenti non intaccano per il momento il potere dell’Is su Raqqa. Le vecchie brigate sono infatti sgominate da tempo, i principali oppositori eliminati o in esilio e i tentativi di alcuni clan di avvicinarsi alle Forze armate curde sono falliti a causa di dissidi interni. A Raqqa, per il momento, non esiste un’alternativa al «califfato».
Note:
1. «The Isis Papers: A Masterplan for Consolidating Power», The Guardian, 7/12/2015.
2. S. MALIK, «The Isis Papers: behind Death Cult Image Lies a Methodical Bureaucracy», The Guardian, 7/12/2015.
3. I. COLES, N. PARKER, «Special Report: How Saddam’s Men Help Islaic State Rule», Reuters, 11/12/2015.
4. C. REUTER, «The Terror Strategist: Secret Reveal the Structure of the Islamic State», Der Spiegel Online, 18-4-2015.
5. A. MOHAMMED, «Abu Ali Islamic Judge the Joker of ISIS returns back again», Ribss, 5/4/2015.
6. Intervista realizzata a Gaziantep, Turchia, nel novembre 2015.
7. Intervista realizzata nel novembre 2015 in Turchia.
8. Tahir Maqris, giornalista originario di Raqqa e attivista anti-Asad e anti-Is, coordinatore dell’agenzia di stampa siriana Qasiyuni. Intervista realizzata nel novembre 2015.
9. Idem.
10. Intervista realizzata a Gaziantep, Turchia, nel novembre 2015.
11. M. ROSENBERG, E. SCHMITT, «In ISIS Strategy US Weighs Risk to Civilians», The New York Times, 19/12/2015.
12. I servizi di autobus da Raqqa a Ma’dan (60 chilometri) per 50 sterline siriane, all’epoca (novembre 2013) corrispondenti a 0,36 dollari. Fonte: quotidiano turco Radikal.
13. A. ZEUN, «The Islamic State of Iraq and Syria Has a Consumer Protecion Office», The Atlantic, 13/7/2014.
14. G. MEZZOFIORE, «Isis Egyptian Treasurer “Steal Zakat Funds” and Flees to Turkey», International Business Times, 3/2/2015.
15. Documento del dicembre 2014, goo.gl/9LflVF
16. goo.gl/1aM850
17. H. HASSAN, M. WEISS, ISIS Inside the Army of Terror, New York 2015, Reagan Arts.
18. justpaste.it/hisbahemployment
19. Certificato di nascita nella provincia di Aleppo: justpaste.it/isbirthcertificate
20. Libretto vaccinazioni di un bambino nella provincia di Aleppo in cui risultano effettuate le vaccinazioni contro polio, tubercolosi, epatite A e B: goo.gl/QUFPmC
21. Patente rilasciata dall’Is: goo.gl/gRXYNS, fonte: Aljazeera.
22. C. REUTER, «The Terror Strategist: Secret Files Reveal the Structure of the Islamic State», Der Spiegel Online, 18/4/2015.
23. Confermato da almeno tre diversi attivisti originari di Raqqa e da un membro di Ribss.
24. A.J.AL-TAMIMI, «The Archivist: Unseen Islamic State Financial Accounts for Deir az-Zor Province», Aymennjawad.org, 5/10/2015.
25. Dati del Treasury for Terrorist Financing and Financial Crimes. Secondo il Congressional Research Service sarebbero invece tra i 400 e i 1.200 dollari al mese, più 50 di stipendio per le mogli e 25 per ogni figlio.
26. www.aymennjawad.org/jawad/pics/large/369.jpg
27. Intervista con un attivista di Dayr al-Zawr membro del gruppo Sound and Picture, marzo 2016.
28. Documento: «Dettagli del piano educativo di Raqqa», justpaste.it/israqqaedu
29. Intervista con un attivista di Ribss, gennaio 2016.
30. S. YUSUF, «Deadly rifts hit ISIS ranks in Syria», Ara News, 23/2/2015.
31. A. MOHAMMED, «ISIS Executed Eight of Their Dutch Members in East of Raqqa», Ribbs, 29/2/2016.
32. A. MOHAMMED, «It’s Hell: How ISIS Prevents People from Fleeing Its Caliphate», Ribbs, 3/1/2016.
33. 129 gli attacchi negli ultimi sei mesi da parte della sola Aviazione statunitense; cfr. M. OSBORN, P. TORPEY, W. FRANKLIN, «US-led Air Strikes against Islamic State in Syria and Iraq», The Guardian, 10/2/2016. Il conteggio esclude gli attacchi francesi e russi.