Leonardo Martinelli, Pagina99 16/4/2016, 16 aprile 2016
GLI AMICI DEL PETIT PRINCE CHE SI È FATTO KILLER
PARIGI. «Sono amico di Bolloré da tanti anni». Silvio Berlusconi lo ha ripetuto fino all’esasperazione, durante la trattativa con Vincent Bolloré. Chissà, forse per rassicurarsi. Ora che l’accordo franco-italiano tra Vivendi e Mediaset è cosa fatta, sarebbe utile ricordare al Cavaliere che l’imprenditore bretone, visionario e misterioso, di amici ne ha tanti. Ma anche di nemici, che poi sono gli amici di un tempo. Non solo, altra avvertenza a Silvio (e Piersilvio): un neologismo è incluso ormai nella lingua francese, bollorizzare una società. Significa entrarci con un’insospettabile minoranza. E poi in maniera progressiva e subdola prenderne il controllo. In ogni caso, andiamo a scoprire il vasto e composito mondo degli “amici” di Vincent Bolloré.
Politici: vecchie e nuove conoscenze
In tanti lo liquidano sbrigativamente come un “sarkozysta”: come dimenticare le foto di Nicolas Sarkozy in costume da bagno, subito dopo la sua elezione a presidente nel 2007, mentre se la spassava con la famiglia (quella di allora) sullo yacht Paloma, proprietà di Bolloré? «Il prestito di un amico», si giustificò Sarkò. Ma, senza arrivare a tanto, il nostro Vincent si è trovato molto bene in seguito anche con François Hollande. E, sul fronte della sinistra, va segnalato il feeling particolare che è sbocciato con Anne Hidalgo, sindaco (socialista) di Parigi. È lei ad avergli assicurato un vantaggioso contratto per le auto elettriche “in libero servizio”, Autolib’: tanto più utile che il settore delle vetture elettriche (e della connessa produzione delle batterie) è l’unico dove l’imprenditore non ha mai guadagnato un soldo (anzi, ci ha perso finora più di tre miliardi di euro).
Tra gli amici socialisti di Vincent, poi, svetta il bretone Bernard Poignant. Oggi si aggira per i corridoi dell’Eliseo, con quella sciarpa rossa al collo, in puro stile Mitterrand. Ma da più di trentacinque anni quest’uomo, ex sindaco di Quimper, è un fedelissimo di Bolloré. Il legame risale a quando Vincent recuperò l’azienda di famiglia, nel Finistère, agli estremi della Bretagna. Era scivolata sull’orlo della bancarotta: lui la rilevò per due franchi simbolici. Correva il 1981: Bolloré aveva appena 29 anni e una faccia da attore americano. Riuscì a salvare l’impresa, che fabbricava cartine per le sigarette, riconvertendola nella produzione di pellicole di plastica ultrafini. Nell’immaginario collettivo divenne l’imprenditore simpatico. Efficace e moderno.
I superconsiglieri dietro le quinte
Come si è passati da un’immagine così rassicurante a quella successiva, a partire degli anni Novanta, di “Petit Prince” (il piccolo principe), perché la bella faccia era rimasta la stessa, ma “del cash flow”? Più tardi inizieranno a chiamarlo addirittura “smiling killer”: l’imprenditore che si invita dentro le società senza essere invitato, le bollorizza (insomma, se le mangia) e poi taglia i vertici (ma con il sorriso, perché Vincent è un signore). La mutazione è stata resa possibile grazie ad alcuni superconsiglieri. L’immancabile Alain Minc, innanzitutto, che da decenni è una delle eminenze grigie della finanza e della politica parigina: è lui (ancora oggi) a scovare per Vincent le aziende da bollorizzare. Ma bisognava trovare i fondi per comprare. E a questo, per tanti anni, ha pensato Antoine Bernheim, banchiere di Lazard, morto nel 2012. Ha anche introdotto Bolloré in Italia, facendolo entrare nel salottino di Mediobanca. Negli ultimi anni, però, Vincent aveva scaricato Bernheim. Manco gli prestava il suo jet privato, come ai bei tempi: non gli serviva più. Tra i più fidati consiglieri di Vincent, da segnalare anche lo scrittore e giornalista Philippe Labro, che lo ha accompagnato dal 2005 nella sua prima avventura televisiva, il canale Direct 8.
Ex poliziotti (ed ex spioni)
Bolloré sbandiera sempre le sue origini bretoni. In realtà sono quelle della sua famiglia (molto ricca). Perché Vincent è nato a Boulogne-Billancourt (nel 1952), alle porte di Parigi. E qui ha sempre vissuto, nell’ambiente dei rampolli delle genealogie che contano. Quando rilevò l’impresa Bolloré, lavorava già presso la banca Rothschild. Era la nonna materna, Nicole Goldschmidt, che lo aveva messo in relazione con il mondo dell’alta finanza parigina, quella dei Rothschild e di Bernheim. Nonna Nicole era un personaggio incredibile: aveva collaborato a Londra con il generale de Gaulle, nella Resistenza, partecipando addirittura a operazioni di intelligence. A proposito di servizi segreti e di poliziotti d’alto bordo, è un mondo che attira Bolloré. Alla guida di Autolib’ ha messo René-Georges Querry, un tempo capo della “anti-gang”, la brigata che combatteva il banditismo (ma che c’entra con le auto elettriche?). Dal 2013 lavora per lui anche Ange Mancini che negli anni Ottanta creò il “Raid”, le teste di cuoio francesi. Al servizio di Vincent, per i suoi affari in Africa, pure Michel Roussin, già direttore dello spionaggio francese.
Le connessioni africane
Presente nella logistica e nei trasporti (controlla quattordici terminal container), ma anche nell’olio di palma, dall’Africa proviene oggi il 25% del fatturato del gruppo Bolloré (10,8 miliardi di euro nel 2015) e addirittura l’80% degli utili. Pochi giorni fa, un documentario, trasmesso dalla tv France 2, ha mostrato le condizioni di vita (un euro di paga al giorno e i miserabili accampamenti dove risiedono) dei dipendenti delle piantagioni che fanno riferimento a Bolloré. In realtà i vertici del gruppo sottolineano che quelle terre sono sfruttate da loro subfornitori e che hanno già insistito perché la situazione migliori. Ma qualche dubbio resta, come sulle concessioni a ripetizione ottenute da Bolloré, soprattutto per i porti, in una parte del mondo dove la corruzione è moneta corrente. Dubbi destinati a moltiplicarsi dopo che l’otto aprile l’ufficio del grande capo nella sede che ospita la Bolloré Africa Logistics è stato perquisito dai poliziotti dell’Ufficio centrale della lotta contro la corruzione, nel quadro di un’inchiesta sulle sue attività in Africa. Pure lì comunque Vincent ha intessuto relazioni preziose: con Paul Biya, presidente del Camerun, e con quello della Guinea, Alpha Condé.
Amici d’infanzia (talvolta perduti)
Bolloré ha frequentato a Parigi il liceo Janson de Sailly, a due passi dalla torre Eiffel, uno dei più ambiti per l’alta borghesia. Lì era un inseparabile di Olivier Dassault, dell’omonimo gruppo aeronautico e di difesa, oggi ai vertici del colosso. Olivier, che si aggira per Parigi su una Fiat 500L rosso fuoco d’epoca, il massimo della chiccheria, è ancora un grande amico di Vincent, per una ragione semplice: non hanno mai fatto affari insieme. Le elementari, invece, Bolloré le aveva frequentate con Martin Bouygues, pure lui oggi alla guida dell’omonimo conglomerato. Alla fine degli anni ’90 il “Petit Prince del cash flow” prese una partecipazione minoritaria in Bouygues, rassicurando subito Martin sul fatto che, in nome dell’antica amicizia, mai sarebbe andato oltre. E invece, subito dopo tentò il salto, la solita bollorizzazione. Andò forse troppo lontano, cercando di scovare alcune irregolarità finanziarie dei Bouygues. Alla fine rinunciò a quella scalata, raccogliendo comunque en passant una plusvalenza di un miliardo e mezzo di franchi. Martin Bouygues ha dichiarato: «Bolloré mi ha preso per uno scemo. Mi ha fregato, ingannato, umiliato».
I manager fedelissimi
Con il management Bolloré gioca all’americana: arriva, azzera e ricomincia. Ne sanno qualcosa i vertici di Vivendi, che il 3 settembre 2015, al ritorno delle vacanze, si presentarono al cospetto del “grande capo”. In pochi minuti lui ne fece fuori una trentina, pagando un totale di 38 milioni di euro per assicurarsi il loro silenzio (nessun commento su quanto accaduto). Oggi, tra i fedelissimi di Vincent, c’è innanzitutto Arnaud de Puyfontaine, da lui fortemente voluto come presidente del “direttorio” di Vivendi già dal giugno 2014. Una carriera intera nei media, come giornalista e come manager, de Puyfontaine è di quelli che piacciono a Vincent, buona famiglia e buoni studi. In più, aveva lavorato nel passato a Mondadori: il suo know how è stato determinante nella trattativa con i Berlusconi. Personaggio simile (laureato alla prestigiosa École Polytechnique) è Philippe Donnet, collocato a Generali. Infine, tra i membri del cda di Telecom Italia che Bolloré ha imposto lo scorso dicembre figura Félicité Herzog, rara presenza femminile nel suo entourage: ammessa, perché è il puro prodotto del gotha socio-finanziario autorigenerante parigino che piace tanto a Vincent. Félicité ha origini aristocratiche grazie alla madre (una de Cossé-Brissac) ed è sposata con Serge Weinberg, presidente di Sanofi, la multinazionale farmaceutica. Aveva esordito nella banca d’affari Lazard. La Herzog è anche scrittrice di romanzi (di successo).
La sacra famiglia
Vincent ha un’apposita applicazione sul telefonino: può controllare in tempo reale sul suo smartphone quanti giorni, ore, minuti e secondi lo dividono da quel fatidico 17 febbraio 2022. Scatteranno allora i 200 anni dalla nascita dell’impresa familiare: a quel momento lascerà l’impero ai quattro figli. Come comanda la tradizione, importante per lui, che è cattolico e nasconde pure qualche santino nel portafogli. Si tratta di Sébastien, Yannick, Cyrille e Marie (dal più vecchio alla più giovane). Sembra che nessuno di loro abbia il pelo sullo stomaco del padre. Neanche Yannick, ora presidente di Havas, il colosso pubblicitario controllato da Bolloré, e che (dicono) sia il più portato al business. Ma mantiene una gentilezza spontanea. A proposito, Yannick si è sposato con Chloé Bouygues, nipote di Martin, il nemico giurato del patron Bolloré. Talvolta la vita riserva incredibili sorprese.