Fabio Severo, Pagina99 16/4/2016, 16 aprile 2016
NETFLIX DELL’ORRORE VINCE LA SERIE ISIS
C’è una Netflix del terrorismo, a pochi chilometri dal quartier generale della Cia a Langley. Con pacchetti che vanno dai 100 ai 500 dollari al mese, si può accedere a un’esperienza on demand con tanto di tag, catalogazione per case di produzione, luogo, anno. Con sconti per giornalisti e accademici, e un trial gratuito per accedere per qualche giorno a tutti i database del sito. Il tutto, grazie a IntelCenter, una compagnia privata che offre consulenza anti-terroristica per strutture di intelligence, che ha creato un archivio con migliaia di video prodotti sin dal 2001.
La compagnia, basata ad Alexandria, in Virginia, è stata fondata da Ben Venzke, in precedenza nel ramo della sicurezza informatica con la società iDefense. Il suo business, decollato negli intimi due anni, si basa su un dato evidente: la produzione video jihadista è ormai così vasta che è impossibile muoversi nel labirinto di link caricati, rimossi, rispostati altrove all’infinito.
Scorrendo il catalogo, oltre alle esecuzioni, ai raid di città e all’esibizione di forza militare, ci sono moltissimi video che documentano la vita quotidiana nei territori dello Stato Islamico, propaganda populista piuttosto che terrorista: c’è la gara di memorizzazione del Corano per bambini, le giornate ecologiche, il documentario sul sistema sanitario dell’Isis, con la sigla in stile E.R. e le interviste in camice bianco. A fine estate 2014 sono usciti i Mujatweets, pillole video sulla vita quotidiana nelle strade del Califfato: caramelle ai bambini, mujaheddin di tutte le nazionalità, mercati pieni di cibo e gente felice, con lo stile di un promo turistico chic. L’importanza data alla propaganda video dall’Isis è dimostrata dai numeri della produzione globale: nell’archivio di IntelCenter i filmati del 2013 sono 649, nel 2014 salgono a 753, nel 2015 sono 1.805. A inizio aprile 2016 sono già 510, a fine anno saranno probabilmente più di 2 mila.
La minaccia terroristica è entrata nell’immaginario collettivo con i video pixelati di Osama bin Laden che annunciava guerra agli infedeli, tra goffe animazioni di aerei che cadevano sul Pentagono e fiamme finte. Molti erano semplici comunicati, e in più di un’occasione, negli anni in cui bin Laden era diventato un fantasma, IntelCenter è stata al centro di sospetti circa l’autenticità di diversi messaggi dello sceicco saudita, cosa mai verificabile proprio a causa della bassa qualità dei file.
La svolta è arrivata nell’agosto del 2014, quando l’Isis ha diffuso il video dell’esecuzione del giornalista statunitense James Foley, intitolato A Message to America. Simili brutalità in passato erano già state usate come propaganda terroristica, ma il filmato di Foley era qualcosa di mai visto: girato con telecamere ad alta definizione sotto un sole terso e con grande cura nelle inquadrature, il video comunicava sia attraverso il suo contenuto che la sua forma elaborata. Era moderno. Alla fine veniva mostrato un altro ostaggio nella stessa location, che indossava la stessa tuta arancione di Foley, quella dei detenuti di Guantanamo. A Message to America parlava la stessa lingua della finzione per mandare un messaggio terribilmente reale: c’erano i costumi, la regia, la direzione della fotografia, c’era persino il lancio dell’episodio successivo, con l’introduzione del secondo ostaggio.
Oggi i video, in altissima definizione e lanciati a getto continuo dalle molte case di produzione affiliate, si rivolgono tanto al nemico quanto ai fedeli, come una sorta di virtuale canale televisivo no stop. Anche al Qaeda si è dovuta adeguare alle produzioni sofisticate dell’Isis: se il Califfato filma un’esecuzione di gruppo nell’anfiteatro di Palmira celebrando la cornice monumentale (il film si chiama Guarire il cuore dei fedeli), al Qaeda quando ha conquistato l’aeroporto della città siriana di Idlib ha fatto volare un drone sopra le decine di soldati che si accingeva a giustiziare, dopo averli inquadrati a capo chino con primi piani che sembrano presi da un episodio di Homeland: il volto sofferente del prigioniero, le figure minacciose dei miliziani sullo sfondo, sfocate ad arte come nei migliori thriller.
Lo scorso febbraio al Qaeda ha diffuso un video dal titolo La realtà hollywoodiana del gruppo di al Baghdadi, in cui un disertore dell’Isis sostiene che un raid nella regione dell’Hadramaut, nello Yemen, sia una finzione: lo si vede a volto oscurato davanti a una tv che riproduce il film incriminato, indica i membri del gruppo stesi a terra a recitare la parte dei cadaveri, svela che la location dell’attacco è una zona già in controllo dell’Isis, usata come set. Ma forse non hanno mai voluto mascherare la natura cinematografica delle loro produzioni: già a fine 2014 l’analisi di un video in cui venivano giustiziati 22 militari siriani aveva rivelato come fosse stato girato nell’arco di circa sei ore e con diversi ciak, come per seguire uno storyboard: azioni continue erano in realtà composte da più riprese, la luce cambiava da un’inquadratura all’altra, piccoli errori che rivelavano l’orchestrazione degli eventi filmati: è stato stimato che la produzione sia stata fatta con attrezzature per circa 200 mila dollari. L’Isis in realtà non ha problemi a usare attori, ad allestire esplicitamente la scena: quello che conta è colpire l’immaginario, realizzando scene che a volte sembrano prese dalle serie tv che guardiamo tutte le sere, trasformate in incubo. In fondo, vista attraverso uno schermo la realtà è sempre rappresentazione: questo l’hanno compreso bene.