Ilario Ammendolia, Il dubbio 19/4/2016, 19 aprile 2016
I “BOUNTY KILLER” DELL’ANTIMAFIA
Una intera comunità bollata col marchio della ’ndrangheta.
Un prete di campagna che in passato è sfuggito a più attentati di mafia viene braccato dai “giornalisti” sin dentro la Chiesa. Quando le Iene riescono a raggiungerlo invoca “Misericordia” come un Pope della Russia ottocentesca. Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, attuale vescovo di Campobasso-Boiano – molto amato in Calabria – inseguito sin sotto casa perché essendo stato vescovo a Locri non può che essere complice del “crimine”. Quale crimine?
Succede in Calabria l’unico posto d’Italia dove costruire una Chiesetta di campagna può essere considerato un “reato”! I fatti risalgono ad oltre venti anni fa quando un centinaio di famiglie contadine abitanti in una piccola frazione di Gioiosa Jonica – Prisdarello – decidono di realizzare un antico sogno: costruire una Chiesa tutta per loro. Avrebbero voluto solo un luogo per pregare ma siamo in Calabria dove non c’è anfratto, roccia, montagna, calanco che non nasconda la ’ndrangheta. Un pentito parla..., i Pm ascoltano e ne certificano l’assoluta credibilità. Monsignor Bregantini le definisce «chiacchiere» ma il sortilegio è fatto: la Chiesa diventa un “locale” di ’ndrangheta. Nessun dubbio è consentito. Arrivano gli inviati dei giornali e di qualche televisione nazionale e vedono le pietre della Chiesa grondare sangue, la messa diventa un rito di affiliazione, ed i fedeli si trasformano – agli occhi di giornalisti non proprio disinteressati – in torvi individui con la lupara sulla spalla. In Calabria si cerca solo ’ndrangheta e la si vede ovunque. La Calabria è un bersaglio facile da ferire e questi aprono un fuoco facendo partire raffiche di menzogne e di calunnie calcolate.
Tutti potrebbero constatare che la Chiesa in questione è grande poco più di una normale stanza di appartamento. Appena sufficiente per battezzare i loro bambini, celebrare i matrimoni, partecipare ai funerali dei loro morti. I cittadini di Prisdarello cercano – invano – di narrare la storia della loro Chiesa. Un luogo che hanno a lungo sognato, dove gioire o soffrire insieme. Un punto di aggregazione per l’intera comunità. Tirata su pietra dopo pietra, anno dopo anno col sudore degli aiutanti. Prima la chiesa, dopo la sacrestia e quindi il campanile. Intorno hanno realizzato anche un piccolo anfiteatro in pietra di fiume per tenere le assemblee “cittadine” e per festeggiare la Madonna. Dove hanno preso i soldi? Nessun mistero anche perché non si tratta della Basilica di S. Pietro e ogni spesa è facilmente verificabile. Tutte le famiglie di Prisdarello – ma proprio tutte – hanno contribuito! C’è chi ha pagato il portone, chi il tetto, chi le campane, chi le finestre o la sacrestia. Ogni opera è “firmata” e non si tratta di mafiosi! Infine, ogni famiglia ha commissionato una panca di legno e vi ha scritto il nome sopra.
Altri non avendo soldi da dare, hanno offerto le proprie braccia. Per esempio, la grande Croce di Legno che campeggia vicino all’Altare è stata offerta da un falegname che l’ha costruita con le proprie mani. Dopo la prima Messa, la Chiesa ha cominciato a funzionare e non solo per i riti religiosi. Per esempio nella sacrestia, come nella scuola di Barbiana di don Milani, i ragazzi più grandi hanno aiutato ed aiutano quelli più piccoli a fare i compiti ed a studiare. Non imparano i riti di mafia ma la storia, la geografia, l’italiano, la matematica. In quella Chiesa i giovani della frazione hanno deciso di ripulire il letto del vicino torrente o di recuperare un’area degradata. Antimafia vera e non teatrale.
In altri posti i cittadini di Prisdarello avrebbero meritato un riconoscimento per il loro senso civico. In Calabria è tutto diverso. Oggi gli abitanti di Prisdarello se criminali non sono poco ci manca! Come abbiamo detto, un pentito di ’ndrangheta afferma che la Chiesa è stata costruita con i soldi dalle cosche. Lui, durante la costruzioni, era poco più di un bambino ma l’ha sentito dire e tanto basta. Così la parola di un pentito diventa una bufera che soffiando cancella di colpo il sacrificio delle tante famiglie e criminalizza la comunità, “brucia” i registri, distrugge il ricordo delle tante giornate di lavoro offerte.
Una comunità ignorata conquista per qualche giorno la ribalta. Ho già detto, in Calabria si cerca e si trova solo ’ndrangheta. Noi confermiamo: la ’ndrangheta in Calabria c’è! I soldi delle cosche sono tanti anche se da queste parti non si vedono proprio. Certamente non sono stati investiti in quella Chiesa di così poco valore ma finiscono nelle banche del Nord o nei paradisi fiscali dove le ricchezze di tutti i potenti della Terra sono destinati ad incontrarsi.
Finiscono alla Luiss o alla Bocconi dove i mafiosi scrivono i propri figli. Diventano “azioni” nella borsa di Milano o di Francoforte.
Diventano palazzi a Londra, a Parigi o a New York. Entrano nelle “fondazioni”. Si trasformano in gioielli, quadri di autori, automobili di lusso.
Insomma, diventano parte integrante dell’economia di mercato. Crescono e si moltiplicano diventando rispettabili anche quando grondano sangue.
Il “mercato” è sacro e purifica il denaro delle cosche. La gogna funziona solo per i tanti “Prisdarello” che diventano metafora di una Calabria umiliata, offesa e sconfitta. Non difesa neanche dalla propria classe dirigente inetta e subalterna. A volte vile e sempre incapace di dire la verità!
Criminalizzando intere comunità, nessuna sorpresa se le cosche diventano ogni giorno più forti, più aggressive e più ricche. Con questa “antimafia” non possono che crescere. Anche un bambino capirebbe che non si può vincere la battaglia contro la ’’ndrangheta se non combattendo spalla a spalla la Calabria degli “ultimi”, degli emarginati, della gente che lavora.
Il “potere” invece ha storicamente utilizzato e intende utilizzare la ’ndrangheta come un rullo compressore per asfaltare ogni resistenza piegando e piagando questo estremo lembo della Penisola. Così la Calabria sta per essere ricacciata verso un nuovo feudalesimo, verso una crudele tirannide di poteri impersonali a cui la ’ndrangheta non è estranea.
Pensateci bene: siamo tutti cittadini di Prisdarello!