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 2016  aprile 18 Lunedì calendario

IL “BANCO MALO”, LA VIA SPAGNOLA AL SALVATAGGIO

Nei giorni della paura, quelli dello spread alle stelle e del deficit al 9 per cento, con un sistema finanziario quasi in ginocchio, l’invenzione del “banco malo”, la bad bank in versione spagnola, non fu la trovata disperata di un Mariano Rajoy con l’acqua alla gola. In realtà, era una condizione precisa, obbligatoria, messa nero su bianco nel memorandum d’intesa con il quale – era l’estate del 2012 – i partner europei concedevano a Madrid attraverso il fondo salva-stati un aiuto finanziario di 41 miliardi di euro. Il prezzo da pagare per consentire al premier conservatore di continuare a negare ancora per un po’ la parola proibita, “rescate”, il salvataggio sul modello di quello applicato in Grecia, Portogallo e Irlanda, in seguito ammessa come una realtà dal ministro dell’Economia Luis de Guindos. Bruxelles pretese, e ottenne, la creazione della Sareb (Sociedad de gestión de activos procedentes de la reestructuración bancaria), un ente costituito a novembre del 2012 con l’obiettivo di rilevare i crediti deteriorati delle banche spagnole, soprattutto gli istituti con una forte esposizione verso il settore immobi-liare, e di gestire questi asset per un periodo massimo di quindici anni: in base allo statuto, la società dovrà essere sciolta entro il 2027. Il capitale della Sareb è a maggioranza (55 per cento) privato: lo controllano, oltre a quattro compagnie assicurative e al gigante energetico Iberdrola, quasi tutti i principali istituti di credito del paese, Santander e Caixabank in prima linea, con l’eccezione del Bbva che per la sua “diserzione” si è visto penalizzato con l’obbligo di versare per intero il contributo statale al fondo di garanzia interbancaria dei depositi (mentre gli altri hanno beneficiato di sconti proporzionali alle quote di partecipazione al “banco malo”). Il resto, il 45 per cento, è in mano allo Stato attraverso il Frob, il Fondo di ristrutturazione ordinata bancaria. Un percorso a ostacoli, quello della Sareb, che per arrivare a buon fine dovrà probabilmente esaurire tutto il tempo messo a disposizione dallo statuto, cioè nel 2027. Al momento della costituzione, la “bad bank” ha assorbito per 50,7 miliardi di euro, 200mila attivi tossici, cioè tutte le proprietà immobiliari delle quali dovevano disfarsi gli otto istituti che avevano già ricevuto aiuti pubblici, primo fra tutti Bankia, il più compromesso ma anche quello che, grazie a questa operazione di “pulizia”, nel corso degli ultimi due anni è potuto tornare a occupare un posto di primo piano nel sistema finanziario spagnolo. Nell’acquisto degli attivi, la Sareb ha pagato un valore medio del 36,9 per cento, potendo cioè fruire di uno sconto del 63,1 per cento. Nel caso degli immobili di nuova costruzione, il ribasso è stato ridotto (54,2), nel caso dei terreni più alto (79,5 per cento). A quel punto è partita l’operazione di liquidazione degli attivi problematici: nel giro di tre anni, ha potuto ridurre il suo portafoglio di circa un 15 per cento, generando introiti totali per 12 miliardi e 800 milioni di euro, e ha ammortizzato 7 miliardi e 300 milioni del debito che ha emesso per acquistare gli attivi: i 50 miliardi e 781 milioni iniziali. La società sostiene che potrà essere in grado di produrre utili già a partire dal 2017. Un risultato che sarebbe stato raggiunto in anticipo se non fosse stato per la rigida circolare contabile del Banco de España che ha reso obbligatori accantonamenti per oltre 3 miliardi di euro. Attualmente, Sareb conta su un patrimonio di 953 milioni di euro e un debito subordinato di oltre un miliardo e 400 milioni che spera di poter restituire integralmente alla scadenza del 2027. Resta il dubbio sulla possibilità di garantire, come prevede lo statuto, un rendimento del 15 per cento agli azionisti, in particolare a Santander e Caixabank che insieme detengono il 30 per cento del capitale della società.
Alessandro Oppes, Affari&Finanza – la Repubblica 18/4/2016