FABIO BOGO, Affari&Finanza – la Repubblica 18/4/2016, 18 aprile 2016
L’ULTIMO STRAPPO NEL SALOTTO BUONO
L’assalto di Urbano Cairo a Rcs e Corriere della Sera con un’offerta pubblica di scambio certifica una volta di più la definitiva frantumazione di quel reticolato di relazioni che per anni ha tenuto in piedi e difeso il capitalismo italiano. Da un punto di vista formale quel sistema aveva già imboccato la via del tramonto con la decisione della nuova Mediobanca succeduta all’era di Cuccia, Maranghi e Geronzi di abdicare al ruolo di cassa di compensazione degli interessi della finanza e dell’industria nazionale, per trasformarsi in un istituto più vicino alla missione del credito che non a quello dell’esercizio di influenza.
Ma siccome tradizioni e abitudini sono dure a morire Piazzetta Cuccia ancora rappresentava, almeno idealmente, una sede dove provare a comporre controversie e dirimere conflitti. Adesso non è più così. Urbano Cairo che parte all’attacco di Rcs senza informare gli altri azionisti, è il segnale che il capitalismo è ormai un mare dove ognuno naviga da solo per la sua rotta. Rcs ha visto prima uscire dal gruppo dei suoi soci Fca, e poi uno di loro tentare la scalata ignorando Mediobanca, Della Valle, Unipol. E i soci hanno anche appreso con stupore di vedere organizzata l’ops con il supporto tecnico e finanziario di Banca Intesa, quasi una memoria dello storico conflitto tra la finanza laica e quella cattolica. Ma Rcs non è l’unica frattura prodotta in quel mondo.
Pochi mesi fa c’era stato il caso Generali, dove le punture di spillo tra Mario Greco, amministratore delegato del Leone, e Lorenzo Pellicioli e Mediobanca sono poi degenerate in frizioni sempre più aspre e hanno portato il manager a lasciare stizzito il suo incarico, nonostante l’appoggio di azionisti del calibro di Caltagirone e Del Vecchio. E lo stesso può dirsi per Telecom, dove le divergenze tra il presidente Recchi e l’amministratore delegato Marco Patuano, personali e di strategie, hanno portato all’addio di quest’ultimo, deciso dall’azionista di controllo francese Vincent Bollorè.
Il capitalismo italiano senza le casse di compensazione di un tempo è però solo lo specchio di un Paese che ha perso anche ad altri livelli – e questo non è un bene – interlocutori autorevoli che alimentavano dibattiti e che proponevano soluzioni mediate. Non lo è più la Confindustria, agglomerato di interessi talmente diversi nelle sue componenti da perdere quella spinta propulsiva che aveva avuto in passato. Non lo sono i sindacati, spesso legati alla difesa di battaglie di retroguardia. Non lo è l’Abi, in trincea per la paura del bail-in e sfiancata dalle crisi delle sue banche. Non lo sono le organizzazioni del commercio, smarrite nella difesa lobbistica di un territorio minacciato dalle nuove forme di intermediazione. Anche qui tante navi in un mare aperto. Speriamo che in questo campo al timone torni un nocchiero.
di FABIO BOGO, Affari&Finanza – la Repubblica 18/4/2016