18 aprile 2016
LIBRO IN GOCCE NUMERO 101
(On Writing)
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STEPHEN KING E LA SUA RUOTA DELLA TRAMA –
Copia. Stephen King, da bambino, copiava parola per parola le avventure di Combat Casey sul bloc-notes, talora aggiungendo sue descrizioni dove gli sembravano più opportune. La mamma, allora, gli consigliò di scrivere un racconto per conto suo.
Sbrodolato. «Niente male, ma SBRODOLATO. Da accorciare in base alla formula: seconda stesura = prima stesura – 10%. Buona fortuna» (risposta di un editore a Stephen King liceale).
Romanzo. All’ultimo anno di superiori, King voleva arruolarsi per il Sud-Est asiatico, perché di certo – sosteneva – ne sarebbe nato un romanzo. Ma la madre si oppose: «Non dire idiozie. Con la tua vista saresti il primo a essere ucciso. I morti non scrivono libri».
Lavanderia. Siccome non trovava lavoro come insegnante e doveva mantenere moglie e due figli, si mise a lavorare in una lavanderia per un dollaro e 60 l’ora.
Cujo. Per un certo periodo alcolista e cocainomane, una cassa di lattine di birra a sera, cotton fioc nel naso per tamponare le emorragie, e intanto continuava a lavorare. «C’è un romanzo, Cujo, che ricordo a malapena di aver scritto».
Natura. «Hemingway e Fitzgerald non si sbronzavano in quanto estrosi, alienati o moralmente deboli, ma perché era la loro natura. Forse è vero che i tipi creativi corrono un rischio maggiore di diventare alcolisti o tossici rispetto al resto, ma che importanza ha? Siamo tutti uguali quando vomitiamo all’angolo di un marciapiede».
Scrivania. Abitudine di Stephen King di sedersi alla scrivania ogni mattina, altrimenti «i personaggi avvizziscono diventando monodimensionali e posticci. La narrazione perde di smalto e non riesco più a padroneggiare il ritmo della storia».
Scrivere. «Un tempo sostenevo nelle interviste di sgobbare ogni santo giorno tranne Natale, il Quattro Luglio e il mio compleanno. Era una bugia che raccontavo ai giornalisti perché funzionava e non era troppo stupida. La verità è che, se scrivo, scrivo di continuo. E se mi prendo una pausa, stacco del tutto, ma durante questi periodi di calma piatta mi sento disorientato e fatico ad addormentarmi. Per me il vero lavoro è non lavorare».
Duemila. Stephen King tiene una media di dieci pagine al giorno, ovvero duemila parole in tutto, che fanno centottantamila in tre mesi, «una discreta lunghezza per un libro».
Trama. «Non mi fido della trama per due motivi: innanzitutto, perché di massima le nostre esistenze ne sono prive, nonostante calcoli e programmi, per quanto scrupolosi e accurati. In secondo luogo, perché sono certo che una struttura rigida non sia compatibile con la spontaneità della vera creazione».
Ruota. Edgar Wallace inventò e brevettò la Ruota della Trama. Se uno scrittore non sapeva più come continuare la sua storia, girando la Ruota, in una finestrella sarebbe apparso il responso. Per esempio: un arrivo inatteso, l’eroina dichiara il proprio amore eccetera.
Tabitha. «Ogni romanziere ha un solo Lettore Ideale e, in vari momenti del lavoro di scrittura, si domanda: “Chissà che accidenti penserà quando vedrà questa parte?”. Per me quel primo lettore è mia moglie Tabitha».
Carrie. «Se vi spiego che Carrie White è una liceale emarginata dai compagni, con una brutta carnagione e un abbigliamento dimesso, confido che siate capaci di completarne il ritratto. Non ho bisogno di fornirvene un resoconto pignolo, brufolo per brufolo e gonna dopo gonna. A scuola, tutti abbiamo incrociato degli sfigati; se delineassi alla perfezione i miei, in parte bloccherei il ricordo dei vostri, rischiando di inficiare il legame di mutua comprensione che ambisco a instaurare tra noi».
Giorgio Dell’Arti, Il Sole 24 Ore 18/4/2016