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 2016  aprile 13 Mercoledì calendario

PROCESSO MASSIMO BOSSETTI

Bergamo, aprile
Irrompono altri tre elementi nel processo a carico di Massimo Bossetti, particolari che ancora una volta assumono l’aspetto di misteri in una vicenda già ricca di colpi di scena.
il giallo degli orari
Potrà essere una telecamera a decidere il destino del presunto omicida di Yara Gambirasio? Le immagini della telecamera che sorveglia un parco-giochi in via Villa Gromo, situato a metà strada fra Mapello e la frazione Piana alta, dove abita Bossetti (una strada che lui faceva spesso per tornare a casa) potrebbero fornirgli un alibi inattaccabile o, al contrario, rivelare che ha mentito sui suoi spostamenti la sera della scomparsa della ragazza.
I difensori del muratore hanno chiesto di esaminarne le immagini. La Procura, cioè l’Accusa, si è opposta: «Le abbiamo già visionate. Non c’è niente di importante». E le ha negate alla Difesa. Non sono infatti nel fascicolo.
Se quella telecamera lo avesse ripreso la sera del 26 novembre 2010 fra le 18.33 e 42 secondi, l’ora in cui il camioncino del muratore compare per l’ultima volta davanti al Centro sportivo, e le 18.49, l’ora in cui (secondo una nuova scoperta della Difesa) Yara esce dalla palestra e invia l’ultimo sms all’amica Martina Dolci, quindi è ancora viva, per i legali sarebbe la prova che Bossetti era lontano da Brembate e stava per raggiungere casa sua poco prima delle 19. Come ha sempre dichiarato.
Perché la Procura non mostra questi video? Ne ha negato l’accesso alla Difesa, così come ha negato la visione di 12 hard-disk originali che compongono lo storage (software che memorizza informazioni in formato elettronico) del sistema di videosorveglianza degli otto comuni del Consorzio Isola Bergamasca, fra i quali Brembate, consegnati dal Corpo di polizia locale ai carabinieri del Ros di Brescia il 10 marzo 2011. Anche in questo caso la risposta è stata la stessa: «Non contengono niente di importante».
I difensori di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, insistono per visionarli. E nell’udienza del 15 aprile chiedono tre perizie: quella sul Dna scoperto sugli slip di Yara, quella sul camioncino e soprattutto una perizia sulla sincronizzazione delle telecamere, in particolare le due della ditta Polynt e quella del distributore Shell, che avrebbero inquadrato l’automezzo di Bossetti e che pare falsino gli orari di un quarto d’ora. Quindici minuti che possono diventare decisivi per l’alibi di Bossetti. Perché?
Perché è probabilmente scorretto l’orario in cui Yara fu vista viva per l’ultima volta nell’atrio della palestra: le 18.42. Il testimone Fabrizio Francese, compagno della mamma di Ilaria, una ragazza che seguiva i corsi di ginnastica con Yara, era apparso attendibile, sicuro e preciso quando il 18 settembre 2015 aveva risposto in aula alle domande del Pm e dei difensori di Bossetti. Lui è l’ultima persona ad aver visto Yara viva, la sera del 26 novembre 2010, nell’atrio della palestra, diretta apparentemente verso l’uscita. L’aveva salutata perché la conosceva e la ragazza aveva risposto con un sorriso. Non si era voltato e non aveva sentito sbattere la grande porta a vetri d’uscita.
«Che ore erano?», gli chiesero. «Fra le 18.40 e le 18.45. Forse le 18.42». Spiegò perché poteva essere così preciso: «A Milano ho preso il treno delle 17.39. Sono arrivato alla stazione di Ponte San Pietro alle 18.24. Dieci minuti dopo mi ha chiamato la mia compagna per chiedermi di passare a prendere Ilaria in palestra. In pochi minuti ho raggiunto Brembate. Ho parcheggiato e sono entrato al centro sportivo. Non ho notato furgoni, camioncini o persone strane».
Il consulente della Difesa Ezio Denti, però, usando un nuovissimo software applicato alle inquadrature video, ha stabilito che l’auto di Francese è arrivata al parcheggio del Centro sportivo alle 18.47’14”. Per scendere dalla sua Fiat 600 e raggiungere l’atrio della palestra dove ha incontrato e salutato Yara occorrono circa due minuti. E siamo alle 18.49. La stessa ora nella quale la ragazza invia l’ultimo messaggio all’amica Martina. E ben sette minuti dopo l’orario considerato finora.
Ma dove era Bossetti in quest’arco di tempo? Lo stesso comandante del Ris, Giampietro Lago, ha ammesso che le uniche immagini “buone” del suo camioncino sono quelle della Polynt delle 18.33 (le altre furono usate per le esigenze della stampa). Ma questo orario è corretto o no? Se sì, Bossetti avrebbe un alibi, poiché si sarebbe allontanato dalla palestra almeno 16 minuti prima delle fatidiche 18.49 (cioè il “nuovo” orario di uscita di Yara). Ecco perché la Difesa chiede la perizia sulle telecamere che hanno ripreso il furgone. Ed ecco perché vuole vedere anche le immagini della telecamera di via Villa Gromo, che possono rivelare se in quel quarto d’ora Bossetti era appostato in attesa di Yara oppure stava facendo la strada verso casa.
Indagine al buio
Ma emergono anche altre novità. In questa storia ci sono almeno due stranezze inedite. Ecco la prima. Nessuno sa con certezza se Yara quella sera è veramente uscita dalla palestra, perché in realtà nessuno l’ha vista varcare la grande porta a vetri e poi il cancello d’ingresso per imboccare la strada di casa. Un dubbio che assalì anche Laura Capelli, una delle insegnanti di Yara. Già tornata a casa dalla palestra, come le altre istruttrici di ginnastica era stata avvertita da mamma Maura che Yara era scomparsa, ma è stata l’unica che, da sola, poco prima di mezzanotte, malgrado un tempo da lupi, tornò in palestra e convinse il custode Valter Brembilla ad aprirle e a ispezionare il Centro sportivo. Solo una parte però e un solo bagno, il numero 6. Pare infatti che il custode non trovasse tutte le chiavi, soprattutto quelle del deposito attrezzi e degli altri bagni. Perché Laura Capelli era tormentata da questo scrupolo? Forse temeva che la ragazza potesse essere ancora in palestra a mezzanotte? Perché non ne ha mai voluto parlare?
Il molestatore
Oggi ci si chiede se Laura Capelli sapesse che proprio quella sera, alle 18.30, la fisioterapista Antonella Console, che lavorava nell’ambulatorio del Centro sportivo, aveva subìto un tentativo di aggressione da parte di un cittadino straniero. Un paziente che l’aveva molestata nei giorni precedenti e che proprio quella sera, pochi minuti prima della scomparsa di Yara, aveva saltato i controlli della reception e si era presentato in ambulatorio pretendendo di entrare senza appuntamento. Antonella Console lo respinse impaurita, denunciò l’episodio e nella prossima udienza dovrà testimoniare.
Di fatto, oltre all’insegnante, nella notte fra il 26 e il 27 novembre 2010 nessun altro cercò Yara, nessuno fece una telefonata agli ospedali, ai Vigili urbani, alla Polizia. Il comandante dei Carabinieri di Ponte San Pietro aveva segnalato al padre Fulvio Gambirasio che, in base a una rapida ricerca, il cellulare di Yara risultava localizzato nella zona fra Cisano Bergamasco e Calusco d’Adda. Non si mosse nessuno. Il fascicolo per «sequestro di persona» fu aperto solo il mattino dopo.