varie, 16 aprile 2016
APPUNTI PER L’APERTURA DEL FOGLIO ROSA
LA STAMPA 16/4 –
Il 31 marzo scorso il comico tedesco Jan Böhmermann ha recitato sulla tv pubblica tedesca Zdf una poesia dai toni decisamente irriverenti nei confronti, del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Una settimana dopo, il 7 aprile, la Turchia ha chiesto formalmente alla Germania di processare Böhmermann per diffamazione. La richiesta si appella a una vecchia legge tedesca che prevede il via libera preventivo del governo prima di poter procedere contro chi offende capi di Stato stranieri. Dopo l’apertura d’ufficio di un’indagine preliminare da parte della procura di Magonza, venerdì scorso Angela Merkel ha autorizzato la formalizzazione delle accuse nei confronti del comico.
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ALBERTO NEGRI, IL SOLE 24 ORE 16/4 –
L’Europa adesso prende lezioni di libertà di parola e di satira da un Erdogan sempre più irascibile. Questo avviene perché quando si stringe la mano a un raìs mediorientale è possibile che lui si prenda anche il braccio. È successo al premier italiano Matteo Renzi che per primo in Europa aveva sdoganato il generale Al Sisi che ora nasconde le prove dell’assassinio di Giulio Regeni, diventato un caso internazionale nonostante la Francia di Hollande, sulla via del Cairo per una commessa di armi da un miliardo di euro, faccia finta di nulla. Accade ora alla cancelliera Angela Merkel.
Che sulla scena mediorientale è brava in affari e un po’ meno in politica perché le sue soluzioni come l’accordo sui profughi con la Turchia hanno effetti collaterali assai spiacevoli. Il caso del comico Jan Böhmermann ha innescato un’aperta crisi diplomatica tra Berlino e Ankara, proprio nei giorni successivi alla firma dell’intesa sul rimpatrio dei rifugiati dalla Grecia alla Turchia. Si può dire che Ankara e il presidente Tayyip Erdogan non aspettassero altro per attendere al varco gli improvvidi tedeschi.
Ridere del raìs in Medio Oriente è vietato, soprattutto in Turchia dove il senso dell’umorismo è un reato, per non parlare di quanto accade ai giornalisti, come il direttore di «Chumurriyet Dundar», che rischiano l’ergastolo quando pubbicano le prove del coinvolgimento dei servizi turchi con l’Isis. La satira nel mondo arabo-musulmano è diffusa ma perennemente sotto il tiro della censura e della magistratura. Il sorriso o il ghigno beffardo dell’umorista sono violazioni gravi, soprattutto quando solleticano il potere politico o la religione. L’accusa di blasfemìa è all’ordine del giorno.
Tutto è iniziato con l’irritazione di Ankara per un programma di satira politica della tv Ndr che aveva trasmesso un rap in cui si criticava la gestione di Erdogan. Come reazione alle reprimende turche, Böhmermann ha letto un poema intitolato «Critica diffamatoria» nel suo show sulla rete pubblica Zdf. Su di lui adesso pendono due azioni penali: una richiesta da Ankara e un’altra personale di Erdogan, in base a un articolo del codice penale tedesco che punisce gli insulti contro un rappresentante di uno stato straniero.
La legge deve essere rispettata ma la Germania sta facendo comunque una pessima figura alla quale però potrebbe subito rimediare. Il 23 aprile la cancelliera Merkel si recherà a Gaziantep da Erdogan per un incontro sui flussi migratori, accompagnata dal vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans e dal presidente dell’Ue Donald Tusk. In quell’occasione Merkel e i rappresentanti europei, prima di dare in pasto il comico germanico a Erdogan, dovrebbero chiedere conto al presidente turco delle continue violazioni dei diritti umani e delle leggi sulla stampa messe in luce dall’ultimo rapporto del Consiglio europeo, molto simile a quello degli Stati Uniti in cui si afferma che la Turchia ha usato le leggi antiterrorismo e di sicurezza nazionale per «reprimere l’attività della società civile, asfissiare il legittimo confronto politico e il giornalismo investigativo».
Nella lotta contro il terrorismo la Turchia sta calpestando i diritti dei cittadini e la libertà di stampa, afferma il commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks. Sono sempre di più le città a maggioranza curda dove viene imposto il coprifuoco e l’esercito nei raid contro il Pkk non colpisce soltanto i guerriglieri ma anche civili. Strasburgo lancia l’allarme anche per il deterioramento della libertà d’espressione e punta il dito sull’«aumento esponenziale dei processi per insulto al presidente», sul fatto che la Turchia detiene il record di giornalisti in carcere e sui danni irreparabili al pluralismo causati dalla presa di controllo di giornali e televisioni.
Se la Merkel e i vertici europei avranno il coraggio di interrogare Erdogan su questi temi allora faranno sorridere soddisfatti anche noi cittadini europei e forse persino l’imputato Jan Böhmermann.
Alberto Negri
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MONICA RICCI SARGENTINI, CORRIERE DELLA SERA 16/4 –
«Nelle mani di Erdogan». Così titolava ieri il popolare quotidiano Bild dopo che la cancelliera, a sorpresa, aveva autorizzato l’incriminazione del comico Jan Boehmermann, reo di aver letto in tv un poema satirico che aveva mandato su tutte le furie il presidente turco Erdogan. Una decisione che ha fatto gridare allo scandalo molte persone in Europa e in Germania. La stessa coalizione di governo si è spaccata accusando la cancelliera di non difendere la libertà di espressione e di essere ricattata dalla Turchia per la questione dei profughi.
La legge tedesca prevede il reato di diffamazione di capi di Stato stranieri con pene fino a tre anni di carcere. La norma è antiquata, risale al codice penale stilato nel 1871, anche se allora si riferiva solo ai monarchi. Negli ultimi anni è stata usata raramente e Merkel si è affrettata a sottolineare l’intenzione di abrogarla nel 2018. Un annuncio che non ha frenato la polemica.
Boehmermann, 35 anni, è noto per la sua satira pungente che spesso sconfina nella volgarità. L’anno scorso aveva manipolato un video in cui sembrava che l’allora ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, mostrasse il dito medio ai tedeschi. Ma in Europa tali provocazioni non sono una novità; basti pensare alle vignette apparse su Charlie Hebdo o sul giornale danese Jyllands Posten che fecero infuriare il mondo islamico. «La libertà di opinione, di stampa e di arte devono avere la più alta protezione nella nostra Costituzione — ha detto ieri il ministro della Giustizia, socialdemocratico, Heiko Mass —. L’idea di lesa maestà non può esistere nel nostro codice». «L’autorizzazione non doveva essere data» ha aggiunto il ministro degli Esteri Frank-Walker Steinmeier. E anche la Federazione tedesca dei giornalisti ha detto che l’annuncio di Merkel «dava il segnale sbagliato al governo turco».
Lo show incriminato è andato in onda sulla tv pubblica Zdf il 31 marzo ed è stato rimosso dal sito internet dopo le proteste di Ankara. Boehmermann, che ora vive sotto scorta, aveva letto la poesia dicendo «di voler mostrare cosa non è permesso in Germania». Un riferimento alla canzone su Erdogan trasmessa qualche giorno prima da un altro canale che aveva molto indispettito il Paese della mezzaluna. Il comico è voluto andare oltre e ha decritto il leader turco con crudi riferimenti sessuali. Un’offesa impossibile da tollerare per il «sultano» di Ankara che nel suo Paese ha già denunciato per diffamazione duemila persone fra un cui un ragazzino di 13 anni.
Politicamente la decisione della cancelliera viene letta come il segno di una sudditanza verso il governo turco. Sabato prossimo, il 23 aprile, Merkel si recherà a Gaziantep, nel Sud est del Paese, insieme al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk per fare il punto con le autorità locali sull’applicazione dell’accordo bilaterale sui migranti. «È Erdogan a condurre la danza — è l’analisi sul sito della Bbc di Mark Lowen —. Improvvisamente la Turchia è fondamentale per fermare il flusso migratorio verso l’Europa e lei si deve muovere con cautela».
Il caso potrebbe non essere l’unico; in Austria il quotidiano Oesterreich è stato denunciato da un’associazione turca all’autorità che vigila sui media per aver pubblicato parti della poesia di Boehmermann. Se le denunce aumenteranno a macchia d’olio cosa farà l’Europa?
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TONIA MASTROBUONI, LA REPUBBLICA 16/4 –
Non è riuscita a nascondersi dietro il paravento della realpolitik. Un’ondata di indignazione ha attraversato ieri la Germania, quando Angela Merkel ha annunciato che autorizzerà un processo penale contro Jan Dobermann.
Lo scorso 31 marzo, durante la trasmissione satirica
Neo Magazin Royal,
il comico di Brema aveva recitato un poema di insulti contro Recep Tayyip Erdogan, premettendo che si trattava di un esempio di «cosa non bisogna fare» per non essere accusati di «lesa maestà». Il componimento, puerile e volutamente offensivo, si intitola infatti “poema diffamatorio”. Una sorta di provocazione, di meta-satira per denunciare l’isterìa del cosiddetto Sultano – qualche giorno prima aveva convocato l’ambasciatore tedesco per una banale canzone satirica “Erdowie, Erdowo, Erodgan” che ne prendeva in giro la megalomania e la tendenza alla censura. Ma soprattutto, Böhmermann puntava il dito contro una legge tedesca che ha fatto decisamente il suo tempo.
In Germania, offendere un governante straniero è un reato penale stabilito dal “paragrafo 103”, una norma ottocentesca e anacronistica secondo la quale “l’onore ferito” di un capo di Stato o di governo straniero sia da sanzionare. L’unica buona notizia di ieri è che il “paragrafo dello scià” come era stato soprannominato da quando persino l’ultimo monarca persiano, Mohammad Reza, lo aveva usato contro i manifestanti che lo accolsero durante la sua visita a Bonn nel 1967, sarà abolito. Per il resto la breve comunicazione della cancelliera è stata imbarazzante.
Merkel ha tentato di giustificare la sua decisione ributtando la palla in campo giudiziario, dopo aver avocato il caso a sé e averlo trasformato nelle ultime settimane in un affare di Stato. Il “paragrafo 103” non scatta automaticamente: deve essere il governante a sporgere denuncia (Erdogan, nella consueta ridondanza, ha querelato Böhmermann sia personalmente, sia attraverso il suo governo). Ma la richiesta deve passare per il ministero degli Esteri tedesco, insomma c’è comunque un passaggio politico.
Negli ultimi giorni, il ministro degli Esteri Frank Walter Steinmeier ha fatto trapelare la sua contrarietà ad un autorizzazione a procedere contro il comico. Ma è stata la cancelliera a volersi occupare personalmente del caso. E dopo essersi consultata anche con il ministro dell’Interno Thomas De Maizière (Cdu), e quello della Giustizia Heiko Maas (Spd), ha giustificato la decisione con una motivazione incredibile, alla luce degli sviluppi: è la giustizia, non il governo «che deve avere l’ultima parola» sulla libertà di stampa. Merkel ha ammesso anche che nel governo ci sono «opinioni divergenti» sul caso.
Il tentativo di scaricare sui tribunali l’ultima parola su Böhmermann non può nascondere il fatto che Merkel abbia voluto gestire finora la cosa in prima persona e che abbia ceduto palesemente alle pressioni di Erdogan. Un vulnus enorme: il Sultano ha esteso la censura sulla libertà di espressione oltre i confini turchi, dove la esercita con violenza ormai da anni.
Oltretutto, non è affatto detto che si fermi qui. Si è scaraventato con tutto il suo peso contro il comico tedesco e la cancelliera deve essersi convinta che avrebbe potuto mettere in discussione anche l’accordo europeo sui profughi. Un’intesa che è servita notoriamente ad Angela Merkel per chiudere una lunga crisi politica nel suo partito e uno scontro durato tutto l’inverno con il partner di governo Csu.
Il paradosso è che per preservare l’intesa Ue-Turchia e archiviare quella crisi che aveva fatto persino fatto ballare la sua poltrona, Merkel rischia di aprirne una nuova. Persino riesumando la Spd, ormai precipitata sotto il 20% nei sondaggi. Ieri pomeriggio sia Steinmeier sia Maas hanno esplicitato la loro contrarietà al processo contro Böhmermann. E il principale tabloid del Paese ha titolato “Nelle mani di Erdogan”.
Merkel è di nuovo sola. Ma contrariamente allo scorso inverno, quando la sua politica delle “porte aperte” le aveva regalato un’ondata di simpatia internazionale e la copertina del settimanale americano Time come persona dell’anno, il ritorno all’”iperrealismo” così tipico della cancelliera, ha palesemente deluso molti.
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MICHELE SERRA, LA REPUBBLICA 16/4 –
Che la ragion di Stato sembri fatta apposta per intorbidare le questioni di principio, mettendo a dura prova l’azione dei governanti, è cosa nota. Il caso Regeni lo ha appena ricordato agli italiani e al loro governo. Ma una mossa come quella della cancelliera Merkel, che ha elargito al suscettibile capo della Turchia, Erdogan, una sorta di “autorizzazione a procedere” (in Germania) contro il comico Jan Böhmermann, dunque contro un cittadino tedesco, è quasi incredibile per la sua totale indifendibilità di fronte alle opinioni pubbliche europee di ogni ordine e grado. Böhmermann andrà alla sbarra, presso un tribunale tedesco, perché Erdogan non ha gradito una poesia satirica contro di lui. La legge tedesca contempla il reato di “vilipendio di capo di Stato estero”, subordinando però l’iter processuale al nulla osta governativo. Quel nulla osta è stato concesso (non all’unanimità) dal governo tedesco, che si è dunque scomodato per dare udienza al malumore di uno degli autocrati più discussi del globo; e poi ha inteso – con correttezza tedesca – dare rilievo ufficiale alla decisione, con tanto di comunicato della cancelliera.
Oltre a essere reboante e arcaico (la parola “vilipendio”, mi scusino i giuristi, fa ridere già di suo) quel reato è vistosamente ipocrita, perché l’eventuale derisione del re di Tonga, con conseguente protesta formale dello stesso, difficilmente assumerebbe il peso di un affaire diplomatico; mentre l’ingombrante rapporto dell’Europa - e soprattutto della Germania - con la Turchia e con il suo leader musulmano ha caricato una trascurabile disputa legale di un significato simbolico micidiale. Questo: che la libertà di espressione è una bandiera da sventolare fino a che non faccia ombra alla suscettibilità di un alleato potente e agli interessi economici in ballo.
Merkel si è affrettata ad aggiungere che quel reato sarà abolito a breve. Ma intanto ha permesso a Erdogan di snudarlo, come una spada arrugginita, e brandirlo in Europa contro un europeo. A giovarsi di questa inammissibile e incomprensibile debolezza saranno, come è inevitabile che sia, i fautori dell’intransigenza belluina nei confronti dell’Islam e della sua inamovibile suscettibilità nei confronti della satira e della libera critica. Quando si dimentica di esercitare in forme civili la difesa delle nostre prerogative di liberalità, si offre spazio al nazionalismo becero e all’islamofobia da trivio. Nel vuoto lasciato dai ragionevoli, si insinueranno i faziosi: ma la colpa sarà anche dei ragionevoli e della loro abdicazione.
Quanto ai capi di Stato esteri: se Obama oppure Hollande oppure Cameron volessero impugnare la montagna di produzione satirica che li riguarda, i tribunali del mondo non avrebbero altro di cui occuparsi per anni. Qualcuno spieghi a Erdogan, anche se non capisce le battute, che se la Turchia ha ambizioni di grandezza non può avere per capo un tipo così piccino.
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T. M., LA REPUBBLICA 16/4 –
Ex consigliere di Kohl, influente storico e intellettuale cristianodemocratico, Michael Stuermer è incredulo dinanzi al “caso Böhmermann”.
Professore, cosa pensa del “caso Böhmermann”?
«Merkel ha fatto un errore madornale: è un pessimo esempio di satira di cui la cancelliera si sarebbe dovuta occupare il meno possibile».
Invece ha deciso di occuparsene in prima persona
«Esatto, è stato quello l’errore. E’ una vicenda di così basso livello. Avrebbe dovuto lasciare la faccenda in mano ad altri, guadagnare tempo, non abbassarsi assolutamente a commentare o decidere».
Invece ora sembra aver riesumato persino la debolissima Spd, che si è detta contraria.
«Adesso non esageriamo. Io sono convinto che questa cosa non interessi nessuno. Nel paese sono altri i temi che stanno facendo preoccupare le persone. La crisi epocale dei profughi, l’integrazione di quelli già arrivati qui, le guerre alle porte dell’Europa. Figuriamoci se ci si può occupare di un’orrenda poesiola piena di insulti sciocchi».
Erdogan non sembra ritenerla così stupida. E Merkel sembra aver ceduto alle sue pressioni.
«Sono d’accordo. Ma la cancelliera è debole perché si rende debole. Erdogan non le sta affatto facendo un favore. Otterrà la liberalizzazione dei visti, ha incassato sei miliardi di euro, la prospettiva di entrare nella Ue. Non bisogna dimenticarsene».
Ieri Merkel ha ributtato la palla in campo giudiziario, dopo essersi voluta occupare del caso in prima persona. Perché?
«Una decisione incomprensibile. La sua proverbiale abilità tattica è andata a farsi benedire. Spostare ora la vicenda su un piano giudiziario, dopo averla trattata come un affare di Stato, è una mossa a dir poco goffa».
(t. m.)
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ALESSANDRO ALVIANI, LA STAMPA 16/4 –
Ventiquattro versi in rima sono bastati per mettere in scacco Angela Merkel. 24 versi: tanto è lunga la poesia contro il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che l’autore satirico Jan Böhmermann ha recitato il 31 marzo sulla tv pubblica tedesca Zdf e che potrebbe costare ora al trentacinquenne fino a cinque anni di carcere. Il governo Merkel ha infatti deciso di autorizzare l’avvio di un’azione penale contro di lui, accogliendo una richiesta arrivata da Ankara nei giorni scorsi. Ora la parola passa alla procura di Magonza, che dovrà decidere se chiedere il rinvio a giudizio di Böhmermann. Non è dunque certo che si arriverà a un processo. Per Merkel, però, che era intervenuta in prima persona nella vicenda, definendo il testo «volutamente offensivo» durante una telefonata col premier turco Ahmet Davutoglu, il caso rappresenta già oggi uno dei momenti più complicati della sua cancelleria.
Nella sua poesia Böhmermann aveva definito tra l’altro il presidente turco un «perverso» che fa sesso con le capre. Una provocazione programmata: prima di leggere il testo, il comico aveva chiarito di voler esemplificare in tal modo la differenza tra satira e diffamazione, una premessa fondamentale per inquadrare la vicenda. In tal modo Böhmermann era intervenuto sullo scontro provocato pochi giorni prima dalla decisione di Ankara di convocare l’ambasciatore tedesco per protestare contro una canzone che era stata trasmessa dal programma satirico «Extra 3» e nella quale si denunciavano le intimidazioni di Erdogan contro la libertà di stampa. La Turchia avrebbe anche chiesto a Berlino di cancellare quel video.
Il caso-Böhmermann ruota intorno a quel paragrafo 103 del codice penale tedesco - chiamato «paragrafo dello Scià», in quanto negli Anni Sessanta Mohammad Reza Pahlavi vi si appellò più volte - che punisce le offese contro i capi di Stato stranieri. Una norma antiquata, che Berlino ha deciso adesso di eliminare a partire dal 2018, ma che resta per ora valida e parla chiaro: può essere applicata solo se c’è un’esplicita richiesta a procedere e solo se il governo tedesco concede la sua autorizzazione. La richiesta era arrivata dalla Turchia già il 7 aprile. L’autorizzazione è giunta ieri: intorno alle 13 una Merkel visibilmente nervosa ha annunciato il via libera di Berlino. In uno Stato di diritto non spetta all’esecutivo, ma ai tribunali soppesare i diritti della persona e la libertà di stampa e di espressione, ha spiegato. «Non il governo, ma le procure e i tribunali avranno l’ultima parola» ha aggiunto la cancelliera, che ha espresso «grande preoccupazione» per le limitazioni al diritto di manifestazione e per la situazione dei media in Turchia. Parole che non sono bastate a frenare le critiche, arrivate non solo dall’opposizione, che la accusa di essersi inchinata ad Erdogan, sacrificando la libertà di satira pur di evitare lo scontro con un partner di cui ha assoluto bisogno per risolvere l’emergenza rifugiati, ma dai suoi stessi alleati socialdemocratici. Decisivo per il sì all’autorizzazione è stato il voto di Angela Merkel, ha rivelato il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, chiarendo che la Spd era contraria.
Il caso-Böhmermann ha finito dunque per far riemergere le divisioni all’interno di una maggioranza che incontra crescenti difficoltà a trovare una linea comune. Per Merkel, che tra l’altro il 23 aprile sarà in visita in Turchia, nella città di Gaziantep, le spine nel fianco non mancano. Basti pensare alla Csu, che la tallona sulla questione dei rifugiati. Ieri il suo leader, il governatore bavarese Horst Seehofer, è tornato a ribadire la disponibilità della Baviera ad aiutare l’Austria a operare gli eventuali controlli al Brennero.
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FLAMINIA BUSSOTTI, IL MESSAGGERO 16/4 –
Un satira pesante, un paio di denunce per oltraggio e vilipendio, un affare di stato fra Germania e Turchia all’ombra della crisi dei profughi: Angela Merkel doveva scegliere, come si dice in tedesco, «fra il colera e la peste», e in ogni caso il danno sarebbe stato enorme. Alla fine la cancelliera ha autorizzato l’avvio del procedimento penale contro il comico Jan Böhmermann, che nello show “Neo Magazin Royale”’sulla rete pubblica Zdf prendeva pesantemente in giro in una “Poesia ingiuriosa” (titolo dell’autore) il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Lo scherzo non è piaciuto affatto al capo dello stato turco che ha sporto due denunce, a titolo ufficiale e personale, per vilipendio e offesa. Facoltà che gli è concessa dalla legge. Infatti, anche se l’Articolo 5 della Costituzione sancisce la piena «libertà di opinione, di arte e di scienza», l’articolo 103 del codice penale, risalente al diciannovesimo secolo, prevede il reato di lesa maestà per chi arrechi offesa ai capi di stato stranieri. Ed è proprio questo reato, punibile con una pena dai tre ai cinque anni, che è stato invocato dai legali di Erdogan in Germania. Per dar luogo a procedere era necessario però il placet del governo, che la Merkel ieri ha dato.
LA SPACCATURA
La decisione è stata contrastata. I ministri Spd presenti alla riunione (degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier e della Giustizia, Heiko Maas) erano contrari ma alla fine l’ultima parola, in base alle “Kanzlerrichtlinien”, il potere di indirizzo del cancelliere, spetta al capo del governo. La Merkel si è presa due settimane di tempo facendo salire la tensione e attirandosi le critiche di tutti i media, che da giorni non parlano di altro. Inoltre ha fatto l’errore di essersi praticamente scusata in una telefonata giorni fa con il premier turco ammettendo che la satira era intenzionalmente offensiva. Si è piegata al ricatto del “sultano” ottomano per non compromettere l’accordo sul rimpatrio dei profughi faticosamente negoziato con la Turchia e adesso - questo il tenore delle critiche - Erdogan detta le regole della libertà di espressione anche in Germania. Leggendo un breve comunicato, la cancelliera ha argomentato che «in uno Stato di diritto non tocca al governo ma ai tribunali indipendenti giudicare sui diritti della persona contro la libertà di stampa e dell’arte». Al tempo stesso ha annunciato che il governo stralcerà ancora in questa legislatura l’articolo imputato del codice penale perché superfluo e obsoleto.
IL CALCOLO
Dietro la scelta della cancelliera c’è una evidente ponderazione politica: autorizzando il luogo a procedere della giustizia si è alienata la stampa e l’opinione pubblica ma ha rabbonito Ankara. Se avesse deciso per la libertà di satira contro Erdogan sarebbe seguita probabilmente una vera crisi di Stato con un alleato in tema di profughi del quale la cancelliera, già sotto attacco in patria sull’immigrazione, non può assolutamente fare a meno. Tanto più prevedendo, considerata la sensibilità della giustizia tedesca in materia di libertà costituzionali, che Böhmermann non sarà probabilmente mai condannato. La poesiola inquisita, intanto, è stata fatta sparire da tutti i circuiti video incluso youtube, ma il testo continua a circolare.
Il comico, persona molto schiva e allievo di Harald Schmidt, icona della satira in Germania, si è dato da giorni alla macchia, vive sotto scorta, e non ha più rilasciato dichiarazioni pubbliche (una nuova puntata del programma era stata cancellata). Le reazioni alla decisione della cancelliera, a parte un paio di dirigenti della sua Cdu, sono coralmente negative. Chi parla di «mercato delle vacche», chi di «genuflessione» davanti al sultano, chi di sconfitta dello stato di diritto. Quanto a Böhrmerman, se supererà lo shock ed eviterà la galera, una pubblicità planetaria e in tasca la risposta alla domanda che aveva sollevato dicendo di volere con la sua poesia sondare intenzionalmente i limiti della libertà di satira in Germania: adesso li sa.
Flaminia Bussotti
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ROBERTA MIRAGLIA, IL SOLE 24 ORE 16/4 –
La cancelliera tedesca che l’anno scorso mise i partner europei di fronte al dovere umanitario di aiutare i profughi delle guerre, ricevendo applausi in mezzo mondo, è la stessa cancelliera che finisce ora sotto accusa per non aver difeso la libertà di parola nel suo Paese.
Angela Merkel ha dato ieri il voto decisivo, in un governo spaccato a metà, all’autorizzazione a procedere penalmente, in Germania, contro Jan Böhmermann per il reato di vilipendio di capo di Stato estero. Il comico tedesco il 31 marzo, sulla rete pubblica Zdf, aveva preso di mira il presidente turco Erdogan con una satira dai toni molto forti, piena di battute a sfondo sessuale. E il leader turco aveva presentato due querele. Per aprire l’inchiesta penale la legge prevede un’autorizzazione del governo.
Ma tra le due anime di Angela Merkel esiste un trait d’union. È il filo che lega il destino della politica sui migranti di Berlino proprio a Recep Tayyip Erdogan, leader politico che caccia i direttori dei giornali critici con il suo governo ordinando raid della polizia, impregnati dal fumo dei lacrimogeni.
La Turchia sta garantendo alla Germania, e alla coalizione della cancelliera, una netta diminuzione dei flussi migratori che l’anno scorso hanno superato il milione di arrivi. Grazie all’accordo con cui Ankara ha accettato di riprendere, in cambio di soldi, i profughi che dalla Turchia arrivano in Grecia intenzionati a proseguire a Nord-Ovest lungo la rotta balcanica. Un accordo molto criticato dalle agenzie umanitarie, siglato da Bruxelles e Ankara ma preparato e voluto daBerlino.
L’intesa sembra aver disinnescato la crisi con il partner bavarese della coalizione furibondo per l’ondata di rifugiati così Merkel, hanno subito attaccato giornali e opposizioni, ha sacrificato la libertà di espressione sull’altare della realpolitik. Si è «inchinata al despota» ha commentato una deputata della sinistra Linke; «nelle mani di Erdogan» ha scritto la Bild; «segnale sbagliato» è il giudizio dell’associazione tedesca dei giornalisti.
La Spd ha subito preso le distanze dalla cancelliera divulgando la sua contrarietà all’autorizzazione a procedere. Era appena finita la riunione che il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier e il collega della Giustizia Heiko Maas dichiaravano:?dopo un’accurata riflessione i ministri dell’Spd hanno votato contro e «in situazione di parità ha deciso il voto della cancelliera». Chiosa:?«La libertà di opinione, di stampa e di espressione artistica sono valori tutelati dalla Costituzione» dunque è sbagliato procedere. Thomas Oppermann, capogruppo socialdemocratico al Bundestag, ha liquidato la questione con un tweet dai toni duri: «Mettere sotto processo la satira per “lesa maestà” non si addice a una democrazia moderna».
Tutta colpa di una norma anacronistica, si è difesa la cancelliera, promettendo di abrogarla. È?l’articolo 103 del codice penale che prevede l’autorizzazione a procedere in caso di offese a un capo di Stato estero. La richiesta di mettere sotto processo il graffiante Böhmermann era arrivata nei giorni scorsi da Ankara, a ruota della trasmissione Neo Magazine Royal. Il comico, del resto, aveva previsto le conseguenze e premesso che avrebbe violato la legge quando si era spinto molto in là con la sua satira alludendo al fatto che il presidente turco picchi le donne, guardi video pedopornografici e provi attrazione sessuale per gli animali. «Si tratta di una decisione politica - ha commentato la direzione di Zdf - presupposto della punibilità è l’esistenza di una diffamazione e su questo la decisione del governo non fornisce valutazioni, questo è compito della giustizia».
Anche Merkel si è aggrappata a questa precisazione: in Germania «è il potere giudiziario che ha l’ultima parola, non la politica». Nella dichiarazione con la quale ha annunciato la decisione, la cancelliera ha ricordato i «legami stretti e di amicizia con la Turchia» e che in Germania vivono oltre tre milioni di persone di origine turca. Ha pure invitato Ankara a rispettare la libertà di stampa. Un invito che non le ha evitato la bufera politica e mediatica.
Roberta Miraglia
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GIAMPIERO GRAMAGLIA, IL FATTO QUOTIDIANO 16/4 –
Ci sono Paesi dove i comici e gli showman diventano leader politici e, magari, si vedrà, presidente; e Paesi dove ci provano senza riuscirci, come in Francia Coluche, e poi cambia il vento e se fai satira sul terrorismo di ritrovi indagato e arrestato, come Dieudonné. E poi ci sono Paesi dove, se sei un comico, ti ritrovi sotto processo perché hai fatto la satira di un leader straniero autoritario e repressivo.
Un Paese così lo cerchereste, sulla carta geografica, lungo i confini dell’ex Impero sovietico, invece è nel cuore dell’Europa dei valori e dei diritti: è la Germania di Angela Merkel, cancelliera compassionevole, che ha aperto le porte a oltre un milione di rifugiati siriani nel 2015 e che ora apre, metaforicamente, ma non troppo, le porte della galera al comico della Zdf, una sorta di Rai, Jan Boehmermann, reo di avere composto e diffuso una poesia satirica sul presidente turco Recep Tayyip Erdogan. C’è il rischio di una condanna a cinque anni.
L’annuncio ufficiale è venuto ieri, dalla stessa cancelliera. Un comunicato precisa che la decisione è stata presa e condivisa dal vice-cancelliere Sigmar Gabriel, socialdemocratico, e dai ministri di Esteri, Interno e Giustizia. Anche se non tutti erano proprio convinti: la stampa tedesca attribuisce al responsabile degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, socialdemocratico anch’egli, forti esitazioni. Ora, va detto che la decisione era quasi obbligata, perché il paragrafo 103 del codice penale tedesco prevede, in caso di denuncia di un capo di Stato estero per offese ricevute, che il governo autorizzi un procedimento penale.
E va anche aggiunto che la Merkel ha già impegnato il governo ad abolire quel paragrafo del codice penale. L’autorizzazione del governo non significa in nessun modo un giudizio di condanna preventivo. Ma, pur con tutti questi distinguo, la decisione suona lo stesso male. Tant’è che la stessa Merkel l’ha bilanciata con un palese sgarbo al governo turco: oggi, non sarà a Kilis, Anatolia meridionale, per l’inaugurazione di un nuovo centro di accoglienza dei profughi provenienti dalla Siria. La Merkel deve bilanciare la linea dell’apertura ai rifugiati con le scadenze elettorali – l’anno è fitto di consultazioni regionali – e con la ‘realpolitik’ nei confronti di Ankara, di cui s’è già fatta paladina nell’Ue a più riprese.
La bussola della cancelliera è il dialogo, quali che siano le tare dell’interlocutore: dialogo con Putin, durante la crisi ucraina; e dialogo con la Turchia, anzi apertura di credito a Erdogan prima del voto del 1° novembre 2015, con una visita da molti giudicata quanto meno inopportuna, e poi appoggio nel negoziato con l’Ue sfociato nell’intesa del 17 marzo, un ‘accordo della vergogna’, di cui, però, la cancelliera è stata mediatore.
Boehmermann, una discreta popolarità, suggeriva, nel suo poema satirico, che Erdogan abbia rapporti sessuali con le capre e guardi film pedopornografici mentre reprime le minoranze, prende a calci i curdi e picchia i cristiani. Non è la prima volta che il leader turco va su tutte le furie per un programma televisivo tedesco, ma, questa volta, sfruttando la legge tedesca, ha querelato e chiesto l’incriminazione. Del resto, la giustizia turca s’era già messa in moto autonomamente, dopo avere ricevuto una ventina di querele da parte di cittadini, e la Zdf aveva sospeso la trasmissione.
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DANIELA RANIERI, IL FATTO QUOTIDIANO 16/4 –
Infilato nel codice penale della civilissima Germania c’è un articolo che regola il reato di offesa a Capo di Stato straniero, il che di per sé, se si pensa a tutte le occasioni perse da B. per dichiarare guerra all’Europa, è abbastanza comico. Fatto sta che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sul cui senso dell’umorismo si poteva in effetti nutrire qualche dubbio, si è aggrappato a quel comma per denunciare il comico Jan Böhmermann, che in uno show del canale tedesco Zdf lo aveva ritratto come un picchiatore di curdi e cristiani incline alla pedopornografia e alla zoofilia.
Lo ha fatto sollevando un polverone che manco Papa Pio VII nel Marchese del Grillo: vergando una nota diplomatica con bollo e ceralacca all’indirizzo del ministro degli Esteri tedesco, che l’ha girato a Angela Merkel, la quale lo ha esaminato e messo ai voti insieme al vice-cancelliere e ai ministri di Interno, Giustizia ed Esteri.
Gli ultimi due hanno fatto sapere che loro non erano d’accordo a sottoporre il comico a un processo; senonché Angela in persona, ago della bilancia in condizione di parità, ha serenamente girato il pollice in faccia al povero Böhmermann, che sarà processato per lesa maestà di presidente turco.
Sembra ieri che i leader d’Europa, tutti circonfusi dalla luce dalla Ragione e intrisi di ore di discorsi sui valori dell’Illuminismo contro l’oscurantismo dei jihadisti, mossero come falange per le vie di Parigi al grido di Je suis Charlie.
La formazione a testuggine aveva una sua forza iconica: Renzi per una volta zitto, Merkel per una volta non “impressionata” dalle riforme di Renzi, Hollande incredibilmente non gaffeur e incespicone, Abu Mazen e Netanyahu a braccetto, il presidente ucraino Poroshenko e il ministro degli Esteri russo Lavrov messi lì come nel “trova l’intruso”, il premier turco Ahmet Davutoglu dedito a inviare “al mondo intero il messaggio che ognuno deve sollevarsi contro la minaccia del terrorismo” – che letta oggi parrebbe significare che il terrorismo non serve quando basta il codice penale.
Mentre il cadavere della satira giaceva ancora caldo, viveva la libertà di satira portata in gonfalone dai nostri, e Angela si stagliava su uno sfondo di maschi, austera, seria, simpatica, libera e libertaria.
Da oggi i satirici di tutto il mondo prendano nota che finché non si fanno bucare le trippe da una scarica di kalashnikov sono attenzionati e passibili di processo; che possono offendere il Profeta, Dio e tutti gli altri surrogati della ragione finché vogliono, o meglio finché possono, ma si devono guardar bene dall’offendere un capo di Stato straniero, che può in un attimo far stracciare secoli di lotte per la libertà di espressione. Anche se francamente, se non si può più dire che un capo di Stato è dispotico con le minoranze, dittatoriale con i giornalisti e un idiota che fa sesso con le capre, cosa diavolo si potrà mai dire.
Comunque, è ufficiale che tutti i proclami dei nostri politici democratici a favore della libertà di espressione e di satira sono grottescamente falsi e inutili, mentre fino a ieri la notizia era soltanto ufficiosa.
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PIERLUIGI BATTISTA, CORRIERE DELLA SERA 16/4 –
«Sì» di Merkel al processo contro il comico anti Erdogan. Così anziché essere la Turchia ad adeguarsi agli standard europei, sembra essere il contrario. Bei tempi, quando si diceva che la Turchia, per entrare in Europa, avrebbe dovuto adeguarsi agli standard di libertà e al rispetto dei diritti di cui il nostro continente si faceva vanto. Bei tempi: ora è l’Europa che si deve adeguare agli standard autoritari e alla spirale repressiva della Turchia per non rompere con Ankara. Il governo Merkel si affretta a dare in pasto giudiziario al premier turco Erdogan, quello che teorizza apertamente l’inferiorità e la sottomissione della donna, la testa del comico Jan Boehmermann, che nella sua satira certamente poco sofisticata ha satireggiato sulla figura del padrone della Turchia. Tra la libertà d’espressione e la diplomazia con Erdogan, il governo tedesco ha decisamente optato per la seconda scelta e ha autorizzato un procedimento giudiziario del tutto inedito nella democrazia tedesca. Ha calpestato un valore molto caro come la libertà d’espressione rendendo paradossale la sua partecipazione al corteo di Parigi dopo la carneficina di Charlie Hebdo. «Je suis Charlie» è solo un ricordo. Oggi è il turno di «Sto con chi vorrebbe farla finita con Charlie». Un altro arretramento. Un altro passo indietro. Un’ulteriore prova che l’Europa non è più capace di tenere duro sui suoi valori e che la difesa dei diritti umani, dalla Turchia all’Iran all’Arabia Saudita, diventa piccola e timida quando sono in questione i flussi di scambi economici e la centralità degli equilibri geo-strategici. Forse però con la scelta del governo Merkel l’arretramento appare più traumatico, troppo zelante, troppo accondiscendente con chi occupa militarmente i giornali e mette in galera gli scrittori che osano discutere la linea del padrone-premier. Stavolta si poteva dire un secco no per non dover dire sì ancora più umilianti tra qualche mese o anno. Intanto: «Je suis Boehmermann».
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GIULIO MEOTTI, IL FOGLIO 15/4 –
Di questo passo dovranno chiedere scusa al sindaco di Colonia, Henriette Reker, che dopo le aggressioni sessuali della notte di Capodanno era stata criticata per aver consigliato alle donne di “tenere gli stranieri a distanza di un braccio”. Sì, perché il ministro della Giustizia tedesco, il socialdemocratico Heiko Maas, ora ha suggerito una soluzione simile per mantenere la pace multiculturale e disincentivare la lascivia dei migranti dopo Colonia: eliminare le donne nude dai cartelloni pubblicitari. Come spiega lo Spiegel, il ministro Maas, su suggerimento delle femministe di Pink Stinks, ha proposto di bandire la “pubblicità sessista” e di proiettare una immagine “moderna” delle donne non più come “oggetti sessuali” (in Italia lo ha chiesto anche Monica Cirinnà, che vorrebbe “liberare le città da tutte le immagini che usano il corpo delle donne in modo insultante”).
Nel 1969 la Germania fu travolta dal dibattito sull’introduzione nelle scuole del “Sexualkundeatlas”, l’Atlante di scienza sessuale. Adesso il problema è desessualizzare la società. Prima le autorità hanno pubblicato linee guida, pamphlet e vignette, per comunicare agli immigrati mediorientali le norme sessuali che devono seguire. Poi, a Bornheim, vicino Bonn, funzionari tedeschi hanno vietato l’ingresso ai migranti di sesso maschile in una piscina pubblica. La decisione è stata presa a seguito delle denunce di alcune ragazze che avevano lamentato di essere state infastidite sessualmente da un gruppo di migranti provenienti da un vicino centro di accoglienza. Poi una piscina di Norderstedt, nel nord della Germania, ha introdotto fasce orarie in cui l’utilizzo è riservato solo alle donne e interdetto agli uomini. A Ratisbona c’è chi ha suggerito di creare autobus per sole donne, visto che venivano palpeggiate. E in alcune scuole vicine ai centri profughi si “consiglia” di non indossare le minigonne.
In risposta al ministro Maas, il leader del Partito liberale democratico, Christian Lindner, ha dichiarato che “vietare la nudità e la pubblicità sessuale, velare le donne e addomesticare gli uomini, lo fanno i leader religiosi islamici, non il ministro della Giustizia tedesco”.
Secondo la proposta di legge del ministro della Giustizia tedesco, Heiko Maas, manifesti o annunci pubblicitari potrebbero essere irricevibili “se riducono le donne a oggetti sessuali”. In caso di controversia, sarà un tribunale a decidere. Niente più pubblicità della birra Schöfferhofer in cui una ragazza nuda dice che “è bello farsi pizzicare l’ombelico”. Niente più natiche al vento in bicicletta per la pubblicità dell’intimo. I migranti siriani potrebbero agitarsi. Basta curve attraenti o sorrisi seducenti. Presentazioni stimolanti che offuscano la mente. La Gwa, l’associazione tedesca che rappresenta le agenzie di comunicazione, ha descritto la proposta Maas come “completamente assurda”: “Chi deciderà cosa è sessista?”, ha chiesto il presidente della Gwa, Wolf Ingomar. Avverte il giornale Augsburger Allgemeine: “Heiko Maas vuole un divieto della pelle nuda per scopi pubblicitari”. E ancora: “Troppo sesso: il ministro Heiko Maas vuole censurare la pubblicità”. Favorevole la femminista Margarete Stokovski, che sul settimanale Spiegel scrive: “Oggi è il trentesimo anniversario della morte di Simone de Beauvoir. Il suo libro ‘Il secondo sesso’ si conclude con la constatazione che le persone sono libere solo quando possono riconoscersi come soggetti, indipendentemente dal loro sesso”.
Sulla stampa, il commento più duro arriva dal quotidiano Die Welt, che titola contro la “sottomissione culturale”: “Grazie al ministro della Giustizia Heiko Maas sappiamo finalmente il motivo per cui la notte di Capodanno alla stazione centrale di Colonia circa un migliaio di donne sono state vittime di violenza sessuale: a causa della pubblicità sessista. Troppi modelli erotici, troppa pelle nuda sui nostri cartelloni, troppe bocche erotiche, troppe minigonne nelle riviste di moda, troppi culi e seni paffuti negli spot televisivi”. Sarebbe come dire che la colpa per la violenza sessuale a Colonia da parte di migranti provenienti dal mondo islamico non sono gli stessi autori, “né la loro cultura”, ma “la cattiveria del settore pubblicitario tedesco”.
La Welt denuncia questa ondata di “pruderie e puritanesimo”: “La richiesta di meno erotismo in pubblico del ministero della Giustizia tedesco è – come il divieto di satira contro Jan Böhmermann – un altro passo nella direzione di una ‘sottomissione’, come l’ha ritratta con chiaroveggenza Michel Houellebecq”. Anziché i capezzoli e i glutei, conclude la Welt, “dovremmo stimolare l’uso del burqa o far indossare il velo come la signora Erdogan?”.
Intanto, il comico Jan Böhmermann, reo di aver deriso il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sulla Zdf, è finito sotto scorta e il suo programma indecente è stato sospeso dalla televisione pubblica tedesca. Il califfo al Baghdadi non poteva chiedere di più: via le donne nude dalle strade e il comico blasfemo dagli schermi. Il passo successivo la Germania potrebbe emularlo dalla Francia: la criminalizzazione della prostituzione. Una lapidazione democratica.
Giulio Meotti, Il Foglio 15/4/2016
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GIULIO MEOTTI, IL FOGLIO 13/4 –
Era dai tempi dell’Idomeneo di Mozart che la Germania non testava così in profondità la libertà di espressione, quando nel 2006 la Deutsche Oper cancellò quell’opera dalla stagione lirica, perché c’era la testa mozzata di Maometto che avrebbe potuto offendere la comunità islamica più grande d’Europa. Il regista, Hans Neuenfels, allora si domandò: “Dove andremo a finire se permettiamo, con obbedienza lungimirante, di essere artisticamente ricattati?”. La risposta è arrivata questa settimana con il caso Jan Böhmermann, il celebre comico che ha preso in giro il presidente turco Recep Erdogan. “Quello che sto per leggere non è consentito”, ha detto Böhmermann sulla Zdf, la rete pubblica tedesca. La sua poesia suggerisce che Erdogan guardi film pedopornografici mentre si diverte a “reprimere le minoranze, prendere a calci i curdi e picchiare i cristiani”. Al procuratore di Mainz, nella Renania-Palatinato, sono arrivate oltre venti denunce da privati cittadini che lo hanno costretto ad aprire un fascicolo contro Böhmermann in base al paragrafo 103 del codice penale, che prevede tre anni di prigione per insulto a un capo di stato straniero. La cancelliera, Angela Merkel, ha condannato la poesia, definendola un “insulto deliberato”, e si è messa al telefono con il premier turco Ahmet Davutoglu per placare l’ira di Ankara. Ieri è arrivata, infine, la denuncia personale di Erdogan contro Böhmermann che, secondo il vice premier turco, Numan Kurtulmus, ha commesso un “grave crimine contro l’umanità” e “offeso 78 milioni di turchi”. Il caso potrebbe andare alla Corte costituzionale di Karlsruhe. Non sazio di incarcerare giornalisti turchi, il presidente Erdogan vuole sbattere in prigione anche quelli tedeschi.
Nel dibattito sulla libertà di satira è intervenuto ieri il cabarettista Dieter Hallervorden, che in un video definisce Erdogan “un terrorista che caga sullo spirito libero”. Tre settimane fa, un altro video tedesco aveva scatenato le proteste turche. Intanto la Zdf ha rimosso il video su Erdogan di Jan Böhmermann, prima ancora che arrivassero le proteste turche. Se Merkel si è schierata con i turchi, la stampa tedesca è compatta attorno a Böhmermann. Mathias Döpfner, l’editore del colosso Springer, ha elogiato la poesia come un “capolavoro”, criticando Merkel, di cui Döpfner è storico sostenitore: “Come ha scritto Michel Houellebecq nel suo capolavoro sul sacrificio di sé dell’occidente: sottomissione”. Manifestazioni sono state indette sotto gli uffici della Zdf in Turchia, con lancio di uova. L’ex ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, ha commentato: “L’Europa prima ha perso l’anima, ora ha perso il senso dell’umorismo”. “Böhmermann non è molto coraggioso, si è sempre occupato di soggetti fragili e questa storia è più grande di lui”, dice al Foglio Henryk Broder, nato nel 1946 a Katowice, in Polonia, e oggi uno degli scrittori più bellicosi e popolari della Germania che scrive per Welt e Bild. “Non si è presentato neppure per ritirare il Premio Grimm. Io mi sarei presentato e avrei detto a questa gente: ‘Fottetevi’”. L’attore tedesco Max Mauff si è presentato invece alla cerimonia del Premio Grimm con una foto di Böhmermann e la scritta “mancante”. “Böhmermann si è comportato da dhimmi, da sottomesso, ma dobbiamo essere solidali – continua Broder – Perché è un caso di interferenza del governo nella libertà di espressione. Non hanno legittimità in democrazia gli argomenti sulla ‘sensibilità’ turca. Siamo di fronte alla contraddittorietà invece di Angela Merkel che si dice a favore della libertà di espressione ma poi interviene contro la stessa. Come quando apparve il libro di Thilo Sarrazin ‘La Germania si abolisce’, venne squalificato da Merkel come ‘diffamatorio’ e ‘non utile’. Non c’è buona satira e cattiva satira. Nella Germania comunista dell’est era il partito a decidere cosa si doveva pubblicare e questo è nel Dna di Merkel, che è infatti figlia della Ddr. All’epoca la chiamavano ‘socializzazione’. Merkel ha sempre in testa il pensiero dei migranti ed Erdogan deve fare il lavoro sporco per lei, quindi non vuole che un comico le rovini il rapporto con la Turchia. Ma Erdogan è anche un despota”. Per Böhmermann, invece, Broder ha una soluzione: “Trasferimento in un campo di nudisti in Svizzera”.
In Turchia, l’articolo 299 del codice penale prevede fino a quattro anni di carcere per chi insulta il presidente (ne sanno qualcosa Can Dündar ed Erdem Gül, direttore e caporedattore di Cumhuriyet). Raccontava ieri Deutsche Welle che vi sono duemila casi legali pendenti riguardanti la diffamazione di Erdogan. Gli imputati sono artisti, giornalisti, accademici e vignettisti. La stessa pena è evocata e richiesta adesso in Germania contro un comico. Il confine geografico- culturale dell’Europa è da sempre tracciato sul Bosforo e non al confine turco. Il caso Böhmermann sembra aver tragicamente spostato il confine verso Ankara.
Giulio Meotti, Il Foglio 13/4/2016
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DANILO TAINO, CORRIERE DELLA SERA 13/4 –
C’è una certa «fatica da leadership», sulle spalle di Angela Merkel. L’accordo che la cancelliera ha voluto a ogni costo con Recep Tayyip Erdoğgan è un passaggio cruciale per mettere sulla strada di una possibile soluzione la crisi dei rifugiati. Allearsi con un autoritario come il presidente turco rischia però di svuotare di energia anche la leader più robusta. Ieri, per esempio, si è saputo che Ankara ha chiesto ufficialmente a Berlino di mandare a processo un comico tedesco, Jan Böhmermann, che lo scorso 31 marzo aveva recitato su un canale pubblico della televisione, Zdf, un poema satirico piuttosto «forte» nei confronti di Erdogan. Ciò ha messo Frau Merkel davanti al dilemma: realismo di Stato o libertà assoluta di espressione?
La vicenda fa i titoli dei giornali da un po’. Böhmermann non è stato leggero: durante il suo show Neo Magazin Royale, si è presentato seduto sotto la fotografia del presidente turco e l’ha accusato, tra molte altre cose, di fare sesso con pecore e capre, di reprimere le minoranze, prendere a calci i curdi e picchiare i cristiani mentre legge pornografia pedofila. Satira, per quanto offensiva. Prima di pronunciare la poesia, aveva anche avvertito che si trattava di una provocazione non consentita dalla legge tedesca, che lui intendeva sfidare. L’articolo 103 del Codice penale stabilisce infatti che chi insulta organi o rappresentanti di Stati esteri è punibile, anche con anni di prigione.
Il fatto è però che, affinché venga processato, occorre che l’offeso lo pretenda – e Erdogan lo pretende – e che il governo tedesco sia d’accordo – e su questo il portavoce di Merkel non ha detto un no secco, ieri, ma ha spiegato che la richiesta sarà esaminata. La scelta: inacidire i rapporti con Ankara o mettere sotto processo un attore? È faticoso, ma nell’età degli uomini forti al potere, servono donne forti al potere.