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 2016  aprile 14 Giovedì calendario

BRUXELLES A UN PASSO DAL BARATRO– [note alla fine] 1. Oltre l’oleografica coltre euro-atlantista, Bruxelles appare una città dai dolorosi connotati esotici

BRUXELLES A UN PASSO DAL BARATRO– [note alla fine] 1. Oltre l’oleografica coltre euro-atlantista, Bruxelles appare una città dai dolorosi connotati esotici. Caso unico in Europa occidentale, qui convivono una peculiare forma di sudafricano apartheid linguistico e gli stessi meccanismi prodotti in Cisgiordania dagli insediamenti ebraici. Enclave francofona che trascende in territorio fiammingo, è contesa tra due tribù che la pensano culla e simbolo della loro comunità. Gerusalemme laica per fiamminghi e valloni, capitale di entità estinte o virtuali – il Belgio e l’Unione Europea – è al contempo centro burocratico e categoria dell’anima. Nonché agglomerato urbano punteggiato da quartieri abbandonati alla gestione di gruppi apocalittici di matrice musulmana. Composta da 19 municipalità indipendenti, sede di un’alleanza militare in cerca di autore, è di fatto la metropoli europea maggiormente prossima alla guerra civile. A metà del XIX secolo Bruxelles rinnegò la sua natura fiamminga per abbracciare l’identità francofona e costituirsi quale centro di livello continentale. Qui nacque e si spense l’unico esperimento di lingua belga, finché un secolo più tardi i fiamminghi risposero alla sua perdita fissando sul territorio urbano i confini linguistici del loro clan. Una frontiera che oggi rende coloni i valloni stanziati oltre il raccordo semi-anulare e che funge da Rubicone nello scontro che da decenni tormenta il paese. Con i francofoni che dall’agglomerato urbano straboccano nei sobborghi, immaginando così di conquistare definitivamente Bruxelles in caso di definitiva partizione del Belgio. E con i fiamminghi che circondano la città, impegnati a impedire l’ulteriore penetrazione del loro territorio da parte dei pendolari valloni. Sancendo il perdurare di un segregazionismo di stampo clanico che infragilisce le istituzioni urbane (oltre che federali) e impedisce la completa assimilazione degli stranieri. Specie gli immigrati islamici, abili a sfruttare 1’inadeguatezza delle istituzioni locali per rendere impenetrabili i loro quartieri e tramutarli nei ricettacoli del jihadismo globale. Fra l’apatia degli espatriati, segmento demografico totalmente avulso dalla realtà circostante, che non partecipa degli eventi ma contribuisce alla drammatica disfunzionalità del contesto. 2. Sebbene oggi sia francofona, storicamente Bruxelles – o meglio Brussel – è sempre stata una città fiamminga, inizialmente parte dei Paesi Bassi. In neerlandese il suo etimo significa «casa nella palude» (Broekzele o Broeksel), con riferimento forse alla cappella che San Gaugerico fece costruire nel 580 su di un’isola del fiume Senne. Nel XVI secolo il suo destino si separò per la prima volta da quello dei Paesi Bassi. Imbevute di calvinismo, allora le province neerlandesi si ribellarono al dominio spagnolo e nel 1579 firmarono l’Unione di Utrecht, che ne sanciva la secessione. Tuttavia la finissima mente strategica del duca Alessandro Farnese, comandante dell’armata di Filippo II, seppe sfruttare l’atavica diffidenza tra fiamminghi e olandesi per creare un cuneo nel fronte degli insorti. In cinque anni l’italiano riconquistò le principali città di Fiandre e Brabante. Bruxelles tornò alla Spagna e al cattolicesimo nel marzo del 1585, unendosi alle marche francofone dell’Hainaut, di Namur e di Liegi. Nel 1814 Fiandre e Olanda tornarono unite nel Regno dei Paesi Bassi, pensato durante il congresso di Vienna come Stato cuscinetto in funzione antifrancese. Ma l’esperimento ebbe vita breve. Ormai troppo cattolici e protezionisti in economia, nel 1830 i belgi si rivoltarono contro Amsterdam per proclamare la loro indipendenza. Secessione determinante per la storia di Bruxelles, assurta nottetempo e con l’onore delle armi a capitale del nuovo regno. Fiamminghi e valloni si ritrovarono da soli, gli uni al cospetto degli altri, artefici del proprio destino comune. Anziché condurre alla nascita di una nazione, l’unione innescò il violento scontro tra gruppi etnici. Di fatto due tribù, rispettivamente imparentate con olandesi e francesi ma distinte dai ceppi principali. Diverse per cultura e origine – vallone è l’esonimo con cui i fiamminghi designavano come stranieri (walsch) i germanici romanizzati – unite soltanto dalla religione cattolica e dalla piattezza orografica del territorio che impone loro una forzata convivenza. I fiamminghi al Nord: nelle Fiandre, nel Brabante Settentrionale, ad Anversa e nel Limburgo. I valloni al Sud: nel Brabante Meridionale, nell’Hainaut, a Namur, nel paese di Liegi. Animata da uno smaccato complesso di superiorità nei confronti dei fiamminghi, la classe dirigente vallone del nuovo regno impose il francese quale unica lingua ufficiale. Nelle parole del senatore Alexandre Gendebien, tra i padri fondatori del Belgio, gli abitanti delle Fiandre erano una «delle razze inferiori della terra, sullo stesso livello dei negri» [1]. A Bruxelles, città in cui il 95% della popolazione si esprimeva nel dialetto neerlandese del Brabante, nel 1831 furono chiuse tutte le scuole fiamminghe e i cittadini costretti ad abbandonare l’idioma nativo. Alla mera imposizione si sommò il prestigio riconosciuto al francese quale lingua dell’amministrazione e della cultura che rese (parzialmente) spontanea la decretata mutazione. Così nel giro di alcuni decenni i fiamminghi brussellesi (assieme a quelli di Mouscron e Komen) divennero francofoni. I toponomi adottarono la dizione parigina: le straat si tramutarono in rues, le plein in places, le laan in boulevard. Solo Manneken Pis, la celebre statuetta del bimbo che urina, forse troppo anticonformista per il patriziato della restaurazione, non divenne mai le gamin qui pisse. Nello stesso periodo si sviluppò nel resto delle Fiandre un movimento di resistenza contro la diffusione del francese. Gli intellettuali Jan Frans Willems, Philip Blommaert e Augustijn Snellaert cominciarono a reclamare il riconoscimento del fiammingo quale seconda lingua ufficiale del Regno. Finché nel 1921 il parlamento certificò l’olandese quale lingua paritaria dell’amministrazione pubblica e lo rese unico idioma nelle quattro province fiamminghe e nell’arrondissement di Bruxelles, ma non nella sua area urbana. Inoltre la norma imponeva ai Comuni situati nei pressi della capitale di fornire servizi sia in francese sia in fiammingo se almeno il 30% della popolazione appartenesse a una minoranza linguistica e prevedeva che l’idioma ufficiale sarebbe cambiato se, in base al decennale censimento, la minoranza si fosse tramutata in maggioranza. Per reazione, primo evento della futura guerra linguistica brussellese, nel 1932 il Comune di Sint-Stevens-Woluwe decretò la secessione da Bruxelles perché nel suo territorio i francofoni erano scesi al 25%. Seguì la formazione della Ligue contre la flamandisation, pensata per combattere la «tirannia del fiammingo». Fu in questo clima che nel popolare quartiere di Marollen (Marolles) si affermò l’unico prototipo di idioma «belga». Alla fine del XIX secolo tra le strade del rione si diffuse un bizzarro vernacolo, fusione informale tra la grammatica francese e il locale dialetto brabantino, che ben presto assurse ad emblema della scalata sociale sognata attraverso la lingua dalle classi più umili (petites françaises, nel dispregiativo appellativo delle élite). Impressioni apparentemente francofone, in realtà mutuate dal fiammingo, convivevano con altre dall’evidente struttura neerlandese annaffiata di francese (K’em a carrément de woeraait gezeit) [2]. Finché la definitiva affermazione della lingua di Voltaire e la distruzione del quartiere durante il secondo conflitto mondiale segnarono la fine di ogni tentativo di omogeneità linguistica. Nel 1947 i francofoni costituivano ormai il 74% della popolazione brussellese [3]. Piuttosto che stemperare lo scontro, l’avvenuta mutazione linguistica rese Bruxelles principale oggetto del contendere tribale. Alla capitale fu improvvisamente riconosciuta sacra dignità tanto dai valloni, in precedenza gravitanti su Liegi, quanto dai fiamminghi, storicamente incentrati su Anversa e Bruges. Sicché nel secondo dopoguerra la comunità delle Fiandre tracciò intorno alla città un confine invalicabile, contro l’ulteriore espansione del francese e dell’influenza vallone. Tale ineludibile limes fu sancito dalle leggi Gilson, che nel 1962 decretarono le frontiere delle due comunità linguistiche del Belgio (cui si aggiunge una sparuta minoranza germanofona) e lo status di Bruxelles quale enclave bilingue in territorio fiammingo. Quindi nel 1989 fu creata la Regione federata Bruxelles-Capitale, nel cui governo la componente fiamminga è scientificamente sovrarappresentata con tre ministri neerlandofoni su otto, a fronte di una popolazione di lingua olandese appena del 5% [4]. A testimoniare la sensibilità di una disputa tribale che riguarda le fondamenta geopolitiche della città. 3. Oggi Bruxelles è abitata da 1,2 milioni di persone, quasi due milioni nell’intero agglomerato urbano. Circa il 70% dei residenti ha origini straniere, con il 36% di discendenza extracomunitaria (soprattutto marocchina, turca e subsahariana) e il 32% di provenienza europea. La popolazione, tradizionalmente cattolica, è per il 25% musulmana. La capitale ospita i governi e i rispettivi parlamenti del Belgio, delle Fiandre, della Vallonia e della stessa regione di Bruxelles. Mentre sul territorio operano sei diversi dipartimenti di polizia, raramente coordinati fra loro. Sul piano amministrativo, la regione della capitale è caratterizzata da tre diversi anelli di profondità. Il Comune di Bruxelles-Ville, incentrato sul cosiddetto Pentagono, delimitato da una cintura di boulevard costruiti tra il 1880 e il 1914 sul modello parigino. Collocato a nord-est, il nucleo originario della città non domina l’agglomerato, né ne rappresenta il cuore geografico. Da cui notevoli difficoltà logistiche nel controllare la metropoli. Quindi gli altri 18 municipi, da tempo divenuti semplici quartieri, che compongono il tessuto prettamente urbano. Anderlecht, Auderghem, Berchem-Sainte-Agathe, Etterbeek, Evere, Forest, Ganshoren, Ixelles, Jette, Koekelberg, Molenbeek-Saint-Jean, Saint-Gilles, Saint-Josseten-Noode, Schaerbeek, Uccle, Watermael-Boitsfort, Woluwe-Saint-Lambert, Woluwe-Saint-Pierre. Infine vi sono i sobborghi che, ancorché sedi di enti e società che operano nella capitale o semplici quartieri dormitorio per i pendolari, sono collocati nel territorio delle Fiandre e dunque ufficialmente neerlandofoni. È questa la cosiddetta cintura fiamminga (Vlaamse Rand), in cui almeno il 25% della popolazione è francofono. Le maggiori tensioni si registrano proprio nel Rand e nei municipi abitati da cittadini di discendenza turca o marocchina. A partire da sei comuni dell’estrema periferia, dove i francofoni costituiscono la maggioranza o almeno la metà della popolazione e dove vivono alla stregua di coloni. Usurpatori in partibus infidelium. Si tratta delle municipalità di Linkebeek (80% di abitanti madrelingua francese); Kraainem (76%); Drogenbos (75%); Wezembeek-Oppem (75%); Rhode-Saint-Genèse (56%); Wemmel (50%). Comuni esclusi dal territorio della capitale nel 1962, quando il governo delle Fiandre impose l’utilizzo del censimento del 1947 piuttosto che il più recente del 1960, e l’abbandono di qualsiasi indagine nazionale in materia di idiomi. Per legge, queste municipalità possiedono strutture di facilitazione linguistica (scuola materna e primaria in francese e la possibilità di ricevere documenti ufficiali in due lingue, ancorché solo su espressa richiesta). Tuttavia, a dispetto dell’etnia cui appartiene buona parte della popolazione locale, tali sobborghi restano esclusivamente fiamminghi. Non esistono cartelli bilingui, le biblioteche possiedono quasi soltanto libri in olandese (almeno il 55% per ricevere i fondi provinciali) e i bambini che frequentano il corso di francese sono situati in una struttura a parte [6]. Non solo. Qui se un funzionario comunale risponde in francese alle richieste degli utenti incappa in una multa salata; a Zaventem e Vilvoorde, municipalità della cintura orientale con una popolazione francofona rispettivamente del 15% e del 13%, le case popolari sono assegnate soltanto ai cittadini fiamminghi; mentre ad Overijse, Comune a sud-est del centro con il 32% di popolazione francofona, le autorità locali hanno provato a bandire l’uso del francese perfino per le insegne pubblicitarie [7]. Infine da queste parti la polizia linguistica monitora le assemblee comunali affinché le riunioni siano tenute in olandese, anche se in alcuni casi il 90% dei consiglieri non sa esprimersi nella lingua di Bruegel. Pena l’annullamento dei lavori. Negli ultimi anni la tensione si è intensificata. Nel 2007 il governo fiammingo si è rifiutato di certificare l’elezione dei tre sindaci francofoni di Linkebeek, Wezembeek-Oppem e Kraainem. Votati a stragrande maggioranza, Damien Thiéry, Francois Van Hoobrouck, Arnold d’Oreye de Lantremange avevano inviato alla cittadinanza le convocazioni elettorali in francese, contravvenendo alla legislazione linguistica, dichiarando di voler condurre i lavori comunali nella loro lingua madre. Troppo per essere tollerati dal ministero dell’Interno delle Fiandre. Sulla questione è intervenuto perfino il Consiglio d’Europa che, al termine di una lunga inchiesta in materia di violazione dei diritti umani, ha invitato le autorità fiamminghe a rispettare la volontà degli elettori [8]. Eppure il caso non si è risolto neppure nelle successive elezioni del 2012, quando le Fiandre hanno ignorato ancora una volta l’esito elettorale negando la nomina di Thiéry e Van Hoobrouck e riconoscendo soltanto nel 2014 Véronique Caprasse come nuovo sindaco di Kraainem. Non solo dispute di carattere linguistico. I sobborghi posti a sud dell’agglomerato urbano brussellese – tra questi Linkebeek, Drogenbos, Rhode-Saint-Genèse – possiedono un cruciale valore geopolitico, giacché in caso di secessione i valloni hanno bisogno di controllare questi comuni del Brabante fiammingo per creare continuità territoriale tra Bruxelles e la loro (nuova) patria. Si spiega così la recente scelta della comunità francofona che ha modificato il proprio nome in Federazione Vallone-Brussellese. Viceversa, il governo delle Fiandre intende impedire tale saldatura territoriale difendendo lo sbiadito carattere neerlandofono di queste municipalità. 4. Gli interminabili contrasti tra fiamminghi e valloni hanno facilitato la nascita sul territorio brussellese (e non solo) di quartieri posti oltre il controllo delle autorità giudiziarie e di polizia. Prive di afflato universalista e convinte che l’integrazione di cittadini originariamente allogeni ne provocherebbe lo scadimento identitario, le tribù sono contrarie alla piena assimilazione dello straniero. Nella loro scala valoriale la cittadinanza è determinata dalla biologia e mai dalla cultura. Sicché decenni dopo il loro arrivo nel «paese piatto», i discendenti degli immigrati italiani, portoghesi o spagnoli si percepiscono soltanto come belgi e non come valloni o fiamminghi. La loro appartenenza trascende necessariamente le tribù, come testimoniato dalla perdurante pratica di chiamare i figli nella lingua degli avi, anziché in francese o in neerlandese. Ancora più complesso il caso degli immigrati di religione musulmana nei confronti dei quali, assieme alla diffidenza tribale, si applica anche un peloso multiculturalismo, pensato per prevenirne l’assimilazione e spacciato per rispetto dei costumi altrui. Principalmente turchi e marocchini, ma anche maghrebini, saheliani e pakistani, presenti in città dal secondo dopoguerra in seguito ad accordi siglati dal governo belga con gli esecutivi dei paesi di provenienza, e da decenni installati nelle municipalità che un tempo ospitavano gli immigrati europei. In particolare a Molenbeek-Saint-Jean, Schaerbeek e Forest, tre comuni che quasi minacciosamente circondano quello di Bruxelles. Non banlieues nel senso parigino del termine, ma quartieri collocati a un passo dal centro storico. Un tempo sede dell’industria pesante, oggi incapaci di convertirsi al terziario e alla nuova economia. Qui il tasso di disoccupazione fra i figli di immigrati raggiunge in media il 40% [9] e spesso la disperazione si tramuta in nichilismo, con i giovani preda dell’ideologia salafita e fondamentalista. Impartita da predicatori inviati in loco dal centro di ricerca islamico con sede presso la Grande Moschea del Parco del Cinquantenario, già padiglione dell’esposizione nazionale del 1880 ceduto in locazione per 99 anni da re Baldovino al re saudita Faysal. La refrattarietà delle tribù autoctone ad accogliere gli immigrati, specie di religione musulmana, crea sacche di peste comunitaria nel cuore della capitale e contribuisce a ingrossare le file del terrorismo islamico. Il Belgio è in assoluto lo Stato dell’Europa occidentale che fornisce al «califfo» al-Bagdadi il numero pro capite più alto di combattenti stranieri, di cui più della metà proveniente dall’agglomerato di Bruxelles e dal sobborgo di Vilvoorde [10]. Così tra Molenbeek, Schaerbeek e Forest opera(va) la più temibile cellula jihadista presente sul continente europeo, implicata negli attentati terroristici delle ultime settimane. In pochi chilometri si trovano il bar gestito dai fratelli Abdeslam (‘Abd al-Salam) in rue des Béguines, a Molenbeek; l’appartamento perquisito dalla polizia sulle tracce di Salah, in rue Henri Bergé a Schaerbeek; l’altro appartamento in cui è stato rintracciato il dna del massimo ricercato d’Europa, in Rue du Dries a Forest; e la casa in cui è stato finalmente arrestato, in Rue des Quatre Vents a Molenbeek, a pochi metri dalla strada in cui è cresciuto. Il tutto nella pressoché totale indifferenza del governo federale e brussellese. Non solo a causa di un approccio fallimentare all’antiterrorismo. La connotazione clanica dello Stato belga induce le autorità a derubricare come secondarie le questioni riguardanti i gruppi allogeni. Quasi che ciò che non pertiene alla lotta tra valloni e fiamminghi non abbia rilevanza. Quasi che la perenne (indotta) alterità degli immigrati esenti le comunità etnico-linguistiche del paese da qualsiasi responsabilità nei loro confronti. Stesso destino per la cospicua comunità degli espatriati impiegati nelle multinazionali, nelle delegazioni diplomatiche e nelle istituzioni internazionali, benché questa produca un indotto di oltre due miliardi di euro l’anno. Circa 80 mila persone che, attive tra il quartiere europeo e i sobborghi fiamminghi, abitano soprattutto i municipi di Ixelles, Saint-Gilles, Uccle, Woluwe-Saint-Pierre. Classe dirigente (poco) intellettuale che si esprime utilizzando poche centinaia di lemmi dell’inglese e che, a dispetto della lunga permanenza in città, resta totalmente esclusa dal contesto culturale e politico. Peraltro cordialmente corrisposta dall’indifferenza degli autoctoni. 5. Il risultato è una città – oltre che uno Stato – sull’orlo del baratro. Abitata, circondata, attraversata da tribù e da stranieri, esclusi ed espatriati, che si affrontano a colpi di direttive linguistiche o che non si sfiorano nemmeno. Con allo stesso tempo il 18,3% di disoccupazione [11], pressoché come la Spagna, e un pil pro capite di 61.899 euro, il terzo più alto del continente [12]. Obiettivo ultimo dei separatisti valloni e fiamminghi e ora teatro del jihad ordito dai suoi stessi cittadini. Bruxelles è a un passo dallo scontro armato. Se nel Vlaamse Rand si combatte la battaglia per la sua futura collocazione geopolitica, giacché i fiamminghi ne impediranno l’annessione da parte vallone solo se continueranno a controllare i sobborghi francofoni, a Molenbeek e Schaerbeek si decide della sua (improbabile) tenuta sociale. In una spirale di accuse reciproche, razzismi malcelati, risentimenti storici e culturali che ne esalta le contraddizioni. Simbolo dell’Europa unita e teatro di guerra, città cosmopolita e milieu dell’apartheid linguistico. Difficilmente nel prossimo futuro Bruxelles modificherà la propria cifra sociale e politica nel tentativo di salvare se stessa. I veti incrociati tra fiamminghi e valloni di fatto impediscono qualsiasi revisione dello status quo. Eppure, data la potenza dei fenomeni intestini che la dilaniano, la sua immobilità potrebbe risultare fatale. Note: 1. Citato in H. GAUS, A. Gendebien en de organisatie van de Belgische revolutie van 1830, Gent 2007, Academia Press. 2. Letteralmente: «Ti ho detto la verità con franchezza», dove alla struttura perfettamente brabantina si aggiunge l’avverbio francese carrément. Cfr. J. TREFFERS-DALLER, Mixing Two Languages: French-Dutch Contact in a Comparative Perspectite, Berlin 1994. Walter de Gruyter. 3. Cfr. J.M. VAN DER HORST, J.A. VAN LEUVENSTEIJN, W. PIJNENBURG, M.C. VAN DEN TOORN, Geschiedenis van de Nederlandse taal, Amsterdam 1997, Amsterdam University Press. 4. Cfr. Brio-taalbarometer 3: diversiteit als norm. 2013. 5. Cfr. Non-Profit Data Belgie. Reperibile online: www.npdata.be/BuG/100 6. Cfr. I. TRAYNOR, «The Language Divide at the Heart of a Split that Is Tearing Belgium Apart», The Guardian, 9/5/2010. 7. Cfr. WATERFIELD, «Fragile Belgium Faces Crisis as Deadline Looms», The Telegraph, 14/7/2008. 8. Cfr. «Legal dispute in the suburbs of Brusels for 3 non appointed mayors», Brussels Diplomatic, 1/3/2013. 9. Cfr. J. MARTENS, «Brussels Neighborhood in Terror Clampdown after Paris Attack», Bloomberg, 15/11/2015. 10. N. ELBAGIR, B. NAIK, L.B. ALLAL, «Why Belgium is Europe’s Front Line in the War on Terror», Cnn, 24/3/2016. 11. Cfr. «Le chômage a reculé à Bruxelles et en Wallonie en 2015», Le Vif, 5/1/2016. 12. Cfr. «Bruxelles 3e région la plus riche de l’Union européenne», FlandreInfo.be, 21/5/2015.