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 2016  aprile 14 Giovedì calendario

IL DEF GIOCA D’AZZARDO

Negli anni di governo Renzi, il Documento di economia e finanza contiene tre cose: una puntuta contestazione dei criteri con cui si calcola l’attuazione del Patto di stabilità europeo (il cosiddetto «output gap»); la conseguente quantificazione di quanto margine in più la finanza pubblica «programmatica» si prenderà rispetto ai precedenti impegni contrattati con la Ue; una lunga lista di effetti (sovrastimati) delle riforme di governo. Quanto alle misure di attuazione degli obiettivi, grandissima avarizia su ogni particolare che apprenderemo invece solo all’ultimo momento, nella successiva Legge di stabilità.
Il Def presentato l’8aprile ha dei difetti che discendono tutti da questa impostazione. Dà per scontato che, come ci proponiamo di chiudere il 2016 con un 2,3 per cento di deficit rispetto al Pil invece dell’1,6 su cui Matteo Renzi era impegnato a inizio governo, anche nel 2017 il deficit possa essere come quest’anno di uno 0,7 per cento maggiore rispetto all’obiettivo fissato nel 2014, e cioè non inferiore all’1,8 per cento. Avevamo già fatto slittare dal 2017 al 2018 l’azzeramento del deficit, ora lo portiamo al 2019. Solo fino a un mese fa il governo ripeteva che il debito pubblico scendeva nel 2016, ora si ammette che se tutto va bene lo si limerà dello zerovirgola. Se ci fermiamo ai saldi di finanza pubblica, il Def esprime una convinzione implicita: il Patto di stabilità non solo è di fatto saltato, ma se a giugno alle urne i britannici sceglieranno di lasciare l’Ue, il caos europeo assumerà una tale portata che nessuno davvero vorrà rompere le scatole all’Italia.
A molti questa scelta pare condivisibile. Ma attenti, se consideriamo le stime di crescita del Pil italiano è evidente che siano ottimistiche, come viene del resto riconosciuto nello stesso Def. Siamo in attesa del dato di un primo trimestre 2016 che lo stesso Istat si aspetta non troppo superiore al più 0,1 per cento, come l’ultimo del 2015, dopo un progressivo rallentamento (non rafforzamento) della crescita italiana che procede sin dal primo trimestre 2015. Immaginare con l’attuale scenario internazionale un Pil reale in crescita dell’1,4 per cento nel 2016 con un deflatore e cioè una componente nominale almeno dell’1 per cento aggiuntiva: cosa che, con gli andamenti attuali della deflazione europea, appare una scommessa più che azzardata. Dopodiché, pretendere di sapere come sarà fatta la manovra vera a fine anno, è del tutto impossibile. Si giudicherà all’ultimo momento, e a seconda del coma europeo. Di fatto, però, peggio le cose andranno per l’Europa, più alto sarà lo spread e il costo del debito italiano. Ergo, se il governo punta davvero su questo scenario contando di guadagnare più spazio di manovra anche elettorale per le prossime politiche, avrebbe dovuto essere più rigoroso e non più lasco nelle sue previsioni: sia di crescita, sia di deficit da abbassare. Se l’Europa accelera la sua crisi, cosa del tutto possibile, nel breve per noi andrà peggio, non meglio.