Maurizio Tortorella, Tempi 14/4/2016, 14 aprile 2016
L’INDAGINE SUL PETROLIO LUCANO E QUEL POZZO DI AMBIGUITÀ CHE È IL “TRAFFICO D’INFLUENZE”
L’inchiesta della Procura di Potenza sulle presunte malversazioni nella gestione degli impianti petroliferi lucani, quella che ha squassato il governo Renzi e indotto alle dimissioni il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, gira quasi tutta intorno al “traffico d’influenze illecite”: un reato nuovo. Varato dal governo Monti, entrato in vigore alla fine del 2012, il nuovo articolo 346 bis del Codice penale prevede una pena da uno a tre anni di reclusione per chiunque, «sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio», ottiene denaro o promesse, o altri vantaggi come «prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale». In parole povere, sei un “trafficante d’influenze” se brighi per un appalto o per un affare con un assessore, un sindaco, e su su fino a un ministro.
Ma non è tutto così semplice. Non sempre tutto è o nero o bianco. Al contrario, il traffico d’influenze è un reato molto complicato, attiene tipicamente a quel mondo in grigio che è il lavorio delle lobby, in tutti i Paesi occidentali pienamente legittimate a contattare e convincere legislatori e governanti della bontà delle loro tesi e di certi interessi in gioco. Non tutto è corruzione o concussione, insomma. Per di più, essendo recente la sua introduzione, non esistono ancora precedenti penali per il traffico d’influenze: la Corte di cassazione non ha mai analizzato casi specifici di questo reato, così non l’ha mai discusso, studiato, metabolizzato. Come dicono i tecnici, non esiste giurisprudenza. Per questo, le possibilità di interpretazioni difformi, tra pubblici ministeri e giudici (e tra giudici e giudici di diversi gradi processuali), sono estremamente elevate.
Insomma, il processo lucano non sarà facile come lasciano intendere i primi colpi che si sono letti sui quotidiani. Una visione pessimistica? Non sono soltanto io a dirlo. Carlo Nordio, oggi procuratore aggiunto di Venezia, magistrato di lungo corso e di grande esperienza, ma soprattutto uomo estremamente ragionevole ed equilibrato, ha scritto che il traffico d’influenze è «di difficile definizione e di ancor più laboriosa applicazione».
«Non esistono innocenti»
La norma, va ricordato, nacque per input sovranazionale: alcune convenzioni a livello europeo indussero all’impresa il governo di Mario Monti. L’operazione fu decisamente sponsorizzata dall’Associazione nazionale magistrati, al suo interno spinta da quella parte di toghe meno incline alla riflessione, e da sempre convinta che «non esistono innocenti, ma soltanto colpevoli ancora da scoprire».
Alla fine, la riforma del Codice venne approvata con il voto compatto del Partito democratico e del Movimento 5 stelle. Fu votata in parte anche da Forza Italia, sia pure tra mille defezioni. Al Senato Filippo Berselli, che era presidente della commissione Giustizia, correttamente avvisò: «Prima dovremmo disciplinare l’attività lobbistica, altrimenti rischieremo di metterla di fatto fuori legge». Non fu ascoltato. Pochi in aula, alla Camera dei deputati, si dissociarono. Fabrizio Cicchitto, sensatamente, disse: «Diamo un eccessivo potere discrezionale ai pubblici ministeri». Una voce nel deserto. Ora siamo al primo redde rationem. Ma non è difficile prevedere che anche il traffico d’influenze, come altri reati (e come alcuni rafforzamenti di pena) introdotti sull’onda del populismo giudiziario, produrrà più guai che risultati.