13 aprile 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - STORIA DEL FONDO ATLANTE
REPUBBLICA.IT
MILANO - Le banche, reduci dalle vendite di martedì, guidano il rimbalzo di Piazza Affari, ieri unica borsa negativa del Vecchio Continente (-1,57%): il piano di sostegno al sistema del credito, attraverso il Fondo Atlante, lascia aperti molti interrogativi, ma in un’intervista a Repubblica il direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, spiega che "l’iniziativa darà sicurezza al sistema ed escluderà l’effetto domino". Gli acquisti piovono copiosi sul listino milanese, che chiude in rialzo del 4,13%: molti titoli del settore finanziario vengono sospesi per eccesso di rialzo e l’indice di categoria arriva a salire dell’8,5%.
Bene anche tutti gli altri listini del Vecchio continente: Londra sale dell’1,93%, Francoforte del 2,71% e Parigi del 3,32%. Positiva Wall Street alla chiusura delle borse europee con l’indice Dow Jones che sale dello 0,9%, lo S&P500 dello 0,6%, mentre il Nasdaq avanza dell’1,3%. L’euro chiude vicino ai minimi di seduta, scendendo sotto quota 1,13 a 1,1287 dollari, dopo aver oscillato tra un massimo di 1,1392 e un minimo di 1,1272 dollari. In calo anche l’euro/yen a 123,33. Il dollaro/yen si rafforza a 109,25. Lo spread è in calo a quota 117 punti base con i Btp decennali che rendono l’1,3%. Nel frattempo il Tesoro ha collocato tutti gli 8,25 miliardi di euro di Btp a 3,7,15 e 30 anni. Il rendimento medio del triennale è salito a 0,05% dal minimo storico di -0,05% toccato nell’asta di marzo; quello del 7 anni a 0,82% da 0,79%. In calo invece il tasso sul 15 anni a 1,71% da 1,84% del collocamento di marzo e quello del 30 anni a 1,43% dal 2,71% dell’asta di novembre.
A sostenere le quotazioni, già dalla prima mattina, era stato il segnale positivo mostrato dall’economia cinese, unito al ritorno del petrolio che torna sui massimi da novembre - prima di ripiegare al ribasso -. Il Fmi, invece, ha messo in guardia da Brexit e nazionalismi, ma rassicurato sulla ripresa economica: per quanto debole e frastagliata proseguirà. Nel 2017, l’unica grande economia in recessione potrebbe essere il Giappone. I mercati tirano quindi un sospiro di sollievo e guardano con maggior fiducia alle prossime settimane.
Sul fronte macroeconomico l’export cinese ha segnato a marzo un rialzo annuo dell’11,5%, il primo in nove mesi, a 160,8 miliardi di dollari, mentre l’import registra un calo del 13,8%, a 131 miliardi. Nei primi tre mesi dell’anno, però, il totale delle esportazioni e delle importazioni ha avuto una frenata dell’11,3%. Si tratta di un trend che potrebbe segnalare una stabilizzazione o forse una ripresa della seconda economia al mondo, impegnata nella difficile fase di transizione da export e manifatturiero verso servizi e consumi.
In questo momento, tuttavia, l’interesse degli investitori è soprattutto rivolto alle quotazioni del petrolio nella speranza di un’intesa sul congelamento della produzione: il focus è tutto sull’incontro di domenica prossima a Doha (Qatar) tra paesi membri e non dell’Opec. La Russia resta ottimista, nonostante i disaccordi tra l’Arabia Saudita e l’Iran, mentre il cartello ha rilasciato un nuovo report nel quale sottolinea come l’offerta mondiale resti sovrabbondante.
Nel frattempo le scorte di petrolio negli Usa sono cresciute di 6,634 milioni di unità a 536,531 milioni, mentre gli analisti attendevano un rialzo di 1,8 milioni di barili, dopo il calo di 4,937 milioni di unità precedente. L’utilizzo della capacità degli impianti si è attestato all’89,2%, meno del 91,4% del dato precedente e meno anche del 91,3% atteso dagli analisti. I contratti sul greggio Wti con scadenza a maggio scendono a 41,77 dollari al barile (42,17 dollari ieri sera a New York); il Brent scende a 44,4 dollari.
Quanto ai dati macroeconomici, a marzo, i prezzi alla produzione Usa sono scesi dello 0,1%, sotto le attese, così come hanno deluso gli analisti i dati sulle vendite al dettaglio, che pure sono salite dello 0,3% mensile. A Washington proseguono gli spring meetings del Fmi e della Banca Mondiale. Tra i dati macroeconomici più attesi, invece, c’è l’inflazione che in Francia conferma una crescita pari allo 0,7% a marzo, a fronte di una contrazione dello 0,1% su base annua. A febbraio, nell’Eurozona, la produzione industriale è calata dello 0,8% rispetto a gennaio, mentre nella Ue è calata dello 0,7%. Il confronto sul 2015 è invece positivo per lo 0,8%.
In mattinata, la Borsa di Tokyo ha terminato gli scambi con un rialzo sostenuto del 2,84%: il Nikkei guadagna 452 punti assestandosi a quota 16.381,22, il massimo livello in due settimane. Nel frattempo la valuta nipponica arresta la fase di rafforzamento sul dollaro, scambiando a quota 108,59. Tra le materie prime, le quotazioni dell’oro sono in ribasso dello 0,3%: il lingotto con consegna immediata passa di mano a 1.252,5 dollari l’oncia.
INTERVISTA A SALVATORE ROSSI DI BANKITALIA
ROMA - Dopo mesi difficilissimi per gli istituti di credito, la Banca d’Italia è al centro di forti critiche per non aver vigilato abbastanza su quello che succedeva nelle banche. In un’intervista a
Repubblica, Salvatore Rossi, direttore generale di Bankitalia, difende l’istituto ma ammette ci siano stati errori di comunicazione. Rossi parla anche di Atlante, il fondo chiamato a rafforzare il settore.
Rossi, come crede che Atlante possa mettere in sicurezza il sistema bancario?
"Non sta a me spiegare i dettagli, visto che si tratta di un’iniziativa privata. Da quel che è stato reso noto ieri, sappiamo che l’operazione intende essere redditizia e al tempo stesso contribuire a risolvere i problemi del sistema bancario italiano, andando a investire nel capitale di alcune banche e in eventuali cartolarizzazioni di crediti deteriorati. È importante mettere in sicurezza gli aumenti di capitale della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, ma è ancora più importante sgravare i bilanci bancari dei crediti deteriorati a un prezzo equo, che tenga anche conto delle ampie svalutazioni già effettuate dagli istituti che li vendono".
Da regolatore, non teme che il fondo Atlante possa invece accentuare il rischio sistemico?
"No, il contrario. Si vuole evitare che le difficoltà crescenti di una banca di dimensioni non irrilevanti possano generare timori di un "effetto domino". Gli investitori esteri sono importanti, detengono quote significative anche di titoli bancari, ma le quotazioni bancarie europee hanno subito delle oscillazioni paurose negli ultimi mesi, il che testimonia la loro incertezza".
Negli ultimi anni la Bce ha richiesto degli aumenti di capitale cospicui a diverse banche italiane. Non è la prova che la vigilanza della Banca d’Italia è stata troppo accomodante?
"C’è continuità sulla vigilanza delle banche italiane fra quando la Banca d’Italia agiva da sola e ora che agisce con la Bce nello schema del meccanismo di supervisione unico. Alcune situazioni sono peggiorate col tempo, richiedendo interventi più incisivi".
Alcuni banchieri credono che le richieste di aumenti di capitale fatti dalla Bce siano eccessive. È d’accordo?
"Gli aumenti di capitale richiesti alle banche italiane sono appropriati. Il supervisore unico sta funzionando: non credo ci siano pregiudizi di natura geopolitica, al massimo diversità di concezione della vigilanza su cui a Francoforte si sta trovando una sintesi. Altra cosa è la risoluzione delle crisi bancarie, un capitolo ancora aperto".
Il governatore Ignazio Visco ha chiesto all’Ue di rivedere le norme sul bail in. Perché non le avete bloccate prima della loro approvazione?
"Credo che il sistema finanziario europeo sia più esposto al rischio di instabilità sistemica con il bail in. Noi avevamo sollevato obiezioni, per quanto riguarda la necessità di una transizione lunga e la non retroattività di queste norme, ma queste non hanno trovato ascolto in sede tecnica".
La Banca d’Italia è stata molto criticata per il suo operato.Non pensate di aver commesso errori? Perché non avviate un’indagine interna?
"Le critiche sono utili perché servono a ripercorrere le cose fatte. Stiamo ripensando a quello che abbiamo fatto, ma crediamo di aver fatto tutto quello era nei nostri poteri, che sono limitati, come è giusto che sia visto che siamo dei regolatori e agiamo nell’ambito della legge".
Il bail in ha colto molti investitori di sorpresa. Non crede avreste dovuto comunicare meglio il suo arrivo?
"Qui si poteva fare meglio, ed è una responsabilità che riguarda tutte le istituzioni, incluse quelle politiche. Nella nostra storia di Banca d’Italia, la riservatezza totale era un valore fondante, come per il resto delle banche centrali. Poi il mondo è cambiato, siamo entrati in una fase di trasparenza e comunicazione più organizzata. Venendo però da un mondo di quel tipo ed essendo ancora vincolati al segreto d’ufficio e istruttorio a volte incontriamo difficoltà. La comunicazione per chi fa il banchiere centrale è sempre difficoltosa. Stiamo imparando".
Anche quest’anno il governo si prepara a attuare politiche fiscali più espansive del previsto. Non la preoccupano gli effetti sul debito?
"L’economia italiana viene da una lunga recessione. Da un anno siamo in ripresa, ma oggi c’è un rallentamento dell’economia globale e una persistente scarsità di fiducia da parte degli imprenditori, che frena gli investimenti. Poiché c’è un difetto di domanda, è giusto usare tutta la flessibilità consentita, sempre nel rispetto delle regole".
Cosa pensa della riforma della contrattazione di cui si sta occupando il governo?
"Da molti anni le nostre analisi suggeriscono che l’asse della contrattazione deve essere spostato maggiormente a livello aziendale. È lì che si misura la produttività del lavoro, ed è lì che bisogna prevalentemente misurare i salari. Il Jobs Act è la riforma che ha avuto più successo tra gli investitori stranieri, va completata con questo aspetto".
Il governo avrebbe dovuto fare di più per la concorrenza?
"Il disegno di legge sulla concorrenza è un
cantiere ancora indietro, il processo legislativo ha incontrato lentezze e resistenze di interessi specifici. Si tratta di uno stress test della capacità di fare l’interesse della collettività anche quando si colpiscono gli interessi dei singoli"
Fitch: il fondo Atlante rischia di indebolire le grandi banche
13 aprile 2016
In questo articolo
Argomenti: Cdp | Intesa Sanpaolo | Ubi Banca | Banca Popolare di Vicenza | Unicredit | Fitch | Rating
My24
ascolta questa pagina
Le grandi banche italiane sono esposte a considerevoli rischi, in quanto vengono continuamente chiamate a dare sostegno agli sforzi del Governo per supportare gli istituti più deboli e mantenere la stabilità finanziaria. Questo il giudizio di Fitch sulla scia dell’annuncio del fondo Atlante. Intesa Sanpaolo, Unicredit e altre banche medio-grandi «sono state incoraggiate dal Governo ad intervenire nel finanziamento del nuovo fondo di salvataggio», scrivono gli analisti della società di rating. Una volta che il fondo sarà in funzione probabilmente rileverà una parte dell’impegno di Unicredit sull’aumento di capitale della Popolare di Vicenza. Questa «è una buona notizia per Unicredit», ma trascinerà Intesa Sanpaolo e altre banche nel finanziare un investimento che sarebbe normalmente fuori dai loro parametri di rischio.
Ricordando anche l’intervento a ottobre nella “resolution” delle quattro banche regionali, Fitch ritiene che «il profilo finanziario delle grandi banche si indebolirà e i rating potrebbero finire sotto pressione se saranno continuamente chiamate a dare un sostegno di emergenza al settore bancario». La costituzione di Atlante, inoltre, potrebbe presentare rischi di esecuzione. Potrebbe essere necessario il via libera della Commissione Ue e la proposta che la Cdp partecipi al fondo potrebbe finire sotto esame come aiuto di stato.
Nel tratteggiare i potenziali rischi a cui sono esposte le grandi banche italiane chiamate sempre più spesso a soccorrere gli istituti in difficoltà, Fitch rileva che Intesa Sanpaolo e Unicredit inietteranno 1 miliardo di euro ciascuno in Atlante e che tutte le banche italiane - ad eccezione di quelle con problemi di capitale o pressioni sulla liquidità - vi parteciperanno, così come le compagnie di assicurazione, le fondazioni bancarie e le società di asset management.
Le richieste fatte a Intesa, Unicredit e Ubi sono andate crescendo negli ultimi mesi, sottolinea l’agenzia, ricordando che i contributi dati alla risoluzione delle quattro banche a ottobre hanno totalizzato 900 milioni di euro circa. Questo costa a Intesa e a Unicredit circa il 10-11% dell’utile ante-imposte 2015 e per Ubi arriva al 30 per cento. Le banche hanno inoltre aumentato le linee di liquidità al fondo di risoluzione e dovranno fornire almeno 100 milioni di euro di indennizzi ai detentori di bond subordinati che hanno subito perdite in occasione della risoluzione. Intesa, UniCredit e Ubi Banca - ricorda Fitch - hanno tutte e tre un rating della gamma “BBB” che indica una buona qualità dei fondamentali del credito, buone prospettive per l’attività e un moderato grado di forza finanziaria. Tuttavia, l’agenzia ha rivisto in negativo lo scorso 24 marzo, l’outlook di Unicredit e Ubi, per prendere in considerazione le debolezze nella qualità dell’attivo e le pressioni sul capitale, in particolare in considerazione degli alti livelli di crediti deteriorati senza copertura. In minor misura ci sono rischi anche per Intesa Sanpaolo, che ha un outlook stabile, ma con un potenziale di upside limitato. I rating delle tre banche - scrive Fitch - potrebbero essere abbassati se non accelerano le misure per smaltire la massa di Npl e il capitale resta molto esposto agli Npl non coperti a riserve. (Il Sole 24 Ore Radiocor Plus)