Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  aprile 13 Mercoledì calendario

L’IDEATORE SCIENTIFICO DEL GRANDE MUSEO DEL FALSO E DELL’INGANNO CI DICE CHE : "IN PRINCIPIO FU LA CAZZATA"


Sono onorato di essere stato interpellato in qualità di Ideatore scientifico del grande Museo del falso e dell’inganno, il Falseum, inaugurato a settembre a Verrone, negli operosi dintorni di Biella, in un vecchio castello abbandonato nei pressi dell’ex mobilificio Aiazzone. Museo straordinario perché senza pezzi da museo (le false teste di Modigliani fatte con il Black & Decker sono scomparse dopo un mese), espone ologrammi, effetti ottici ed ectoplasmi per raccontare la grande storia della bugia umana. E non scherzo. Se perciò mi si chiede un intervento scientifico, inizierei dalle cazzate. Dal termine, proprio, dal vulnus lessicale: un piccolo equivoco da risolvere. “Cazzate”, ovvero, in italiano, “bugie, bufale, imposture”. Ma anche “cose ininfluenti, di poco conto, trascurabili”. “Una cazzotta!”, dunque: “Non è vero!” E dunque (il linguaggio, come parla di noi!): “Forza, non dargli troppo peso”. Ecco. Il sinonimo spontaneo, l’idea confortante che la bugia, in fondo, non conti. Sono convinto che, a livello antropologico, questa cazzata (falsità) ha contribuito a plasmare le idee e a renderci tutti cazzari e cazzoni. “Cazzari”, ossia facili a raccontare bugie, e “cazzoni”, sempliciotti, pronti a cadere nelle truffe altrui. Se dunque un’opera scientifica va fatta, è proprio quella di spiegare che le bugie contano, eccome. Le bugie pesano, sono legate alla realtà. E di più, forse: la realtà la plasmano, e tutti noi, tutti, della cazzata siamo figli. Legittimi.
Non è una realtà di cui essere tristi. L’uomo è animale e, come ogni altro animale, inganna un po’ per sopravvivere. Un fatto. Le truffe e le bufale lo hanno aiutato a dire la prima parola: “Io!”, e quindi la seconda: “Tu!”. Io: con le bufale l’uomo ha inventato le proprie identità, tradizioni e nazioni. Il kilt scozzese, Braveheart in gonnella? Chiedetelo ai celti medioevali che popolavano le Highlands, che diamine fosse una cornamusa! Loro suonavano le arpe. Vestivano tutti in pantaloni. Ma quando, a fine Settecento, qualcuno pensò che fosse bene differenziarsi dagli odiati inglesi, uno scrittore (è sempre colpa degli scrittori), Walter Scott, entrò in combutta con una fabbrica tessile a cui avanzavano delle stoffe a scacchi, e disse che i nobili scozzesi avevano sempre indossato il kilt. Creare un popolo, e cioè: differenziarsi dal vicino, e inventare tradizioni (non credo che il nonno di Calderoli si fosse sposato con rito celtico; o no?). Subito dopo, inventare anche il “tu”, ossia l’immagine dell’altro. Che può essere buono e favoloso: durante tutto il medioevo, l’idea dell’Oriente fu affidata alla Lettera del Prete Gianni, ossia a un mitomane che si era preso la briga di spedire messaggi a tutti i potenti d’Europa (il papa, l’imperatore di Bisanzio...) per giurare che in India c’erano giganti, centauri, e uomini con un piede solo che usavano come un ombrellone. Imprese, viaggi e spedizioni, per ricercare il dannatissimo Prete; Colombo sbagliava tutti i calcoli, ma intanto sperava di trovarlo nelle Indie. Oppure può farsi minaccioso: no, l’invenzione del Nemico non fu priorità dell’amministrazione Bush con le sue armi di distruzione di massa o la fialetta con l’antrace (???) che Colin Powell agitò all’ONU. Semplicemente, nella Storia, non c’è MAI stata una nazione pronta ad ammettere a un’altra: “Va bene, ti attacco perché ti voglio conquistare! OK?” No. Sono gli altri a farci torto. Sono gli altri, anche quando non lo sanno, a volerci fare male: la nostra è soltanto una difesa! Napoleone voleva la Russia. Ma come, se solo un mese prima l’aveva chiamata “Nazione sorella”? Spuntò un documento, naturalmente top-secret, il Testamento di Pietro il Grande, con cui si provava che lo zar avrebbe ben presto attaccato Parigi. E perciò? Guerra preventiva. Voilà.
Le bufale fanno il nostro mondo. E i falsi, le cose inesistenti, hanno il potere straordinario di generare verità, di muovere eserciti, di cambiare la Storia. Perché le bugie hanno gambe lunghissime. La donazione di Costantino non è mica avvenuta. D’accordo. Ma ci ha donato mille anni di potere temporale. I Vangeli non parlano della stella cometa, né del bue e l’asinelio, né dei “tre re” che visitarono il bambino (però Federico Barbarossa trovò tre corpi mummificati a Milano e disse che erano i Re Magi per farsi bello con il papa: salvate quei tre milanesi che da mille anni riposano nella cattedrale di Colonia col nome Gaspare, Melchiorre e Baldassarre!). Truffe. Ma come condannarle? Sono la nostra tradizione.
Dunque: il problema è la cazzata in sé? L’uomo, comunque, sarà sempre un cazzaro, perché la realtà, purtroppo, non basta. E non è un male la cazzata a prescindere: il falso ha prodotto genocidi (i Protocolli dei Savi di Sion), ma anche romanzi e tradizioni innocenti. Il falso ha prodotto guerre immani, e opere d’arte, e scoperte scientifiche. Quindi? Il problema è un po’ più semplice: truffare e imbrogliare, però farlo sapendo che le bugie contano, influenzano, e infine diventano realtà. Truffare, imbrogliare, sì, ossia sognare. Ma farlo “responsabilmente”, sapendo cioè che la cazzata produce sempre nuovi mondi, e che quei mondi saranno reali. Truffare e sognare, come atto creativo. Il sogno è tutto, fuorché un’illusione.