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 2016  aprile 13 Mercoledì calendario

LA SANTA ALLEANZA


Una delle filastrocche della nostra infanzia bollava il mese di marzo come ‘pazzerello’. Il riferimento era soavemente meteorologico, per quel mutare repentino di temperature che spazientisce anche i più santi tra di noi. Mercoledì 2 marzo, i termografi del sistema editoriale hanno in effetti registrato picchi di irrequietezza come non succedeva da tempo. Quando si era diffusa la notizia che il Gruppo L’Espresso e l’Itedi avevano siglato “un memorandum d’intesa finalizzato alla creazione del gruppo leader editoriale italiano nonché uno dei principali gruppi europei nel settore dell’informazione quotidiana e digitale” molti, leggendo il solenne comunicato congiunto, erano saltati sulla sedia. Alcuni ammirati, altri incupiti, per non dire furibondi. Il motivo di tanta ansia e di così opposte reazioni attiene a quel bene immateriale che per una società autenticamente democratica risiede nella libertà di informazione che, secondo i criteri classici di giudizio, viene seriamente messa a rischio dalle concentrazioni editoriali.
Criteri che però dimenticano – o almeno tengono in non cale – che nel sistema contemporaneo i rischi per l’editoria vengono dal progressivo quanto inarrestabile salasso del settore per l’emorragia delle copie vendute e il prosciugamento delle fonti pubblicitarie, mentre dilagano le pratiche del branded content e del native advertising, eleganti formule inglesi che nascondono messaggi pubblicitari spacciati come contenuti e a volte prodotti direttamente dalle aziende che sempre più spesso usano la leva dei budget pubblicitari per maramaldeggiare giornali e giornalisti. Per non parlare poi del confronto sempre più squilibrato della stampa anche nelle sue versioni online con i potentati tecnologici – Google, Facebook e i vari altri social network – a cui, come se non bastasse, si aggiungono le telco, che hanno deciso di fare dei contenuti un punto di sviluppo del proprio business.
Quando l’unione fa davvero la forza – Questo scenario a dir poco tormentoso in cui si dibatte il mondo dell’informazione tradizionale ha fatto decidere due imprenditori come Rodolfo De Benedetti e John Elkann, a cui si è affiancato con convinzione Carlo Perrone, a unire le forze secondo criteri di convenienze industriali e di una managerialità editoriale ripulita da residui romantici novecenteschi, per agire secondo il vetusto ma pur sempre valido principio che ‘l’unione fa la forza’ e che la concorrenza tra editori è sostenibile fin tanto che quelli se la possono permettere.
L’elemento qualificante che appare immediatamente parlando con i protagonisti di questa vicenda, una vera rivoluzione per gli statici equilibri del sistema italico dell’informazione su carta stampata e web, è come Monica Mondardini e Rodolfo De Benedetti sul fronte dell’Espresso, e John Elkann e Carlo Perrone su quello dell’Itedi, parlino la stessa lingua, del tutto consapevoli della delicatezza dell’operazione intrapresa, nient’affatto disposti a fare carne di porco dei loro giornali, e pronti a individuare ogni percorso che permetta di ottimizzare la gestione e portare vantaggi per i bilanci aziendali, al di là di logiche strettamente politiche.
Rodolfo De Benedetti, presidente della Cir che controlla il 53,581% del gruppo romano, quota che dopo la fusione calerà al 43% della nuova società, reagisce infastidito alle elucubrazioni di chi sostiene che tutta la partita sarebbe stata organizzata sotto le insegne del renzismo. Un tormentone che affligge il gruppo qualsiasi decisione venga presa. I vertici di Cir per predisposizione personale e per scelte di bottega cercano di stare alla larga da qualsiasi coinvolgimento politico. E se il premier è stato informato dell’operazione Itedi, è successo poco prima che partissero i comunicati ufficiali. De Benedetti coglie questa importante decisione strategica in campo editoriale per smentire l’immagine che gli è stata cucita addosso: uomo che vive con sopportazione il ruolo di azionista di una casa editrice perché poco interessato al mondo dei giornali. Spiega invece che per il mestiere che fa, “responsabile della gestione dei soldi di altri”, non può “ragionare per passioni o per amori”, ma deve “considerare le attività per quello che valgono in termini di utili o di perdite per i nostri azionisti. E per quel che riguarda il Gruppo L’Espresso – grazie all’ottimo lavoro fatto da Monica Mondardini e dai suoi collaboratori – è un’azienda ben gestita che dà buoni risultati e di cui mi considero altamente soddisfatto. La decisione di integrare il Gruppo L’Espresso e l’Itedi, che implica un coinvolgimento nel tempo della Cir, dei suoi manager, mio personale e della mia famiglia, dimostra che il business editoriale è centrale nei nostri affari e nei nostri pensieri”, ribadisce De Benedetti, che – gesto insolito per lui – ha accettato di uscire allo scoperto per spiegare il valore di questa “importante operazione” a fianco di Monica Mondardini, l’amministratore delegato dell’Espresso e di Cir, considerata la vera playmaker della partita.
È merito infatti della signora dell’editoria italiana aver colto al volo l’affare. Lo confida lo stesso De Benedetti raccontando di una telefonata novembrina in cui Mondardini lo “informava di aver sentito voci circa la decisione di Fca di vendere Itedi”, proponendo di sondare la situazione con l’ingegner Luigi Vanetti, l’ad della casa editrice, che peraltro aveva conosciuto anni prima ai tempi del negoziato della concessione pubblicitaria della Stampa alla Manzoni. De Benedetti si dice d’accordo e Mondardini comincia a darsi da fare. Si delinea così, e per di più senza costosi intermediari, o advisor che dir si voglia, un accordo che porterà sotto lo stesso tetto due quotidiani nazionali del peso di Repubblica e della Stampa e i loro potenti siti Internet, una vasta copertura di quotidiani locali nella versione cartacea e online (diciannove della Finegil, più le sette edizioni locali del Decimonono e le undici della Stampa), per non parlare dei periodici, delle radio e dei portali verticali.

Elkann, l’erede di un amore – “È stato tutto molto i semplice”, conferma John Elkann, assai compiaciuto di come siano andate le cose. “Abbiamo iniziato a trattare dopo le feste di Natale e ai primi di marzo firmavamo il memorandum di intesa che dopo la due diligence dovrà diventare l’accordo per la fusione stabilita, come noto, sulle basi di un concambio”. La decisione di Fiat Chrysler Automobiles di cedere le partecipazioni editoriali (Itedi e Rcs MediaGroup), perché erano diventate un’anomalia per un gruppo automobilistico di diritto olandese e quotato alla Borsa di New York e di Milano, era da tempo nei propositi di Sergio Marchionne. L’amministratore delegato di Fca aveva annunciato in lungo e in largo, senza però essere molto creduto, di voler “concentrare le proprie attività nel settore automobilistico e di distribuire ai propri soci tutte le partecipazioni detenute nel settore editoriale”, a partire da quelle in Rcs MediaGroup, per poi procedere con la fusione di Itedi con il Gruppo Editoriale L’Espresso.
A vedere come si è svolto il copione viene da pensare che il progetto di impacchettare al meglio La Stampa per poi trovarle una degna sistemazione fosse da tempo nei pensieri di John Elkann, che ama quel giornale più di quanto non si creda. E che la prima operazione di fusione, quella con Il Secolo XIX, sia stata un tassello fondamentale di questo progetto. Un passo per rendere appetibile l’affare, sia dal punto di vista dell’offerta editoriale (due quotidiani perfettamente compatibili che coprono due regioni limitrofe), sia per i dati economici che già il primo anno, il 2015, vantano un bilancio in leggero ma significativo attivo.
Anche gli investimenti degli anni passati di Fiat firmati Elkann in Rcs MediaGroup – 80 milioni per arrivare al 20% del capitale, poi diluito al 16,7% – acquisiscono più senso se visti come finalizzati a un’integrazione tra il gruppo milanese e l’Editrice La Stampa. John Elkann nega di aver mai preso in considerazione questo progetto, che non sarebbe invece dispiaciuto a Carlo Perrone – ex editore del Secolo XIX e socio di minoranza in Itedi con il 23% attraverso Ital Press Holding – che, con il concambio, diventerà socio al 5% dell’Espresso. Del matrimonio fallito tra Torino e Milano resta solo come business tangibile l’affidamento della gestione della pubblicità nazionale delle testate Itedi, cartacee e web, a Rcs MediaGroup Pubblicità, un contratto che andrà a esaurirsi dopo il perfezionamento della fusione previsto per il primo trimestre del 2017 o magari anche prima, qualora le clausole contrattuali lo consentano. La raccolta della pubblicità in comune è infatti un naturale terreno di collaborazione da sviluppare dopo aver verificato di non incorrere nelle maglie dei regolamenti dell’Antitrust e dell’Agcom.

Rcs addio – Sono passati quasi quattro anni (era il maggio 2012) da quando John Elkann in un’intervista proprio a Prima raccontava i suoi progetti per rilanciare Rcs malgrado le ingiurie di soci come Diego Della Valle o le barriere invisibili quanto invalicabili costruite da qualcun altro. Adesso è tutto finito ed Elkann ha deciso di liberarsi anche del 4,9% di azioni Rcs, quota che arriverà a Exor dalla distribuzione delle azioni di Fca, che poi verranno conferite non ai singoli azionisti, ma in modo frazionato, gestendo l’abbandono con un rapporto di grande cortesia nei confronti dei vertici Rizzoli, convinto che “rispetto al passato il gruppo mostra una maggiore stabilità economica e finanziaria. E che grazie all’autonomia decisionale e a una maggiore assunzione di responsabilità di cui adesso gode, il consiglio di amministrazione può essere in grado di fare il meglio per la casa editrice”.
Il presidente di Fca ha intanto operato una netta scelta di campo rafforzando il loro concorrente più pericoloso, trovando un partner “con cui lavorare con una buona intesa”. Nei progetti di Elkann, checché ne dicano i poco informati, l’editoria continuerà a occupare gli spazi a cui lo spinge la passione che ha ereditato da suo nonno e da suo padre per il mondo dei media. E non pare proprio che voglia accontentarsi della partecipazione come principale azionista, con il 43,4% di Exor, del gruppo The Economist, di far parte del consiglio di amministrazione di News Corp e della postazione nel Cda dell’Espresso con il 5% che spetta alla finanziaria di famiglia, frutto della valorizzazione nel concambio delle azioni Itedi ridistribuite da Fca ai suoi soci. A sentirlo ragionare nel suo ufficio torinese, nella storica palazzina del Lingotto, sono molti i progetti che ha in mente per lo sviluppo del nuovo gruppo. L’obiettivo è quello di “costruire una media company con ambizioni europee”, spiega Elkann, “mettendo insieme le piattaforme tecnologiche digitali e avendo una sufficiente massa critica per essere abbastanza forti da non soccombere davanti alla potenza innovativa e tecnologica dei grandi gruppi come Google, Facebook, Amazon e Apple, ormai i veri dominatori della scena mediatica e con cui gli editori devono trovare forme di collaborazione. Per questo è necessario che gli editori si coalizzino per disporre di energie e risorse sufficienti a rivendicare un proprio ruolo”.
Stesso pensiero condiviso da Rodolfo De Benedetti e da Monica Mondardini che, dopo le molte riorganizzazioni mirate a rendere più efficiente e sana la struttura del Gruppo L’Espresso (che ha chiuso il 2015 con un utile netto di 17 milioni di euro, in crescita rispetto agli 8,5 milioni dell’anno precedente; con 605 milioni di ricavi, il margine operativo lordo di 47,5 milioni e il risultato operativo a 30,5 milioni, rispetto ai 29,9 milioni del 2014), puntano a individuare nuove strategie e fronti di sviluppo per non vedere diminuire i ricavi e tenere i livelli di utili a cui hanno abituato i propri azionisti. “Se un editore accetta di perdere soldi su un giornale vuol dire che trova dei dividendi altrove”, dice De Benedetti. “Io preferisco che i nostri lettori sappiano che facciamo questo mestiere per chiare ragioni economiche. Si tratta di un elemento di trasparenza e di effettiva libertà per chi fa informazione”.
Mondardini studia il piano industriale – Nel merito delle cose da fare Mondardini non vuole e non può entrare nei dettagli prima di predisporre un piano industriale che tenga conto di tutti gli asset vecchi e nuovi del gruppo. Piano su cui incomincerà a lavorare con il cambiamento dei manager Itedi, l’ad Luigi Vanetti e il direttore generale Maurizio Scanavino (entrambi alla seconda fusione dopo quella Stampa-Secolo XIX), dopo la chiusura del contratto che renderà effettivo l’accordo societario, per poi iniziare la lunga trafila che culminerà nella fusione vera e propria. Tragitto tutt’altro che banale che dovrà partire dalle verifiche obbligatorie dell’Antitrust e dell’Agcom.
Tra i temi principali su cui si eserciteranno i manager, ci saranno le operazioni legate al consolidamento, valutando tutti gli aspetti inerenti produzione, tipografie, amministrazione, distribuzione e pubblicità. Se Elkann parla di “muoversi secondo le regole del buon senso”, Monica Mondardini è molto cauta in tema di sinergie editoriali dicendo: “verranno preservati identità, autonomia e ‘superficie giornalistica’ delle testate mentre saranno condivise competenze ed esperienze di successo. E nel digitale”, sottolinea la manager, “accanto alla leadership già acquisita sul nazionale, il nuovo gruppo lavorerà a formule di sviluppo dell’informazione locale Online”.
Per quanto riguarda i giornali, che sono sempre la principale fonte dei ricavi del gruppo, “La Stampa e La Repubblica manterranno ciascuno il proprio ruolo informativo”, ribadisce Mondardini, non poco infastidita da tutte le chiacchiere sul rischio che il quotidiano dell’Itedi si riduca a una dimensione regionale per lasciare il ruolo di regina dell’informazione nazionale a Repubblica. Su questo tema anche De Benedetti parla in modo inequivoco: “La fusione con Itedi è stata concepita per creare valore, non per distruggerlo. La Stampa è il terzo quotidiano nazionale e questo per noi è un capitale da difendere. Non so come ripeterlo, ma noi siamo persuasi che ogni realtà informativa vada salvaguardata per quello che rappresenta”.
Alessandra Ravetta