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 2016  aprile 09 Sabato calendario

SUITE PER PIANO E PUGNI IN RICORDO DI BATTLING SIKI

Nell’autunno del 1922, sugli Champs-Elysées si poteva incontrare un personaggio insolito. Fisico scolpito, pelle scura, smoking bianco impeccabile e papillon. Passeggiava con un leone al guinzaglio, fermandosi ogni tanto in qualche caffè per offrire da bere a tutti o per ordinare una tartare per il suo animale da compagnia. Si chiamava Mbarick Fall, ma tutti lo conoscevano come Battling Siki, il primo pugile africano capace di conquistare la corona di campione del mondo mandando a tappeto l’idolo locale Georges Carpentier. La sua storia era sulla bocca di tutti, faceva storcere il naso all’alta borghesia bianca e ai giornali, che lo ribattezzarono senza pietà championzé bacchettando il suo modo di battersi «uscito dalla giungla», che esaltava le classi popolari, i neri di Francia e quelli delle colonie.
Con il passare del tempo, però, il polverone si calmò, e di Siki e delle sue stravaganze rimase ben poca traccia nella memoria sportiva transalpina. Fino a un paio di anni fa, quando qualcuno, scoprendola quasi per caso, decise di riportarla sotto i riflettori. Non uno storico, un romanziere o un giornalista, ma un compositore jazz, il pugliese Mauro Gargano, che gli ha dedicato una suite “in sei round” e quattro intermezzi recitati, raccolta in un disco uscito a fine gennaio.
Il nome di Battling Siki, racconta a pagina99, lo ha sentito per la prima volta in una palestra di boxe della banlieue parigina, in cui i giovani dilettanti si mescolano ai piccoli delinquenti di quartiere, qualcuno addirittura con il braccialetto elettronico. «Mi sono stupito di non sapere chi fosse e mi sono incuriosito. Così ho cominciato a fare ricerche, e mi sono trovato davanti un personaggio sorprendente, incredibile, con una vita di cui ti chiedi com’è possibile che non abbiano mai fatto un film».
Nato in Senegal, avventurosamente sbarcato in Francia, salito a sorpresa sul tetto del mondo e poi ricacciato giù da una società ancora troppo bianca per accettare il suo successo, Battling Siki è una figura inquieta, capace di tutto nel bene e nel male, ma che non può lasciare indifferenti. Persino Orio Vergani, che in quella serata del 1922 era tra il pubblico che lo vide sconfiggere Carpentier, ne restò colpito tanto da ispirarsi a lui per il romanzo Io, povero negro, pubblicato nel 1929.
Ma come si può raccontare in musica un’esistenza tanto travagliata? «L’ho interpretata un po’ alla mia maniera», confida Gargano, «ho puntato sulle cose che mi hanno colpito dal punto di vista umano, politico e sportivo, ho cercato di farlo nel mio piccolo, in un disco di jazz che dura solo sessanta minuti. Per questo ho scelto di farne un’opera multimediale, in cui c’è musica ma anche poesia, teatro, con gli intermezzi che immaginano un dialogo tra Siki e il suo allenatore nella serata dello scontro con Carpentier, nel quale si racconta che il suo “angolo” fosse stato pagato per farlo perdere».
La Suite for Battling Siki è nata come insolito tributo a Miles Davis e al suo Jack Johnson, album dedicato al primo pugile afroamericano campione del mondo. Ma è diventata qualcosa di ben più complesso, capace di andare al di là del “rapporto di filiazione” con l’opera da cui era ispirata.
«Ho rispettato l’organico del disco di Miles», spiega ancora il musicista, «con tromba, sax contralto, chitarra elettrica, piano, batteria e contrabbasso. Però quando ho scritto la musica ho introdotto altre influenze, che hanno molto a che fare con il jazz contemporaneo. Ciascun movimento rappresenta un luogo importante per la vita di Siki e riflette il modo in cui lui l’ha vissuto. Gli intermezzi invece si ispirano al cinema, a Toro Scatenato, con i flashback che riemergono durante gli incontri».
Così, nel primo “round musicale”, dedicato alla città dove Siki nacque nel 1897, Saint-Louis, i ritmi blues si mescolano a quelli della touba, la musica che accompagna gli incontri di lotta tradizionale senegalese. Quanto al secondo, che racconta il porto di Marsiglia dove il futuro boxeur sbarcò dopo numerose peripezie, ha una sonorità che si prefìgge di arrivare «il più vicino possibile al mistral, il vento del sud, con una musica liquida e leggera».
La Suite segue poi Siki in Olanda, dove il pugile si stabilì al termine della prima guerra mondiale (nella quale combatté nell’esercito francese guadagnandosi anche una medaglia). E a Parigi, la città del suo trionfo dal gusto dolceamaro, di quel titolo mondiale che gli portò grande gioia ma anche tanta frustrazione.
I ritmi si ispirano alla composizione contemporanea, jazz ma anche classica ed elettronica, passando da “astuzie metriche” di chiara radice jazzistica a uno stile che strizza l’occhio alle atmosfere di Jean-Michel Jarre. Il disco, come la vita di Battling Siki, qui arriva al culmine, prima di scivolare inesorabile verso suoni e sensazioni più cupe. La tappa successiva è Dublino, dove nel 1923 Siki difende senza successo il suo titolo mondiale, mentre per strada infuriano gli scontri tra indipendentisti e soldati britannici. Nella melodia irrompono suoni violenti, secchi come colpi di pistola, e una tensione che ricalca lo sconvolgimento del boxeur che, invece di concentrarsi sul match, passava le serate alla finestra della sua stanza d’hotel, con le luci spente, a fissare il tragico spettacolo della guerra civile.
Siamo vicini all’epilogo. Il battagliero Siki, sempre più demoralizzato, lascia l’Europa da cui si sente rifiutato per New York, dove spera di trovare condizioni migliori. Ma è una nuova delusione: in America i neri non possono combattere con i pesi massimi, non possono mangiare in certi ristoranti né entrare nei caffè alla moda. Accompagnato da un ritmato bebop, il pugile vaga solo per le strade, a tarda notte, dopo essersi fatto cacciare dall’ennesimo bar per soli bianchi. All’alba lo ritroveranno morto, colpito alle spalle da un proiettile e stroncato a soli 28 anni.
La leggenda vuole che sia stato un poliziotto a colpirlo, dopo avergli chiesto i documenti ed essersi sentito rispondere in modo troppo piccato. «Perché Siki non era uno che si lasciava fare», conclude Mauro Gargano, «era francese e si sentiva francese, ma voleva che la sua cultura d’origine fosse rispettata. Non capiva perché i bianchi si ostinassero a maltrattarlo. Per molte cose, era un precursore di problemi che assillano la Francia ancora oggi».