Maurizio Maggiani, Origami 7/4/2016, 7 aprile 2016
LA SUBLIME ANTIPATIA DELLA GRAZIA
Gli spiriti plebei hanno in grande diffidenza gli spiriti eletti, e tra questi oltremodo le santità. È lubrica invidia, è ignorante circospezione, è congenita indisponibilità alla bellezza, è che, pur nella loro pavida neghittudine, i plebei condividono con Lutero il fondato sospetto che sotto la perfezione gatta ci covi, ci covi il demonio in persona. E infatti i santi che i plebei si fanno per loro consumo hanno, ciascuno fantasiosamente a suo modo, difetti, deformità, difformità fisiche e mortali e biografiche non facilmente deglutibili se non considerando che l’unica santità tollerabile altro non sia che un gesto di grazia, la grazia così carica di mistero, che la vita tiene in serbo per spiegare l’inspiegabile equivoco delle miserie umane. Lo dico perché, ad esempio, la signora Aung San Suu Kyi non mi è un granché simpatica. Tutta quella perfezione, tutta quella coscienza della perfezione, quella figura tutta compresa nell’effige della sua santità, e tutta quella pala d’altare strapiena di presidenti e parlamenti, di papi e popi e bonzi, magnifici rettori e insigni poeti, stilisti dei diritti umani e martirologi tessuti in sete finissime. Mah, non so, la mia sarà invidia del pene, perché la signora sparge di sé cazzutissima oltreché perfettissima figura, sarà che dalla sua figura divampa predestinazione regale, ultraumana certezza della corona. Una regina santa, e non è la prima, e non ce n’è una simpatica. Avrà anche fatto della galera, non dico di no, ma come in galera ci vanno le regine, a santificarsi piegando i carcerieri sotto il tallone di cristallo della virginale superiorità. Sarà anche un’eroica combattente della democrazia, sicuro, ma al suo passaggio il popolo le fa largo e si segna, e qualcuno si scansa, perché non tutto il popolo merita di toccarle la veste, al suo sguardo eletto ci sono anche gli impuri.