Claudia Astarita, Panorama 7/4/2016, 7 aprile 2016
QUEST’UOMO HA SALVATO 2 MILIONI E MEZZO DI NEONATI
Quando a 14 anni venne ricoverato d’urgenza per rimuovere un polmone colpito da una brutta infezione, James Christoper Harrison non avrebbe mai immaginato che quella operazione lo avrebbe portato a salvare la vita di due milioni e mezzo di bambini. Oggi, quasi 80enne, dalla sua casa in riva al mare a Umina Beach (un sobborgo di Sydney) Harrison ricorda i suoi tre mesi ospedale con un sorriso: quei 13 litri di sangue trasfuso lo strapparono alla morte e gli regalarono un «talento», come lo definisce lui: un anticorpo particolare che agisce come antidoto contro una grave forma di anemia dei neonati.
A Panorama, Harrison racconta: «Mio padre era un donatore, quindi sapevo che quelle preziose sacche arrivavano da persone generose come lui. E prima di uscire dall’ospedale promisi che sarei diventato a mia volta un donatore». Compiuti 18 anni (nel 1954), la sua prima donazione. «Avevo il terrore degli aghi, e dopo 1.136 prelievi in 60 anni, questa fobia mi è rimasta».
Il giorno della sua prima trasfusione questo allegro signore australiano non sapeva ancora che il suo braccio sarebbe stato soprannominato «il braccio d’oro d’Australia», assicurato per un milione di dollari australiani (circa 670 mila euro). «Un giorno squillò il telefono, lo ricordo come fosse ieri. Era la clinica. Mi chiesero di tornare per fare analisi più approfondite sul mio sangue. Pensavo a qualche valore sballato, invece avevano scoperto che il mio plasma conteneva uno speciale anticorpo, l’anti-D, che avrebbe potuto essere utilizzato contro un tipo di anemia neonatale responsabile di migliaia di morti premature».
Non si sa se Harrison sia nato con l’anticorpo anti-D, o se l’abbia ricevuto in una delle tante trasfusioni. Ci vollero, in ogni caso, circa 10 anni per mettere a punto un sistema che utilizzasse questo anticorpo nei bambini e nelle mamme affette da «anemia emolitica da incompatibilità di fattore Rh»: malattia che si sviluppa quando il feto eredita il gruppo sanguigno del padre, circostanza che induce il sistema immunitario materno ad attaccare i globuli rossi del feto identificati come estranei. La patologia è causa di aborti o di morte prematura del neonato.
«I medici mi dissero che avrebbero cercato di utilizzare l’anticorpo per creare un siero. E il fatto di essere il primo australiano nel cui plasma era stato individuato l’anti-D rendeva il mio sangue ancora più prezioso» prosegue Harrison.
Nel 1967 l’antidoto venne sperimentato su un gruppo di donne a rischio. «Una di loro aveva avuto sette aborti. Dopo il trattamento, la gravidanza successiva andò avanti senza intoppi». Oltre ai tanti bambini, Harrison ha salvato anche la gravidanza della figlia Tracy. «Da quando sono in pensione è ancora più facile gestire i prelievi, e posso persino permettermi di donare in posti diversi così da raggiungere più mamme». Per tre mesi all’anno si sposta dal New South Wales al Queensland per rifornire altre Banche del Sangue. Con le sue 1.136 trasfusioni è entrato nel Guinness dei Primati. Quella che ricorda con maggiore piacere è del 2011. Per lui era la numero mille, per suo nipote Scott, nato sano grazie al suo siero, la prima.
L’unico rammarico sta nella consapevolezza che alla fine del 2017 dovrà smettere: l’Australia impone come limite massimo per le trasfusioni gli 81 anni (che compirà il 27 di dicembre). «Nella mia famiglia siamo tutti donatori, ma nessuno ha il mio anticorpo. So però che ci sono almeno altre 50 persone in Australia con il mio stesso talento. Il mio più grande desiderio è che qualcuno di loro riesca a battere il mio record, continuando a salvare le vite di tanti altri bambini sfortunati».