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 2016  aprile 03 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - MEZZO MILIONE DI ITALIANI STANNO IN PENSIONE DA 36 ANNI


REPUBBLICA.IT
ROMA - In Italia ci sono oltre 474 mila pensioni liquidate prima del 1980, che quindi ricevono la pensione da oltre 36 anni. Il dato emerge dalle tabelle Inps sugli anni di decorrenza delle pensioni sugli assegni di vecchiaia (comprese le anzianità) e ai superstiti del settore privato, esclusi quindi sia gli assegni di invalidità previdenziale, sia quelli agli invalidi civili sia le pensioni sociali oltre naturalmente ai trattamenti degli ex dipendenti pubblici.
FOCUS / PENSIONI
Un dato subito commentato dal presidente dell’Inps, Tito Boeri: "Siccome son state fatte delle concessioni eccessive in passato e queste concessioni eccessive oggi pesano sulle spalle dei contribuenti - dice a margine del convegno Città Impresa - credo che sarebbe opportuno andare per importi elevati a chiedere un contributo di solidarietà per i più giovani e anche per rendere più facile a livello europeo questa uscita flessibile". Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, esclude però nuovi prelievi: "Il contributo di solidarietà oggi sulle pensioni alte c’è già, è a scadenza, dovrà essere valutato se confermarlo in quella maniera o diversamente, ma non credo che ci sia nulla allo studio. Vedremo cosa fare sulla flessibilità".
A Boeri era stato chiesto nel dettaglio se la presenza di una così vasta platea di pensionati di lunga data, non sia il caso anche di andare a rivedere i diritti acquisiti, anche per rendere più sostenibile il sistema pensionistico. "Abbiamo formulato delle proposte molto articolate, che guardano all’età, alla decorrenza della prima pensione - risponde Boeri -. Perché quando si guarda anche agli importi pensionistici bisognerebbe sempre guardare da quanto tempo vengono percepiti questi importi. Possono essere anche importi limitati ma se uno li ha percepiti da quando aveva meno di 40 anni, chiaramente cumulandosi nel tempo vengono a stabilire un trasferimento di ricchezza pensionistica considerevole".
Sindacati in piazza a Torino per cambiare la legge Fornero
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Per le pensioni di vecchiaia l’età media alla decorrenza era di 54,9 anni mentre per quella ai superstiti l’età media era di 41,3 anni. In questi dati non sono compresi i baby pensionati del pubblico impiego che sono riusciti a uscire dal lavoro prima del 1992 con almeno 14 anni, sei mesi e un giorno di contributi se donne spostate con figli.
L’Inps infatti al momento non diffonde statistiche anche sugli anni di decorrenza delle pensioni del settore pubblico. Guardando solo al settore privato sono in pensione di vecchiaia da oltre 30 anni (pensioni con decorrenza antecedente al 1986) oltre 800 mila persone mentre altri 527 mila assegni sono ai superstiti. Una parte dei trattamenti potrebbe riferirsi alla stessa persona (nel caso abbia già prima di trent’anni fa avuto diritto alla pensione di vecchiaia e essendo anche superstite di assicurato).
L’età media alla decorrenza era molto inferiore all’attuale perché ci si ritirava per vecchiaia a 55 anni se donne e a 60 se uomini. Se si guarda solo alle pensioni antecedenti al 1980 (quindi in vigore da almeno 36 anni) erogate per ragioni diverse dalla vecchiaia e dall’essere superstiti, le invalidità previdenziali sono 439.718 (44,5 l’età alla decorrenza) le pensioni sociali 24.308 (33 anni l’età media alla decorrenza) e 96.973 le pensioni agli invalidi civili (23,21 anni l’età alla decorrenza). Nel 2015 le pensioni liquidate per anzianità sono state 238.400 con un età media alla decorrenza di 62,55 anni mentre quelle ai superstiti sono state 173.378 con un’età media alla decorrenza di 73,89 anni.
Pensioni, in piazza contro legge Fornero. Furlan: "Non si sta a 67 anni su una gru"
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Per quanto riguarda gli importi, dopo le polemiche sull’alto numero di pensionati sotto i 750 euro al mese, quasi 6 su 10, il presidente dell’Inps Boeri invita a "guardare al dato medio per pensionato, e non alla pensione media", perché "la situazione è meno grave di quel che si possa pensare". "C’è stata una informazione errata, bisogna guardare al dato medio per pensionato, non alla pensione media - spiega -. In Italia sono molti i pensionati che percepiscono più di un trattamento, questo non vuol dire che le pensioni non siano basse in Italia, ma la situazione è meno grave di quel che si possa pensare prendendo il dato per pensione singola". Boeri spiega che "i dati medi per pensionati per il 2014 cominceranno ad essere disponibili a partire da luglio" e il quadro sarà più chiaro con quei dati.
L’importante è intervenire "in tempi ragionevolmente stretti" con una riforma per avere maggior flessibilità nelle pensioni. "E’ importante che si intervenga - aggiunge Boeri -, non è qualcosa che si può rimandare a lungo. Soprattutto gli aspetti più importanti sul mercato del lavoro sono qualcosa su cui bisogna intervenire adesso, perché il blocco morde e in qualche modo ostruisce l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro adesso, non fra tre anni. Penso che sia opportuno intervenire in tempi ragionevolmente stretti". "Dopo di che ci sono delle compatibilità a livello europeo, ci sono delle priorità che non spetta a me stabilire nell’azione di Governo, se si vuole intervenire è opportuno farlo adesso", dice.
"E’ un fatto di libertà - aggiunge -. Ci sono delle persone che hanno dei piani individuali, per cui pensano a un certo punto di uscire dal mercato del lavoro verso il pensionamento. Se questa uscita è possibile concepirla in modo che sia sostenibile e non gravi sul futuro dei giovani, e non faccia aumentare il debito pensionistico, il che vuol dire fare delle riduzioni dell’importo delle pensioni per impedire che queste persone si avvantaggino rispetto a quanti lavorano più a lungo, se è possibile fare un intervento di questo tipo, è bene farlo. Però bisogna farlo con queste caratteristiche".
Sulla scia della mobilitazione unitaria ieri dei sindacati sul nodo pensioni, bocciando comunque l’ipotesi di un ricalcolo di tutta la vita lavorativa con il sistema contributivo, per il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta "la Legge Fornero nel suo impianto va difesa" ma bisogna "agire sulla flessibilità in uscita". Così, aggiunge, "è impraticabile".
"La Legge Fornero nel suo impianto va difesa perché ha assicurato la stabilità dei conti e ci ha messi in una posizione di vantaggio verso la Ue", sottolinea Baretta. "Quello che va affrontato - osserva il sottosegretario - non è un cambiamento della Legge ma alcuni punti critici come le rigidità nel passaggio all’eta pensionistica che in alcuni casi prevede un aumento anche di 6 anni" per l’uscita dal mercato del lavoro. "Personalmente penso che la soluzione migliore per difendere la Legge Fornero, allo stesso tempo dando risposte a una sensibilità che si sta diffondendo - ribadisce Baretta - sia agire sulla flessibilità in uscita. Il governo ci sta lavorando e i tempi sono quelli della Legge di Stabilità".
Intanto è escluso che nel Def atteso entro il 10 aprile vi siano già le premesse per uno schema di uscita flessibile. "Prima di dare un orientamento sui conti è meglio fare i calcoli in termini attuariali. Per ora quel che conta è che il governo sta lavorando", spiega Baretta.
Tra le ipotesi per superare le rigidità Baretta boccia con nettezza quella del ricalcolo con il sistema contributivo di tutta la vita lavorativa. "E’ impraticabile, rischia di essere penalizzante", sottolinea il sottosegretario, aggiungendo che "una soluzione sarebbe la riduzione dell’assegno previdenziale per chi vuole uscire prima: le modalità e l’entità sono allo studio" e la questione "ragionevolmente verrà affrontata con la legge di Stabilità".
Tra le strade giudicate percorribili dal sottosegretario resta quella del prestito previdenziale con il coinvolgimento dell’impresa. "Il vantaggio di questa soluzione - conclude - è che il lavoratore con un lavoro faticoso se vuole può andare in pensione prima, ma anche l’azienda avrebbe il vantaggio di favorire il ricambio generazionale. Questa è una delle strade da studiare".

CORRIERE.IT
Per Boeri serve un «contributo di solidarietà» da parte di chi prende una pensione alta e da tanti anni. Il presidente Inps interpellato sul dato delle 500 mila persone in pensione da oltre 36 anni ha spiegato che «siccome son state fatte delle concessioni eccessive in passato e queste concessioni eccessive oggi pesano sulle spalle dei contribuenti, sarebbe opportuno andare per importi elevati a chiedere un contributo di solidarietà per i più giovani e anche per facilitare e rendere più facile anche a livello europeo questa uscita flessibile».
Diritti acquisiti
A Boeri era stato chiesto nel dettaglio se la presenza di una così vasta platea di pensionati di lunga data, non sia il caso anche di andare a rivedere i diritti acquisiti, anche per rendere più sostenibile il sistema pensionistico. «Abbiamo formulato delle proposte molto articolate, che guardano all’età, alla decorrenza della prima pensione — ha risposto Boeri —. Perché quando si guarda anche agli importi pensionistici bisognerebbe sempre guardare da quanto tempo vengono percepiti questi importi. Possono essere anche importi limitati ma se uno li ha percepiti da quando aveva meno di 40 anni, chiaramente cumulandosi nel tempo vengono a stabilire un trasferimento di ricchezza pensionistica considerevole».
La riforma
Quanto alla richiesta di intervenire sulle pensioni già prima del Def rivolta sabato al governo dai sindacati, il presidente dell’Inps ha spiegato che è importante intervenire «in tempi ragionevolmente stretti» con una riforma del sistema previdenziale per avere maggior flessibilità nelle pensioni. «È importante che si intervenga — ha detto —, non è qualcosa che si può rimandare a lungo. Soprattutto gli aspetti più importanti sul mercato del lavoro sono qualcosa su cui bisogna intervenire adesso, perché il blocco morde e in qualche modo ostruisce l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro adesso, non fra tre anni». «Dopo di che ci sono delle compatibilità a livello europeo — ha precisato —, ci sono delle priorità che non spetta a me stabilire nell’azione di governo, se si vuole intervenire è opportuno farlo adesso».
Flessibilità in uscita
Per Boeri è «importante» introdurre la flessibilità in uscita perché «migliorerebbe le condizioni del mercato del lavoro, soprattutto per l’ingresso dei giovani»: «Abbiamo messo in luce come questa brusca impennata nei requisiti anagrafici e contributivi che è stata posta in essere con la riforma del 2011 abbia penalizzato i giovani — ha spiegato —: le imprese in cui c’erano più lavoratori bloccati da quelle riforme sono quelle che hanno assunto meno giovani». Ma c’è anche un secondo motivo: «È un fatto di libertà. Ci sono delle persone che hanno dei piani individuali, per cui pensano a un certo punto di uscire dal mercato del lavoro verso il pensionamento. Se questa uscita è possibile concepirla in modo che sia sostenibile e non gravi sul futuro dei giovani, e non faccia aumentare il debito pensionistico, il che vuol dire fare delle riduzioni dell’importo delle pensioni per impedire che queste persone si avvantaggino rispetto a quanti lavorano più a lungo, se è possibile fare un intervento di questo tipo, è bene farlo. Però bisogna farlo con queste caratteristiche».

CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA La bordata arriva nel giorno in cui i sindacati scendono in piazza per cambiare la legge Fornero. Le manifestazioni e i cortei della mattina si sono conclusi da poche ore, dopo aver simboleggiato il richiamo al confronto con il governo su temi come rivalutazione delle pensioni, lotta alla disoccupazione e un intervento definitivo per sanare l’odissea degli esodati. Nel pomeriggio il premier, Matteo Renzi, è atteso per un intervento alla scuola di formazione del Pd. E lì tratteggia con esattezza quale confronto attende i sindacati. «Quando in un Paese c’è la disoccupazione giovanile al 39%, vuol dire che abbiamo bisogno di creare lavoro.In questo Paese si è detto che c’era un disegno squallido contro i lavoratori ma io penso - specifica Renzi - che in questo Paese abbia fatto più Marchionne, più alcuni imprenditori, che certi sindacalisti. Io sto con Marchionne».

Un messaggio inequivocabile in risposta alle mobilitazioni organizzate ieri in molte regioni italiane e in decine di piazze, tanto che il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, alla testa del corteo che ha sfilato a Venezia tiene a dire che non si tratta di «una comparsata» e l’esecutivo «non deve pensare che ci fermeremo». Durante le manifestazioni a Roma, Napoli, Bologna, Torino i sindacati chiedono di intervenire sulla legge Fornero (i punti caldi sono: possibilità di uscita dal lavoro dai 62 anni, ripristino del meccanismo delle quote e dell’anzianità, lavori usuranti) e rilanciano con una nuova protesta nazionale a Roma il 19 maggio. Quel giorno i pensionati rivendicheranno la battaglia contro il governo sul versante del welfare, così come sul tema della reversibilità. Nell’attesa Camusso chiede «di aprire un confronto sul tema pensioni e che il governo si rassegni a discutere con le parti sociali». Il leader della Cgil suggerisce un’alternativa alle sforbiciate sulla previdenza: «Il risparmio sui conti pubblici si può fare in tanti modi. Me ne viene in mente uno: smettete di mangiare sugli appalti». Per la Camusso la legge Fornero va cambiata «a partire dai principi di giustizia e di costruzione di una prospettiva previdenziale anche per i giovani, oltre che di una possibilità di fare ingresso nel mondo del lavoro». A Roma a guidare il corteo è il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, che avanza la proposta di «stabilire che dopo 41 anni di contributi si può andare in pensione». Il sindacato vuole cambiare le regole di uscita dal mondo del lavoro e Furlan specifica che a mancare sul tema è proprio la proposta del governo, ribadendo: «Noi andremo avanti fino a schiodare il governo». L’impazienza della Cisl è la stessa di Carmelo Barbagallo, numero uno della Uil, che da Napoli ricorda che a fronte dei 30 miliardi di euro all’anno incassati dallo Stato l’Italia «sta diventando un Paese in via di estinzione, fuggono i giovani e gli anziani con pensioni da fame non possono restare».

In serata arriva la risposta a Renzi di Fim Cisl, la principale sigla all’interno degli stabilimenti Fca. A parlare è il segretario Marco Bentivogli: «Il sindacato non è tutto uguale. Non accetteremo più queste generalizzazioni da bar, non degni di chi dice di vuole cambiare il Paese».
Andrea Ducci

MARIO SENSINI
Trenta miliardi di euro l’anno, per almeno 15 anni. Cumulati i risparmi di spesa garantiti dalle riforme previdenziali del 2007 e del 2010-2011, ammontano alla bellezza di 450 miliardi di euro, un quinto dell’immenso debito pubblico del Paese. A fare i conti sulle riforme che i sindacati vorrebbero ridiscutere, è stata appena una settimana fa la Corte dei Conti nel Rapporto 2016 sulla finanza pubblica. Senza gli interventi messi in campo nel 2007 dall’allora ministro, Cesare Damiano, e quelli del 2010-11, con la riforma del ministro Elsa Fornero, «la spesa per pensioni sarebbe stata superiore di ben due punti di pil a quella realizzata», dice la Corte. Un risparmio di «oltre 30 miliardi di euro l’anno, e per un periodo di almeno quindici anni», attribuibile esattamente per una metà a Damiano, per l’altra alla Fornero. Ciascuna delle due riforme ha infatti permesso la riduzione della spesa previdenziale di un punto di pil, una quindicina di miliardi l’anno. Ciò detto, e dopo aver premesso che il sistema è in equilibrio, ma solo se l’Italia ritroverà una crescita economica più sostenuta, anche la Corte ammette che la riforma previdenziale va completata. Su tre fronti: la flessibilità, che manca, le pensioni basse, troppo esigue, l’innalzamento parallelo della speranza vita e dell’età pensionabile, che non fa i conti con lo stato di salute di lavoratori sempre più anziani.
Mario Sensini

GIULIANO CAZZOLA

NAZIONALE - 03 aprile 2016
CERCA
10/11 di 60
3/4/2016
Economia
L’INTERVISTA/2 GIULIANO CAZZOLA
“Riforma salvifica E l’età di uscita la bloccò Maroni”
VALENTINA CONTE
ROMA.
Giuliano Cazzola, grande esperto di pensioni ed ex deputato Pdl poi transitato a Scelta Civica e Ncd, prima di uscire dalla politica per insegnare diritto del lavoro a Bologna, crede che la riforma Fornero vada difesa.
Per quale motivo?
«Almeno tre. Perché ha fatto cambiare giudizio sull’Italia, quando il Paese nel 2011 era ad un passo dal fare la fine della Grecia. Perché senza avremmo bruciato i sacrifici di vent’anni in tema di pensioni, visto che la crisi ha fatto schizzare la spesa pensionistica dal 14 al 16% del Pil e nel giro di poco tempo saremmo arrivati al 18%. E terzo perché si tratta di una riforma accusata di colpe non sue».
Sta dicendo che la Fornero ha ereditato i nodi su cui viene attaccata?
«Certo, dal governo di centrodestra che l’ha preceduta. La finestra mobile, la parificazione tra uomo e donna, l’aggancio all’aspettativa di vita. Tutte cose introdotte dal governo Berlusconi- Maroni che la Fornero ha dovuto includere o accelerare nella sua riforma sotto pressione dell’Europa. Alzando così l’età di uscita».
Ma la Lega che oggi protesta non era in quel governo?
«Ovviamente. Ma infatti Salvini è un bugiardo quando oggi tratta quella riforma, che i suoi hanno votato, come il vaso di pandora di tutti i mali. E poi la flessibilità in uscita, introdotta da Dini nel 1995, chi l’ha ammazzata? Maroni, altro leghista ».
Le sembra ben fatta una riforma che produce centinaia di migliaia di esodati?
«Non proprio. D’altro canto fu scritta in fretta perché l’Italia era sull’orlo del baratro. Ma il problema poteva risolversi diversamente. E anche sui lavori usuranti va definita meglio».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
I DIFETTI
Su esodati e lavori usuranti paga la fretta con cui fu scritta



DOMANDE E RISPOSTA DI REPUBBLICA (VALENTINA CONTE)

NAZIONALE - 03 aprile 2016
CERCA
10/11 di 60
3/4/2016
Economia
Domande e risposte
CON QUALI NOVITÀ? QUALI RISPARMI SONO STATI PREVISTI? COME NASCE LA VICENDA DEGLI ESODATI? QUANTI NE SONO STATI SALVATI? COSA PROPONGONO?
?
QUANDO È STATA INTRODOTTA LA RIFORMA FORNERO?
Nel dicembre del 2011, all’interno della manovra di emergenza nota come Salva-Italia del governo Monti, articolo 24.
Il metodo contributivo anziché retributivo applicato a tutti dal 2012 (la pensione viene calcolata in base ai contributi versati).
L’innalzamento dei requisiti per il pensionamento: 66 anni di età oppure 42 anni di contributi per gli uomini e 41 per le donne. Le penalizzazioni economiche per chi accede alla pensione prima dei 62 anni.
Nel decennio, dunque al 2020, circa 88 miliardi.
Il repentino innalzamento dei requisiti per la quiescenza ha lasciato nel limbo migliaia di lavoratori rimasti senza posto e senza stipendio, ma lontani dalla pensione.
Ben 172.466, grazie a sette salvaguardie in quattro anni (l’ultima tre mesi fa) per un costo di oltre 11 miliardi, quasi il 13% dei risparmi totali preventivati nel decennio.
ANCHE L’ULTIMA LEGGE DI STABILITÀ DUNQUE HA PREVISTO ACCANTONAMENTI NUOVI PER GLI ESODATI?
In realtà no, perché gli 11 miliardi di soldi pubblici erano stati stanziati già alla fine del 2013, con la quinta salvaguardia. Da allora non si sono aggiunte risorse.
Dunque la sesta e settima salvaguardia potevano essere anticipate.
PERCHÉ I SINDACATI HANNO MANIFESTATO IERI?
Perché ritengono i requisiti della legge Fornero penalizzanti.
Tre cose. Una flessibilità in uscita senza penalizzazioni a 62 anni. Un massimo di 41 anni di contributi per la pensione di anzianità: con la Fornero questo tetto può essere superato dai lavoratori precoci che iniziano a 14 anni, ma a 55 anni non possono ritirarsi.
Di rivedere il meccanismo bloccato delle rivalutazioni, oggetto di una sentenza della Corte Costituzionale.
QUANTO SONO IMPORTANTI LE RIFORME DELLE PENSIONI?
Secondo la Corte dei Conti, senza gli interventi del 2007 e del biennio 2010-2011, la spesa per pensioni nel 2015 sarebbe salita di due punti di Pil, ovvero 30 miliardi l’anno per quindici anni.
a cura di Valentina Conte

PRESTITO PREVIDENZIALE
Il progetto reca una serie di misure rivolte ai lavoratori con almeno 55 anni senza lavoro per i quali appare ormai necessario l’introduzione di uno specifico strumento di sostegno al reddito per aiutarli a raggiungere la pensione o la rioccupazione. Obiettivo raggiunto dai promotori del progetto da un lato attraverso l’estensione degli sgravi contributivi per i datori di lavoro per incentivare l’assunzione dei lavoratori con almeno 55 anni unito all’estensione della durata dell’Asdi da sei mesi (come prevede l’attuale normativa) ad un anno.

Oltre a queste misure, perdurando lo stato di disoccupazione ed esaurite quindi tutte le tutele contro la disoccupazione spettanti, il disegno di legge prevede la possibilità di ottenere un prestito (detto anche APA, assegno pensionistico anticipato) pari a circa 762 euro al mese (1,7 volte l’assegno sociale) per 13 mensilità a quei lavoratori a cui manchino non oltre 5 anni dal compimento dell’età pensionabile con una durata massima pari, per l’appunto a cinque anni. Dato che si tratta di un prestito una volta ottenuta la pensione i beneficiari dovranno restituire i 2/3 dell’anticipo ottenuto su base pluriennale attraverso dei micro prelievi strutturali sul rateo. Un terzo della somma sarà pagato dallo stato a titolo di sostegno al rimborso.

Secondo il progetto dei dem l’accesso all’APA è subordinato alla condizione di: 1) trovarsi in stato di disoccupazione; 2) non risultare titolari di trattamento pensionistico diretto, di assegno ordinario di invalidità, di assegno straordinario per il sostegno del reddito previsto dalle norme per l’incentivo all’esodo; 3) avere titolo, in base alle regole vigenti, a divenire beneficiari, alla data di maturazione del diritto alla pensione, di un assegno previdenziale di importo non inferiore a due volte l’importo del trattamento minimo INPS previsto per l’anno in corso alla suddetta data (circa mille euro lordi secondo i valori del 2015).

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