varie, 1 aprile 2016
JELLA PER SETTE
Il calvario di un professore cinquantaquattrenne di Verona perseguitato dai bulli che l’accusano d’essere uno jettatore. Anni fa aveva detto «stai attento» a un ragazzo che s’allontanava in scooter senza il casco. Quel ragazzo qualche mese dopo è morto in un incidente stradale e da allora il professore è diventato «il corvo», «il porta sfiga», «l’appestato». Nel 2008 la situazione è precipitata: «Quando attraversavo i corridoi i ragazzi scappavano, facevano le corna, si toccavano i genitali. In classe era un susseguirsi di risatine, insulti, mani che toccano ferro. Mi sentivo travolto da una gigantesca onda di disprezzo». Su Facebook c’era un suo falso profilo con «decine di fotografie scattate dai ragazzi di nascosto, accompagnate da commenti infamanti». In un’immagine era ripreso di spalle mentre sfogliava un libro. Nella didascalia si leggeva: «Starà scegliendo la sua prossima vittima?». Il professore è riuscito a far chiudere il profilo Facebook e ha cambiato scuola tre volte, ma quella vecchia storia ogni tanto fa ancora capolino: «Ho imparato a intercettare i segnali e intervenire prima che il fuoco divampi. Purtroppo la brace è ancora accesa» (Catalano, Sta).
«Mi vesto a lutto perché sono morto: mi hanno assassinato, spargendo la voce che sono uno jettatore» (Totò, La patente - Questa è la vita).
Rosario Chiarchiaro, il protagonista della novella di Luigi Pirandello considerato un menagramo. Chiarchiaro si presenta davanti al giudice e, anziché chiedere i danni, chiede la patente di iettatore, al fine di ottenere compensi dai negozianti che minaccia con la sua presenza.
Nel 1999 un siciliano uccise i vicini di casa perché parlavano di lui come di uno jettatore.
Si racconta che Ferdinando I di Borbone, convinto che il canonico De Jorio fosse un potente jettatore, si rifiutò sempre di riceverlo. Il 3 gennaio del 1825, dovendo presentargli un manoscritto, il prelato riuscì a incontrarlo per pochi minuti. Il sovrano, che per tutto il tempo strinse nervoso un cornetto di corallo nella mano, morì il mattino dopo per un colpo apoplettico.
Il critico letterario Mario Praz aveva fama di menagramo. Per il suo allievo Masolino D’Amico, ciò era da attribuirsi un po’ a certi oggetti sinistri presenti nella sua casa-museo (come bambole di cera del 700 con capelli veri), un po’ al suo aspetto fisico: basette lunghe, un occhio molto storto, un piede «a ferro da stiro che lo costringeva a zoppicare, come appunto pare faccia il Maligno». Sembra, però, che il Praz non provocasse grandi disgrazie, ma fastidi, «colpendo di preferenza le gambe».
A tutt’oggi, specie a Roma, si usa nominare Mario Praz come l’Anglista, o l’Anglologo, o M.P.
Elena Croce, superstiziosa figlia di Benedetto, si rifiutava di incontrare o anche solo sentir nominare Mario Praz, che aveva fama di iettatore. Quando sua figlia stava per sposare Masolino D’Amico, allievo del critico, capì che non poteva più evitarlo: per esorcizzarne la potenza iettatoria si mise a leggere un libro in cui suo padre parlava di Praz. Immediata, una telefonata, le comunicò la morte d’un vecchio amico. A quel punto, per evitare che la signora disertasse le nozze della figlia, fu organizzato un complicato stratagemma. In chiesa andarono solo i parenti, in precedenza amici e conoscenti furono ricevuti in un albergo, il cui enorme salone rettangolare aveva due uscite opposte: la Croce fu collocata sulla prima per salutare gli invitati, finché non le venne segnalato che Praz, prelevato appositamente in ritardo, era arrivato. A quel punto se la svignò, mentre il critico entrava dalla porta opposta alla sua. L’assenza, se fu notata, venne di certo attribuita alla proverbiale scarsa pazienza della figlia del filosofo.
«Benedetto Croce stava con Matilde Serao, suonarono, entrò il cameriere: “Professo’, ci sta “chillo”. “Chillo chi?” “L’Innomminabbile!”. “Hiiih!”, fece Croce. E si toccò. Al che la Serao, allungando la mano: “Professo’, permetta che anch’io...”» (raccontato da Emilio Colombo).
Emilio Colombo, per giustificare la propria prudenza scaramantica, tirava sempre in ballo Benedetto Croce al quale viene attribuita, vera o falsa che sia, la seguente battuta: «La jella non esiste e se avessi tempo potrei scrivere due tomi per dimostrarlo. Ma siccome il tempo non ce l’ho, facimme ’e corna».
Francesco Saverio Nitti, entrando nel ristorante "Favellone" di piazza Dante a Napoli, scorse seduto a un tavolo un noto iettatore e ordinò spaghetti all’olio con molto aglio. «Onore’ - gli chiese Favellone - , state a dieta?». «No, sto in guardia!», fu la risposta.
Da quando aveva sposato Jacqueline Kennedy, gli affari di Onassis avevano cominciato ad andare male, e i suoi più stretti collaboratori incolpavano la «jella di Jackie».
Marco Masini, cantante a lungo boicottato dai programmi tv perché i colleghi, quando passava, si davano di gomito dicendo «porta sfiga».
La vicenda di Mia Martini, carriera rovinata dall’accusa di essere una iettatrice (tutto cominciò quando «predisse» la caduta di un telone fissato male sul palco di un concerto).
Loredana Bertè sulla sorella: «L’infamia che le hanno fatto è scandalosa. Se vuoi uccidere uno troppo bravo, basta che tu dica “quello porta jella”. L’hanno ammazzata».
La fama di portare jella, secondo Mia Martini la vendetta di un impresario cui rifiutò un contratto in esclusiva. I primi a far girare la voce: «Patty Pravo e Fred Buongusto. Poi è stata la volta della Rai che ha cominciato a non mettere più in onda le mie canzoni. Quindi i discografici» (a Gianfranco Moriondo di Gente, nel marzo 1983)
«Meglio essere sospettati di avere l’Aids, si puo’ dimostrare il contrario con un test. Ma per la jella cosa si fa, una radiografia?» (Mia Martini).
Da decenni circolano aneddoti su Enrico De Nicola che aveva un segretario sempre vestito a lutto e con la gobba e faticava a muoversi il venerdì 13. Su Giovanni Leone che ammoniva: «Guaglio’, la jella è cosmica. Se un indiano, domattina, si alza coi lapis a quadriglé la sua maledizione può arrivare fino in Quirinale». Su Giovanni Gronchi che sull’aereo presidenziale aveva fatto rimuovere tutti gli specchi e specchietti per non correre il rischio che qualcuno si rompesse. Perfino Benito Mussolini, scrive Giulio Castelli nel libro Il Vaticano nei tentacoli del fascismo era «superstizioso come una donnicciola».
Benito Mussolini sosteneva che il filosofo Julius Evola, un bizzarro fascista, studioso tra l’altro di esoterismo e di magia, gli aveva fatto il malocchio, diceva d’essere preda dei suoi riti malefici, lo chiamava «il menagramo» e non lo voleva neppure sentire nominare. E anzi, a chi lo nominava, ordinava, citando Marziale, «et digitum porrige medium, e ora irrigidisci il dito medio», che pare sia un rimedio efficacissimo contro il maleficio, «ma solo - spiega il classico "La Cicalata" - se non è stato lo iettatore a fissarti per primo, ma sei stato tu a guardare lui».
Velina del Duce, 18 luglio 1935: «Non si dica che la disgrazia al figlio di Agnelli (Edoardo Agnelli senior morì tragicamente il 14 luglio 1935 in un incidente aereo all’idroscalo di Genova, ndr) avvenne allo scalo Mussolini, ma si dica che avvenne nel mare di Genova».
Giovanni Leone, quand’era presidente della Camera dei Deputati, convocando la seduta per un venerdì 17 aggiunse sottovoce: «Naturalmente, gli onorevoli napoletani sono dispensati».
Nel 2000, a bordo di Azzurra, la nave elettorale di Forza Italia, Paolo Bonaiuti si ruppe la gamba, un auto si schiantò sulla fiancata della nave e Berlusconi, con la febbre e la diarrea, stabilì: «È iella». Arrivarono casse di cornetti e di amuleti da tutta Italia, ma decisiva dicono sia stata la statua di San Michele Arcangelo donata da Raffaele Fitto.
Pertini temeva malocchio, malefici e iella: il 29 giugno del 1984 festeggiò il suo ottantanovesimo compleanno al ristorante Cecilia Metella di Roma insieme con lo stato maggiore del Psi ma divenne terreo e fece lungamente le corna quando Craxi disse: «Auguri al compagno Pertini che è ancora con noi».
Gianfranco Vissani non ammette di essere in tredici a tavola (una volta fece sedere un cameriere per scongiurare l’evento).
Nicola Valletta (1787), illustre erudito e giureconsulto napoletano che nutriva un timore reverenziale per il malocchio, descritto da Stendhal dopo una visita nel suo alloggio: «Ho trovato nella camera uno smisurato corno che può avere dieci piedi di altezza. Spunta dal pavimento come un chiodo. Suppongo che sia fatto con tre o quattro corna di bue. E’ un parafulmine contro la jettatura (la malasorte che un maligno può gettare su di voi con uno sguardo)».
La seduta parlamentare in cui il leghista Cesare Rizzi se la prese con l’allora ministro dei trasporti Claudio Burlando: «Io non sono superstizioso, ma comincio a pensare che lei è un menagramo, una persona iellata. Da quando lei è ministro, ogni giorno un incidente».
L’istituzione nel comune di Aulla, da parte dell’onorevole Lucio Barani di un «Ufficio comunale contro il malocchio» (nel 1998).
Mario Monti ha «paura dei gatti neri che attraversano la strada. Specie se provengono da sinistra». Quando accade si ferma e aspetta che qualcuno, passando prima di lui, «si prenda il carico di irrazionale sfortuna di quel povero gatto».
In alcune cittadine americane, ordinanze municipali impongono ai padroni di gatti neri di appendere, ogni venerdì tredici, campanellini al loro collare (i passanti, riconoscendo il tintinnìo, hanno il tempo di cambiare strada).
Secondo l’antropologo Alfonso M. Di Nola, per jettatura si deve intendere l’influenza nefasta esercitata da uomini – ma anche da oggetti e animali – su altri uomini, intenzionalmente o involontariamente. Il suo discredito è legato a un presunto potere speciale dell’occhio, capace di sprigionare un influsso distruttivo, ossia quel “gettare il male” da cui deriva il termine.
Togliatti, segretario del Pci, teneva sempre in tasca chiodi di ferro contro il malocchio.
Nel 1997 il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi fu fotografato nell’atto di fare le corna contro la crisi di governo. Altre corna famose: quelle dei primi anni Settanta con le quali l’allora presidente Giovanni Leone rispose agli studenti di Pisa che gli auguravano di ammalarsi del colera che colpiva in quei giorni Napoli, la sua città; quelle di Bettino Craxi del 1992 che salutarono la citazione da Nenni (’Rinnovarsi o perire”) di Claudio Martelli durante l’assemblea nazionale del Psi; quelle sventolate in diretta tv da Alessandra Mussolini nel 1994 mentre chiedeva a Bassolino «A Bassoli’, oggi è caduta ’a lire, nunn’è che portate jella?»; quelle sollevate da Umberto Bossi nello stesso anno parlando di ”Crisantemo” Martinazzoli; nel 1996, quelle mostrate da Silvio Berlusconi contro un ennesimo attacco degli ex democristiani del Polo.
Greci e romani attribuivano alle corna il potere di allontanare gli spiriti malefici e la capacità di donare benessere e fecondità.
Pianigiani, riferendosi al fare le corna per scongiurare il malocchio, nel suo vocabolario etimologico della lingua italiana, così sentenzia: «Vuolsi derivato dall’uso delle donne romane di porsi un anello amuleto nell’indice e uno nel mignolo, d’onde verosimilmente ne sarebbe venuto l’uso di scongiurare la iettatura stendendo codeste due dita e chiudendo le altre».
Garibaldi «contro la jettatura» si portava sempre appresso un corno di cervo.
Motivo per cui si crede che il diciassette porti jella: anagrammando il numero romano XVII viene fuori VIXI (vissi, dunque son morto).
I due governi nati il 17 sono quelli cui spetta il record di minor durata: il primo di Andreotti, 1972, appena nove giorni; e l’ultimo di Fanfani, nel 1987, 11 giorni. Forse anche per questo Ciriaco De Mita volle spostare l’apertura di un congresso da un venerdì 17 a un sabato 18. In compenso Prodi a quel numero è affezionatissimo, avendo presentato al Senato il suo primo esecutivo alle ore 17,17 di venerdi 17 maggio 1996.
Il numero tredici e il sale porterebbero jella per via dell’Ultima cena (nel dipinto di Leonardo da Vinci, si vede Giuda che versa sale). Il terrore del cappello poggiato sul letto, invece, deriva da un’usanza spagnola del 1600: quando un nobile stava per morire, si metteva il suo cappello sul letto. Rompere uno specchio porterebbe male per questa ragione: nell’antichità gli specchi erano giudicati sacri perché riflettevano la figura e anche perché, se interrogati, permettevano di conoscere il passato e il futuro. Romperlo significava distruggere un pezzo della persona. La credenza nel gatto nero jellatorio nasce invece nel Medioevo: il nero era simbolo del male e si riteneva che il gatto nero fosse un emissario del diavolo e il compagno prediletto dalle streghe.
Convinto che il triangolo fosse un simbolo divino, Pitagora impediva ai suoi discepoli di camminare sotto a una scala: avrebbero profanato l’immagine triangolare formata dal pavimento, dalla scala e dalla parete su cui era poggiata. Di qui, la convinzione che passarci sotto porti male.
Nel nord d’Italia, per allontanare la jella, le donne usano darsi tre colpettini sul sedere. Di qui, la convinzione che le natiche siano un porta fortuna e l’esclamazione «che culo!».
Il linguista Giuseppe Pittàno sull’origine di "toccare ferro": «È l’abbreviazione di "toccare ferro di cavallo" e ha il significato di fare scongiuri, accompagnato per lo più dal gesto concreto di stringere o toccare un pezzo di ferro per proteggersi dalla iettatura e dalle disavventure. Nel Medio Evo si inchiodava un ferro di cavallo alla porta per tenere lontano fattucchiere e streghe. L’origine di questa superstizione è inglese. Raccontano le leggende che un giorno il diavolo, sotto mentite spoglie, si presentò a san Dunstano che era un maniscalco, pregandolo di ferrargli il piede porcino. Il santo capì subito che il cliente era il demonio e lo trattò a dovere. Lo legò fermo al muro con una catena, gli forgiò un bel ferro a giusta misura e l’inchiodò a suon di martellate nella zampa del poco raccomandabile cliente. Inutilmente questo si mise a urlare ma il santo continuava a battere con violente martellate il piede della bestia che dovette darsi per vinta e chiedere pietà. Il santo maniscalco allora come contropartita della liberazione strappò al maligno la promessa di non entrare mai più in un luogo dove ci fosse un ferro di cavallo. Ancora oggi il ferro di cavallo è ritenuto un portafortuna, specialmente se trovato in un sentiero con i chiodi ancora infissi. Anche un chiodo portato in tasca ha funzioni scaramantiche come il ferro. Un suggerimento a quelli che fissano il ferro di cavallo alla porta: fate attenzione che sia inchiodato con i due bracci verso l’alto e fissato con un numero dispari di chiodi, i quali devono solo reggerlo e non passare per i buchi che lo fissano allo zoccolo del cavallo. I chiodi devono essere arrugginiti».
Elenco delle cose che portano fortuna da La Jella (come evitarla e propiziarsi la fortuna) di Dario Spada: vedere una suora col cappellone, incontrare un gobbo, trovare per strada una scarpa vecchia, vedere un maialino, pestare escrementi, imbattersi in un funerale, ecc.
Secondo gli americani, un presidente eletto in un anno bisestile che termina con il numero zero è destinato a morire prima della fine del suo mandato. Sono morti ancora in carica: William Harrison (eletto nel 1840), Abraham Lincoln (1860), James Garfield (1880), William McKinley (1900), Warren Harding (1920), Franklin Roosevelt (1940), John Kennedy (1960).
La società di telefonia mobile bulgara Mobitel ha sospeso il numero di telefono 0888 888 888 dopo che tre persone che avevano questo numero sono morte in soli 10 anni. Il primo è stato Vladimir Grashnov, l’ex amministratore delegato della società, Il numero è stato successivamente dato al signore della droga Konstantin Dimitrov, ucciso in Olanda, e infine a un suo sodale: il trafficante di droga, Konstantin Dishliev, assassinato nel 2005.
Wanda Osiris, convinta che il viola le portasse sfortuna, si faceva confezionare mazzi di violette di altri colori.
«Prima di cantare, ovunque sono, attacco il chewing-gum all’asta del microfono, è un rito. […] Deve stare attaccata. Sennò porta sfiga. Sono decenni che lo faccio: da quando ho iniziato a fare rock&roll di brutto, negli anni Settanta» (Patty Pravo).
Secondo alcuni storici, Carlo V abdicò e si ritirò nel monastero di San Giusto perché impaurito dal passaggio della cometa del 1556 (che da allora porta il suo nome).
Antico rituale per scongiurare la sfortuna: toccarsi il testicolo sinistro con la mano destra, strappare alcuni peli del pube, recitando ad alta voce: «Terque, quaterque, testiculis tacti, extirpatio pili, non est praegiuditium, sed contra jectatura valet!» ("Tre o quattro volte, toccarsi i testicoli, strappare i peli, non è un pregiudizio, ma vale contro la jettatura!").
Secondo un racconto di Benjamin Constant, Napoleone Bonaparte, rotto lo specchio appeso sopra il ritratto della moglie, non ebbe pace fino al rientro del corriere che aveva spedito in Francia per assicurarsi che Giuseppina stesse bene.
Secondo una superstizione diffusa nel Nord d’Italia, il primo degli sposi che spegne la luce, durante la prima notte di nozze, sarà anche il primo dei due a morire (per evitare il cattivo presagio, i coniugi la spengono insieme). Anticamente, quando si usavano ancora lumi e candele, si aspettava che si spegnessero da soli e si andava a letto al buio.
Spiegazione scientifica di alcuni eventi comunemente attribuiti alla jella (da Focus).
1. Quando siamo in ritardo tutti i semafori sono rossi. «Supponiamo che lungo il percorso ci siano sei semafori: la probabilità di trovarli tutti verdi è molto bassa, la stessa che esca 6 volte "testa" in sei lanci di una monetina, e cioè 1 su 64, secondo le teorie della probabilità. A peggiorare le cose c’è poi anche un fattore psicologico noto come "memoria selettiva": quando siamo di fretta, preoccupati o ansiosi tendiamo a vedere tutto in modo negativo, sopravvalutando gli eventi sfavorevoli. Così, se incontriamo tre semafori verdi su sei, evento statisticamente molto probabile, siamo poi capacissimi di dire che "tutti i semafori erano rossi"».
2. Quando siamo in colonna in auto veniamo superati da tutti, da destra e da sinistra. «Secondo uno studio pubblicato su Nature, è solo quando siamo fermi che notiamo le altre file e le auto che ci superano, facendo i dovuti paragoni. Quando invece è la nostra la fila più veloce, siamo impegnati a guidare e non guardiamo le auto "lente" che abbiamo superato. C’è poi un altro aspetto: su due code di uguale lunghezza, una veloce e una lenta, le auto nella seconda saranno sempre in maggior numero rispetto alla prima, in quanto è proprio l’eccesso di veicoli a rallentare la viabilità».
3. L’erba del vicino è sempre più verde. «Lewis Dartnell (University College of London) ha dedicato alla questione uno studio scientifico e ha scoperto che c’è un fondamento fisico: considerate le caratteristiche di un prato qualunque, la densità media dell’erba, l’altezza di una persona e dei suoi occhi... be’, solo da una distanza ravvicinata ci si può accorgere della presenza di zone senza erba. Da lontano tutto appare uniforme, e il prato del vicino più bello».
«Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male» (Eduardo De Filippo).