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 2016  marzo 30 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - SI INSEDIA IL GOVERNO IN LIBIA


LASTAMPA.IT
I membri del Consiglio di presidenza del governo di riconciliazione nazionale libico ed il premier designato Fayyez al Serraj sono arrivati oggi a Tripoli via mare, sbarcando nella base militare navale Abu Seta, che si trova poco fuori la città. Lo ha annunciato l’emittente televisiva «al Arabiya». I componenti dell’esecutivo - tranne i due membri che da tempo si sono autosospesi, ovvero i rappresentanti di Brega, Ali al Qatarani e Omar al Aswad - erano partiti da Tunisi a bordo di alcune imbarcazioni. Secondo fonti locali, l’arrivo via mare sarebbe stato deciso dopo un fallito tentativo di raggiungere la città via aerea tramite l’aeroporto di Mitiga all’alba di oggi, quando sono stati sentite diverse esplosioni nella zona provenienti dai colpi di artiglieria anti-aerea sparati dalle milizie legate al governo non riconosciuto di Khalifa Ghweil. Il premier del governo libico di riconciliazione nazionale, Fayez al Serraj, ha affermato che il suo esecutivo «lavorerà per unire i libici e ridurre le sofferenze del popolo sia sotto il profilo della sicurezza che economico».



Il colonnello Abdel Rahman al Tawil, capo della commissione sicurezza del Consiglio di presidenza del governo di riconciliazione nazionale della Libia, ha assicurato che «nessuna forza straniera ha partecipato all’operazione condotta oggi di rientro a Tripoli dei membri dell’esecutivo». Intervistato dall’emittente televisiva libica «al Libya», l’ufficiale ha spiegato che «al momento la sede del nuovo governo sarà la base navale di Tripoli, in attesa di trovare un’altra soluzione. Le forze della Marina libica sono riuscite a condurre a termine questa operazione con successo e ora ci coordiniamo con le altre milizie che ci sostengono per organizzare un apparato di difesa».



Il colonnello ha aggiunto di «aver tentato di far arrivare i membri del governo via aerea più volte, ma abbiamo trovato una serie di ostacoli posti da Khalifa Ghweil e da Nuri Abu Sahimin». In precedenza fonti dello Stato maggiore del ministero della Difesa italiano hanno smentito categoricamente le indiscrezioni apparse sui social network secondo cui navi della Marina militare italiana avrebbero favorito oggi l’arrivo via mare a Tripoli dei membri del Consiglio di presidenza libico.



In Libia sono ormai attive tre compagini governative: due con sede a Tobruk e Tripoli non ufficialmente riconosciute dall’Onu come legittime rappresentati del popolo libico, più il governo guidato da al Serraj che invece gode del sostegno delle Nazioni Unite ma che per il momento si riunisce a Tunisi in attesa di potersi insediare nella capitale libica.



Da parte sua, il Consiglio di presidenza libico ha accusato il cosiddetto governo di salvezza nazionale con sede a Tripoli di aver chiuso lo scalo aereo di Mitiga con il preciso intento di impedire ad al Serraj di iniziare i lavori. Il Consiglio di presidenza è stato costituito ufficialmente il 17 dicembre scorso a Shkirat, in Marocco, grazie a un accordo tra i deputati della Camera dei rappresentanti di Tobruk, del Congresso generale nazionale Tripoli e dei membri della società civile libica. Tuttavia, la lista dei ministri del futuro governo di riconciliazione nazionale, redatta proprio dal Consiglio di presidenza, non ha ancora incassato il sostegno del parlamento libico riconosciuto dalla comunità internazionale. È stata infatti rinviata ieri per l’ennesima volta per mancanza del numero legale la seduta del parlamento libico di Tobruk, l’unico riconosciuto al livello internazionale, convocata per discutere del voto di fiducia al governo di riconciliazione.

REPUBBLICA.IT

TRIPOLI - Il Consiglio presidenziale libico ha "assunto i pieni poteri a Tripoli". Lo ha annunciato dalla capitale libica il capo del Consiglio presidenziale Fayez al-Serraj.
L’arrivo via mare. I membri del Consiglio di presidenza del governo di riconciliazione nazionale libico ed il premier designato Fayyez al Serraj erano arrivati a Tripoli via mare, a bordo di forze navali libiche, sbarcando nella base militare navale Abu Seta, che si trova poco fuori la città. I membri dell’esecutivo - tranne i due membri che da tempo si sono autosospesi, ovvero i rappresentanti di Brega, Ali al Qatarani e Omar al Aswad - erano partiti da Tunisi a bordo di alcune imbarcazioni. Il colonnello Abdel Rahman al Tawil, capo della commissione sicurezza del Consiglio di presidenza del governo di riconciliazione nazionale della Libia, ha assicurato che "nessuna forza straniera ha partecipato all’operazione condotta oggi di rientro a Tripoli dei membri dell’esecutivo. Al momento la sede del nuovo governo sarà la base navale di Tripoli, in attesa di trovare un’altra soluzione".
L’arrivo di Serraj a Tripoli è stato accolto con grande soddisfazione dalla comunità internazionale. A cominciare dall’inviato dell’Onu, Martin Kobler, che ha sottolineato come si tratti di "un passaggio importante nella transizione democratica libica, sulla strada della pace, della sicurezza e della prosperità" e come sia "urgente un pacifico e ordinato passaggio dei poteri" al governo di unità nazionale libico.
"Ci auguriamo che il governo Serraj possa ora lavorare nell’interesse della Libia e del popolo libico", ha commentato il presidente del Consiglio Matteo Renzi dagli Stati Uniti dove è in visita. Parole che riecheggiano quelle pronunciate poco prima dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: "E’ un altro passo avanti per la stabilizzazione della Libia. Sulla base della determinazione del premier Serraj e del Consiglio presidenziale sono ora possibili nuovi progressi per il popolo libico. L’Italia è stata sempre in prima linea con numerose iniziative diplomatiche per l’obiettivo della stabilizzazione della Libia".
Il premier: "Al lavoro per unire i libici". Il premier al Serraj, una volta giunto nel porto di Tripoli, ha affermato che il suo esecutivo "lavorerà per unire i libici e ridurre le sofferenze del popolo sia sotto il profilo della sicurezza che economico". "È giunto il momento - ha detto - di lavorare come libici per la Libia, voltando pagina rispetto a ieri e guardando al futuro con uno spirito di tolleranza e di fiducia in Allah, perchè la vendetta e l’odio non costruiscono niente".
L’arrivo preceduto da esplosioni. Il colonnello Abdel Rahman al Tawil ha spiegato di "aver tentato di far arrivare i membri del governo via aerea più volte, ma abbiamo trovato una serie di ostacoli posti da Khalifa Ghweil e da Nuri Abu Sahimin". L’arrivo via mare sarebbe stato deciso dopo un fallito tentativo di raggiungere la città via aerea tramite l’aeroporto di Mitiga all’alba di oggi, quando sono stati sentite diverse esplosioni nella zona provenienti dai colpi di artiglieria anti-aerea sparati dalle milizie legate al governo non riconosciuto di Khalifa Ghweil.
Il problema della sicurezza di Serraj. A difendere al Serraj e i componenti del suo governo dovrebbero essere gli uomini delle brigate 14 e 23, che andrebbero a formare insieme una forza armata a sostegno al nuovo esecutivo. Al momento il premier libico non può contare sull’appoggio dell’esercito libico fedele a Khalifa Haftar, che sta boicottando la nascita del governo sostenuto dall’Onu sia tramite i suoi deputati nel parlamento di Tobruk che attraverso due membri del Consiglio di presidenza di Brega, che si sono autosospesi dall’incarico. Allo stato attuale il Consiglio di presidenza può affidarsi a quelle milizie di Misurata e della Tripolitania che hanno deciso di sostenere l’accordo di riconciliazione nazionale firmato in Marocco.
Le tre compagini governative. In Libia sono ormai attive tre compagini governative: due con sede a Tobruk e Tripoli non ufficialmente riconosciute dall’Onu come legittime rappresentati del popolo libico, più il governo guidato da al Serraj che invece gode del sostegno delle Nazioni Unite ma che fino a quando non è arrivato a Tripoli si riuniva a Tunisi.
Ma a Tobruk non riconoscono il premier. Resta alta la tensione politica. Abdullah al-Thinni, leader dell’amministrazione libica di Tobruk, ha annunciato che cederà i poteri al governo di concordia nazionale di Fayez al-Serraj, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, solo se quest’ultimo riceverà l’approvazione della Camera dei Rappresentanti (che risiede a Tobruk). In un intervento a Bengasi, nella Libia orientale, al-Thinni è tornato sulla questione della legittimità del governo nato dalla mediazione delle Nazioni Unite sottolineando che la sua amministrazione "ignorerà qualsiasi governo che non venga legittimato dalla Camera dei Rappresentanti". Al-Thinni, citato dal sito di ’Libya Herald’, ha quindi dichiarato che non si farà influenzare dall’inviato Onu per la Libia, Martin Kobler, "né dalle potenze internazionali che cercano di imporre un governo nazionale".
La storia del governo Serraj. Il Consiglio di presidenza è stato costituito ufficialmente il 17 dicembre scorso a Shkirat, in Marocco, grazie a un accordo tra i deputati della Camera dei rappresentanti di Tobruk, del Congresso generale nazionale Tripoli e dei membri della società civile libica. Tuttavia, la lista dei ministri del futuro governo di riconciliazione nazionale, redatta proprio dal Consiglio di presidenza, non ha ancora incassato il sostegno del parlamento libico riconosciuto dalla comunità internazionale. È stata infatti rinviata ieri per l’ennesima volta per mancanza del numero legale la seduta del parlamento libico di Tobruk, l’unico riconosciuto al livello internazionale, convocata per discutere del voto di fiducia al governo di riconciliazione.
I nodi irrisolti. Sono saliti a sei i tentativi di votare la fiducia al nuovo governo del premier Serraj falliti per il boicottaggio dei deputati legati al generale Khalifa Haftar, ministro della Difesa dell’entità governativa libica attiva nella Cirenaica e capo di stato maggiore dell’Esercito libico. Oltre 100 parlamentari libici hanno firmato un documento nel quale si sono detti pronti a votare la fiducia al nuovo esecutivo qualora ve ne fosse la possibilità. I politici libici seguaci del generale Haftar, invece, non accettano alcuni nomi del nuovo governo di riconciliazione nazionale perchè considerati troppo vicini ai Fratelli musulmani. Molto dubbi
vi sono anche sull’assegnazione del ministero della Difesa a Mahdi al Barghuthi, colonnello dell’Esercito libico considerato un possibile nuovo Haftar. Altri ancora, invece, ritengono che alcuni ministri siano collusi con il passato regime gheddafiano.

REPUBBLICA.IT
Secondo Karim Mazran, Resident Senior Fellow al Rafik Hariri Center per il Medio Oriente all’Atlantic Council di Washington dopo lo sbarco a Tripoli dei membri del consiglio di presidenza del governo di riconciliazione nazionale libico e del premier Fayyez al Serraj il nodo è "quanto gli occidentali si spingeranno, come proteggeranno il primo ministro, come creeranno un network di consenso". E "l’escamotage di arrivare via nave perché in aereo non era possibile non lascia presagire un gran successo". Perdipiù in un Paese frammentato dove allenze e ostilità per Fayyez variano ogni giorno tra Fratellanza musulmana, capi islamisti e Misurata. Certo: "una volta insediato a Tripoli il suo governo ha tutta la legittimità di chiedere un intervento di sostegno militare e protezione". Il professore ha la famiglia a Tripoli e assicura: "La gente non ce la fa più, è favorevole a qualsiasi intervento dia più sicurezza. Ma è anche preoccupata per la possibilità di una reazione violenta a questo sbarco. Le bande ostili si adegueranno e saliranno sul carro del vincitore?".

LORENZO CREMONESI PER CORRIERE.IT


[Esplora il significato del termine: Alla fine non sono arrivati dalla Tunisia in Libia con un aereo ma in battello. Sono ancora confusi i particolari sulle modalità del viaggio del gabinetto di unità nazionale libico guidato dal premier Faiez Serraj. Voci non confermate e riportate dai media locali raccontano di più barche battenti bandiera libica (per alcuni tunisina) partite dai dintorni della città tunisina di Sfax e approdate ai moli di una vecchia base militare nelle vicinanze di Tripoli verso mezzogiorno. shadow carousel Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Il nuovo governo libico arriva a Tripoli Prev Next I tentativi falliti Pare vi fossero alcuni battelli militari stranieri a scortare il convoglio, ma la notizia va confermata. Il dato sostanziale è che comunque, dopo infiniti rinvii, tensioni e incertezze, il gabinetto di unità nazionale, costituito in un lungo anno di negoziati grazie all’apporto determinante dei mediatori delle Nazioni Unite con il sostegno europeo (l’Italia in testa), è infine insediato nella capitale libica. Va sottolineato che le tensioni e le difficoltà restano immense. A piccole manifestazioni di gioia in sostegno del nuovo premier si contrappone l’ostilità dei politici e delle milizie contrarie. Almeno quattro membri del nuovo gabinetto erano arrivati a Tripoli e Misurata la settimana scorsa per preparare il terreno. Tuttavia l’opposizione del governo locale nella capitale, capeggiato dal premier Khalifa Ghwell, resta dura e determinata a resistere. Domenica sera il volo di linea in arrivo dalla Tunisia con a bordo Serraj era dovuto rientrare allo scalo di partenza a causa dello schieramento di milizie determinate a impedirne l’atterraggio allo scalo tripolino di Mitiga. Conferenza stampa Nelle prossime ore Serraj dovrebbe tenere una conferenza stampa da Tripoli. Ma la situazione in città è tesa. Miliziani armati di Misurata, che si sono schierati al suo fianco, pattugliano le strade con il colpo in canna.] Alla fine non sono arrivati dalla Tunisia in Libia con un aereo ma in battello. Sono ancora confusi i particolari sulle modalità del viaggio del gabinetto di unità nazionale libico guidato dal premier Faiez Serraj. Voci non confermate e riportate dai media locali raccontano di più barche battenti bandiera libica (per alcuni tunisina) partite dai dintorni della città tunisina di Sfax e approdate ai moli di una vecchia base militare nelle vicinanze di Tripoli verso mezzogiorno.
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I tentativi falliti

Pare vi fossero alcuni battelli militari stranieri a scortare il convoglio, ma la notizia va confermata. Il dato sostanziale è che comunque, dopo infiniti rinvii, tensioni e incertezze, il gabinetto di unità nazionale, costituito in un lungo anno di negoziati grazie all’apporto determinante dei mediatori delle Nazioni Unite con il sostegno europeo (l’Italia in testa), è infine insediato nella capitale libica. Va sottolineato che le tensioni e le difficoltà restano immense. A piccole manifestazioni di gioia in sostegno del nuovo premier si contrappone l’ostilità dei politici e delle milizie contrarie. Almeno quattro membri del nuovo gabinetto erano arrivati a Tripoli e Misurata la settimana scorsa per preparare il terreno. Tuttavia l’opposizione del governo locale nella capitale, capeggiato dal premier Khalifa Ghwell, resta dura e determinata a resistere. Domenica sera il volo di linea in arrivo dalla Tunisia con a bordo Serraj era dovuto rientrare allo scalo di partenza a causa dello schieramento di milizie determinate a impedirne l’atterraggio allo scalo tripolino di Mitiga.

Conferenza stampa

Nelle prossime ore Serraj dovrebbe tenere una conferenza stampa da Tripoli. Ma la situazione in città è tesa. Miliziani armati di Misurata, che si sono schierati al suo fianco, pattugliano le strade con il colpo in canna.

MARTA SERAFINI CDS
[Esplora il significato del termine: I membri del Consiglio presidenziale libico sostenuto dall’Onu sono sbarcati a Tripoli. Sette persone, tra cui Fayez Serraj, capo del Consiglio e primo ministro del governo di unità libico, sono arrivati via mare dalla Tunisia presso la base navale di di Abu-Seta, a Tripoli. Le prime immagini, diffuse via Twitter, mostrano lo sbarco che sembra avvenuto senza incidenti. «È urgente un pacifico e ordinato passaggio dei poteri», ha dichiarato l’inviato dell’Onu, Martin Kobler. Tuttavia le tensioni restano alte nel Paese: il governo di Tobruk ha infatti detto che riconoscerà il nuovo esecutivo di unità solo se riceverà l’approvazione della Camera dei Rappresentanti (che risiede a Tobruk). Il capo dell’esecutivo di Tobruk ha anche detto che non si farà influenzare dall’inviato dell’Onu Martin Kobler o da altri Paesi esteri. Le esplosioni Il governo di Tripoli, che non è invece riconosciuto dalle Nazioni Unite, e i gruppi armati che lo sostengono avevano ammonito nei giorni scorsi l’esecutivo di unità nazionale a non mettere piede nella capitale. Inoltre avevano cercato di impedire l’arrivo di Serraj in tutti i modi, chiudendo lo spazio aereo più volte in diverse ore. I membri dell’esecutivo di unità nazionale - tranne i due che da tempo si sono autosospesi, ovvero i rappresentanti di Brega, Ali al Qatarani e Omar al Aswad - erano partiti da Tunisi a bordo di alcune imbarcazioni. Secondo fonti locali, l’arrivo via mare sarebbe stato deciso dopo un fallito tentativo di raggiungere la città via aerea tramite l’aeroporto di Mitiga all’alba, quando sono stati sentite diverse esplosioni nella zona provenienti dai colpi di artiglieria anti-aerea sparati dalle milizie legate al governo non riconosciuto di Khalifa Ghweil. shadow carousel Il nuovo governo libico arriva a Tripoli ] I membri del Consiglio presidenziale libico sostenuto dall’Onu sono sbarcati a Tripoli. Sette persone, tra cui Fayez Serraj, capo del Consiglio e primo ministro del governo di unità libico, sono arrivati via mare dalla Tunisia presso la base navale di di Abu-Seta, a Tripoli. Le prime immagini, diffuse via Twitter, mostrano lo sbarco che sembra avvenuto senza incidenti. «È urgente un pacifico e ordinato passaggio dei poteri», ha dichiarato l’inviato dell’Onu, Martin Kobler. Tuttavia le tensioni restano alte nel Paese: il governo di Tobruk ha infatti detto che riconoscerà il nuovo esecutivo di unità solo se riceverà l’approvazione della Camera dei Rappresentanti (che risiede a Tobruk). Il capo dell’esecutivo di Tobruk ha anche detto che non si farà influenzare dall’inviato dell’Onu Martin Kobler o da altri Paesi esteri.

Le esplosioni

Il governo di Tripoli, che non è invece riconosciuto dalle Nazioni Unite, e i gruppi armati che lo sostengono avevano ammonito nei giorni scorsi l’esecutivo di unità nazionale a non mettere piede nella capitale. Inoltre avevano cercato di impedire l’arrivo di Serraj in tutti i modi, chiudendo lo spazio aereo più volte in diverse ore.I membri dell’esecutivo di unità nazionale - tranne i due che da tempo si sono autosospesi, ovvero i rappresentanti di Brega, Ali al Qatarani e Omar al Aswad - erano partiti da Tunisi a bordo di alcune imbarcazioni. Secondo fonti locali, l’arrivo via mare sarebbe stato deciso dopo un fallito tentativo di raggiungere la città via aerea tramite l’aeroporto di Mitiga all’alba, quando sono stati sentite diverse esplosioni nella zona provenienti dai colpi di artiglieria anti-aerea sparati dalle milizie legate al governo non riconosciuto di Khalifa Ghweil.

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La smentita di Roma

Secondo Al Arabiya, il governo sarebbe arrivato a bordo di un’imbarcazione italiana. Altri testimoni ipotizzano che un’imbarcazione italiana abbia scortato l’arrivo di quella su cui erano presenti i membri del governo. Ma il portavoce di Serraj ha smentito questa ipotesi. Il colonnello Abdel Rahman al Tawil, capo della commissione sicurezza del Consiglio di presidenza del governo di riconciliazione nazionale della Libia, ha assicurato che «nessuna forza straniera ha partecipato all’operazione condotta oggi di rientro a Tripoli dei membri dell’esecutivo». Intervistato dall’emittente televisiva libica «al Libya», l’ufficiale ha spiegato che «al momento la sede del nuovo governo sarà la base navale di Tripoli, in attesa di trovare un’altra soluzione. Le forze della Marina libica sono riuscite a condurre a termine questa operazione con successo e ora ci coordiniamo con le altre milizie che ci sostengono per organizzare un apparato di difesa». Il colonnello ha aggiunto di «aver tentato di far arrivare i membri del governo via aerea più volte, ma abbiamo trovato una serie di ostacoli posti da Khalifa Ghweil e da Nuri Abu Sahimin». In precedenza fonti dello Stato maggiore del ministero della Difesa italiano hanno smentito categoricamente le indiscrezioni apparse sui social network secondo cui navi della Marina militare italiana avrebbero favorito l’arrivo.

DALLA STAMPA DI STAMATTINA
FABIO MARTINI

Renzi sa già tutto. Sa che Barack Obama vorrebbe chiudere in gloria una stagione presidenziale considerata neo-isolazionista, riconquistando Raqqa e stroncando l’Isis in Libia. E dunque il presidente del Consiglio sa che dopodomani a Washington, in occasione della conferenza sul nucleare, il pressing della Casa Bianca sull’Italia si intensificherà. Renzi sa bene che i francesi e soprattutto gli inglesi sono pronti ad appoggiare Obama in ogni sua istanza e dunque se, come pare, il presidente americano promuoverà a Washington un confronto a tema, le vie di «fuga» rischiano di farsi complicate. Anche perché nelle principali cancellerie della coalizione anti-Califfo si è diffusa la sensazione che l’Isis - in difficoltà in Siria e in Iraq - potrebbe intensificare sia l’attività terroristica in Europa, sia accelerare il «trasloco» verso Sirte. Nel complesso, si sarebbe aperta una «finestra» per assestare al Califfo colpi incisivi.
Ecco perché il presidente del Consiglio, prima di partire per gli Stati Uniti (oggi sarà a Chicago e domani a Boston), ha elaborato una «dottrina» libica che prevede una linea di resistenza all’intervento diretto, ma anche alcune subordinate dal dispiegarsi di reparti speciali fino all’uso dei Tornado, condizioni e disponibilità da esplicitare soltanto davanti ad un aggravarsi del teatro libico e nel caso in cui l’incontro di venerdì a Washington dovesse rivelarsi un assedio.
Matteo Renzi ha già fatto sapere agli sherpa americani che il governo italiano ritiene azzardato e sbagliato un intervento di terra; che è inimmaginabile il dispiegamento di migliaia di soldati: che «non è il tempo delle forzature» e comunque Roma resta contraria ad un intervento militare. Per il quale, eventualmente. serve un primo, indispensabile step: l’insediamento effettivo di un governo legittimo a Tripoli, pre-condizione ancora in alto mare, visto che l’esecutivo di unità nazionale guidato da Al Serraj si è autonominato, ma anche ieri non è riuscito a ricevere il voto di fiducia del Parlamento rappresentativo delle tante fazioni libiche e non riesce neppure a raggiungere Tripoli, dove l’attuale primo ministro dell’amministrazione della vecchia capitale ha dichiarato lo stato di emergenza per impedire l’insediamento del nuovo governo, che di fatto lo esautorerebbe. E infatti il messaggio di Renzi agli americani è che soltanto «sulla base della richiesta di un governo legittimato, potremmo valutare un impegno, che avrebbe necessità di tutti i passaggi parlamentari».
E qui si apre il varco italiano, che per effetto del pressing di Obama, potrebbe allargarsi. Davanti ad una esplicita richiesta libica e per dare seguito alla solenne richiesta (avanzata all’assemblea generale dell’Onu a settembre), di una «leadership italiana in Libia», il governo è disposto a dispiegare unità speciali all’interno delle quali troverebbero spazio - con modalità da valutare - le eccellenze militari italiane: Tornado e reparti speciali di piccole dimensioni ma di forte impatto operativo. In altre parole, no agli scarponi nel deserto, sì a piccoli nuclei (10-15 unità per volta) capaci di operare bliltz mirati. E, come extrema ratio, sì anche all’utilizzo dei Tornado. Dunque, una decisione italiana non c’è, anche perché la situazione in Libia resta fluida. Da qualche giorno Serraj e il suo Consiglio Presidenziale sono attesi nella capitale per insediarsi, sospinti dal via libera dell’Onu, ma l’amministrazione di Tripoli ha dichiarato lo stato di emergenza per impedire l’insediamento del nuovo governo e sono iniziati i primi scontri, per ora dimostrativi.
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Dagli incursori ai Predator
L’Italia schiera le sue eccellenze
I nostri uomini possono attivarsi con un ordine di Palazzo Chigi

Francesco Grignetti

Basta intendersi sulle parole. Quando Matteo Renzi dice «No all’invasione della Libia, sì ad azioni mirate contro il terrorismo», e le medesime parole usano i ministri Paolo Gentiloni e Roberta Pinotti, non stanno facendo altro che annunciare l’inizio di una «guerra segreta» come la s’intende oggi e come permette peraltro l’ultima risoluzione Onu di dicembre. E cioè osservazione dall’alto con satelliti e droni, raid aerei, intelligence, operazioni di alta chirurgia con i commando. Un po’ quel che accadde qualche settimana fa a Sabratha.
Per questo tipo di guerra, non occorrono spiegamenti di truppe. Anzi. Servono però reparti ad altissima professionalità, che non mancano alle forze armate italiane. Abbiamo i Predator (due sono fissi in Kuwait) per l’osservazione diretta sul suolo libico. Cosa più importante, abbiamo ottimi piloti in remoto ed eccellenti analisti che sono in grado di «leggere» qualsiasi segnale grazie all’intreccio di segnali radar, infrarosso, visivi. Abbiamo anche un sistema di osservazione, il Cosmo-Skymed, quattro satelliti-spia che sono in grado di «vedere» oggetti di un metro di giorno come di notte. Infine l’Aeronautica ha cacciabombardieri ed equipaggi ben rodati.
Un primo drappello di cacciabombardieri leggeri Amx sono già stati spostati a Trapani e sono in grado di muoversi agilmente oltre il Mediterraneo. Nel caso occorresse un raddoppio, la portaerei Cavour è già davanti alle coste libiche. Si trova lì nell’ambito della missione «Mare Sicuro», che ha per l’appunto lo scopo di combattere il terrorismo. Nulla vieta che i piloti di marina con gli Harrier a decollo verticale, che sono a bordo del Cavour, siano dispiegati per azioni terrestri: è già successo in Afghanistan e nella Libia stessa soltanto pochi anni fa. Se poi fosse necessario, i vecchi ma ancora efficienti Tornado potrebbero essere spostati in Sicilia dalla base di Ghedi.
C’è poi l’aspetto più delicato: gli uomini che dovrebbero mettere piede a terra. Le forze armate hanno predisposto da tempo, su modello Nato, un Comando unificato delle forze speciali che sovrintende agli incursori del 9° battaglione Col Moschin e del 185° reggimento Ricognizione Acquisizione obiettivi (Esercito), del Comsubin (Marina) e del Gis (Carabinieri). Questi reparti d’eccellenza - poche centinaia di uomini in tutto - sono il meglio delle nostre forze armate e vengono utilizzati con parsimonia. Piccole aliquote di forze speciali sono a Herat, in Afghanistan; a Erbil, in Iraq; in Libano. Prossimamente saranno chiamati a uno sforzo maggiore in Iraq, quando la Difesa prenderà in carico la protezione del cantiere della diga di Mosul.
Sono loro, gli incursori, i destinatari di quel provvedimento di legge del dicembre scorso che li ha trasferiti dalla Difesa sotto l’ombrello giuridico dell’intelligence. E a partire da febbraio, dopo che il premier ha firmato il cosiddetto «decreto d’attivazione», con esplicito riferimento alla Libia, gli operatori delle forze speciali sono utilizzabili in qualsiasi istante e senza necessità di un voto parlamentare. Le operazioni «coperte» sono la loro specialità, ossia muoversi in territorio ostile, coordinandosi con altre forze speciali e con milizie locali, infiltrandosi in profondità. Basterà un ordine di palazzo Chigi, ovviamente in concorso con la Difesa.
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giordano stabile
Giubbotti con la cerniera lampo, camicie a quadrettoni, berretti da baseball e scarpe da trekking. E al collo i fucili mitragliatori M16. Si muovono così, in abiti civili, le forze speciali americane in Libia. Missioni segrete. Tranne una. Quella di un contingente arrivato alla base aerea di Wattiya, a metà strada fra Tripoli e Sabrata.
Era il 17 dicembre scorso: gli americani stavano studiando le mosse dell’Isis nella Libia occidentale. Ma la voglia di protagonismo dei colleghi dell’aviazione libica li ha «bruciati»: è finita su Facebook una loro foto di gruppo. Il contingente ha dovuto ripiegare su Pantelleria. La missione però è andata avanti. Fino al raid che il 19 febbraio che ha permesso di distruggere il più importante campo di addestramento al confine con la Tunisia.
L’ultimo di una serie di colpi. È dall’ottobre del 2013, quando in un blitz lanciato da una nave militare è stato catturato il leader di Al Qaeda Anas al-Libi, che gli Stati Uniti contengono gli islamisti in Libia. Nel giugno del 2014 è stato preso Ahmed Abu Khattala, responsabile dell’assalto al consolato Usa dell’11 settembre 2012, in cui venne ucciso l’ambasciatore Chris Stevens. Nel giugno 2015 un raid su Ajdabiya ha mancato per un soffio il super ricercato Mokhtar Belmokhtar, all’epoca alleato dell’Isis. E il 13 novembre 2015 un altro raid vicino a Derna ha eliminato Abu Nabil, emiro del Califfato in Libia.
Colpi che hanno almeno rallentato l’ascesa dello Stato islamico, in attesa di una soluzione politica. Che però è lontana. Il premier di Tripoli Khalifa Ghwell ha ribadito ieri il suo no all’ingresso nella capitale del governo di unità nazionale nato dalla mediazione del’Onu, il Gna guidato da Fayez al-Sarraj. E a Tobruk è mancato per l’ennesima volta il quorum al Parlamento per la fiducia allo stesso Gna, ancora «in esilio» a Tunisi. Un giochino che va avanti da dicembre perché neppure il generale Khalifa Haftar, uomo forte dell’Est appoggiato dagli egiziani, vuole Al-Serraj fra i piedi.
Senza il Gna in carica, però, non può essere lanciata una missione internazionale. E allora continua la guerra segreta. Con due aspetti. Missioni di ricognizione per individuare i bersagli e fornire le coordinate per i raid ai droni che partono da Sigonella e ai cacciabombardieri sulle portaerei. Lavoro di «diplomazia» per stringere alleanze con milizie locali, fra «strette di mano e scambi di biglietti da visita» come ha rivelato un ufficiale al «Washington Post».
Gli Stati Uniti hanno anche cercato un accordo con i governi di Mali, Niger e Ciad per stabilire una base per droni al confine con la Libia, più vicina agli obiettivi. Ma nessuna intesa è stata ancora siglata. Le forze speciali hanno trovato allora un punto di appoggio nella base francese nel Nord del Niger. Reparti speciali francesi sono stati avvistati anche all’aeroporto Benina, a Bengasi.
Per Mohamed Eljarh, analista dell’Atlantic Council a Tobruk, il loro compito principale è di «consiglieri militari». Le Sas britanniche a Misurata, più vicina alla roccaforte dell’Isis Sirte, sono invece direttamente impegnate in «operazioni letali» contro gli islamisti. Un altro gruppo opera dalla base Gamal Abdel Nasser, a sud di Tobruk. E, oltre ai droni e agli aerei spia americani, un aereo Sentinel britannico, con base a Cipro, sorveglia i movimenti dell’Isis che «continua a ricevere rifornimenti via mare».