Miriam Berger, Mente&Cervello 4/2016, 30 marzo 2016
I SOLDI FANNO LA FELICITÀ?
Ancora una volta l’Italia si è classificata solo cinquantesima. Parliamo del World Happiness Report 2015 dell’ONU, per il quale ogni anno gli scienziati misurano, in base a campioni rappresentativi, quanto siano felici gli abitanti dei vari paesi del mondo. Stavolta al primo posto si è classificata la Svizzera. E noi, come già detto e nonostante qualche timido segnale di ripresa economica, ci ritroviamo soltanto in cinquantesima posizione.
Il denaro da solo non garantirebbe la felicità, come insegna la saggezza popolare: è la conclusione cui arriva anche Jeffrey Sachs, della Columbia University di New York, tra gli autori dell’Happiness Report. In fondo è un’affermazione banale: nessuno mette davvero in dubbio che per una vita felice ci voglia qualcosa in più del solo denaro, per esempio godere di buona salute, avere degli obiettivi e integrarsi nel proprio ambiente.
La frase di cui sopra diventa controversa se si toglie il «solo»: il denaro non fa la felicità. Da un lato, gli studi da tempo dimostrano che oltre un reddito annuo di circa 70.000 dollari statunitensi non esiste un rapporto rilevante tra guadagni e felicità. Anche sotto questa soglia, come scoperto dal premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman, della Princeton University, più soldi come minimo non aumentano la cosiddetta moment to moment happiness, ossia il vivere singoli momenti di felicità. D’altra parte, però, Kahneman e altri ricercatori hanno dimostrato che il benessere materiale effettivamente dà un certo contributo al senso di soddisfazione complessiva nei confronti della propria vita.
Lo psicologo Kostadin Kushlev, dell’Università della British Columbia, in Canada, ha cercato di capire insieme ai colleghi in che misura il reddito riesce, se non a rendere una persona più felice, almeno a evitarle l’infelicità. D’altronde la mancanza di felicità non equivale alla tristezza e viceversa. Kushlev e colleghi hanno intervistato oltre 12.000 persone: come avevano vissuto il giorno precedente? A quali attività si erano dedicate? Come si erano sentite?
Come previsto, il reddito degli intervistati non aveva alcun legame con il livello medio di felicità. Eppure i partecipanti più ricchi effettivamente riferivano un minor numero di momenti di infelicità. Si può ipotizzare una spiegazione: per il proprietario benestante di una casa un buco nel tetto è sì una scocciatura, ma che si può risolvere facilmente. Per chi invece deve fare i conti con ogni centesimo, la necessaria riparazione è un problema più grave. In altre parole, il denaro ci offre il controllo sulle sfide della vita, riducendo le preoccupazioni. Il critico letterario Marcel Reich-Ranicki ha espresso così questo concetto: «Il denaro da solo non fa la felicità, ma è meglio piangere su un taxi che su un tram».
Disprezzo imprudente
L’aspirazione a benessere e ricchezza domina la vita di molte persone. Jörg Zeyringer, studioso di psicologia della motivazione, ha condotto diverse ricerche sulla forza di questo stimolo. «I soldi aprono possibilità», spiega. «Più ne ho, più sono in grado di organizzare la mia vita secondo le mie aspettative». Trova imprudente affermare che il denaro non sia poi tanto importante: «Se i soldi davvero non avessero importanza, il fatto che alcuni abbiano poco e altri invece siano milionari non interesserebbe a nessuno».
Alcuni studi confermano che il riconoscimento finanziario può cambiare nettamente la nostra valutazione di ciò che facciamo. In un esperimento, Alicia Grandey, della Pennsylvania State University, ha ricreato una classica situazione di lavoro: i partecipanti dovevano chiamare alcuni studenti per fare sì che contribuissero a un certo numero di esperimenti. Si trattava di essere il più gentili e convincenti possibile. Coloro cui erano stati promessi 5 dollari valutavano la propria attività in modo molto più positivo rispetto a quelli senza una prospettiva di guadagno.
Il denaro non è solo un mezzo per raggiungere dei fini: per molti è un obiettivo di per sé, e già solo pensarci può provocare sensazioni di passione. «I soldi, proprio come un buon pasto o il sesso, attivano nel cervello il centro della ricompensa, che lo vogliamo o no», continua Zeyringer. Forse è per questo che nelle questioni finanziarie non sempre ci comportiamo con razionalità. Secondo il neurologo Klaus Fließbach e i suoi colleghi dell’Università di Bonn, una vincita di denaro può essere percepita in modo analogo a un orgasmo, o almeno a un complimento. Per il loro studio i ricercatori hanno sottoposto a scansione cerebrale ogni volta due soggetti, l’uno accanto all’altro. I due dovevano valutare il numero dei punti su un monitor e per ogni risposta giusta ricevevano un premio in denaro. La scansione cerebrale tramite risonanza magnetica funzionale ha dimostrato che ogni vincita era accompagnata da una maggiore attività nello striato ventrale, cruciale nel circuito della ricompensa.
Guadagnare più degli altri
Per i partecipanti la situazione era ancora più piacevole quando non solo ricevevano denaro, ma credevano (erroneamente) che l’altro partecipante fosse rimasto a mani vuote. I ricercatori hanno dunque concluso che «il denaro ha soprattutto una funzione sociale di confronto». Che sia questo il motivo per cui, negli ultimi cinquant’anni, gli abitanti dei paesi più industrializzati sono sì diventati più ricchi, ma non necessariamente più felici?
«L’influenza del reddito sul benessere non è assoluta, è relativa», sostiene il sociologo Glenn Firebaugh. Per uno studio pubblicato nel 2010, insieme con la collega Laura Tach, ha analizzato i dati di circa 23.000 statunitensi adulti, raccolti tra il 1972 e il 2002. Il risultato: mediamente le persone ricche erano più soddisfatte di quelle povere, ma le più felici erano quelle che guadagnavano di più rispetto a colleghi coetanei, parenti o amici.
Nel corso di un esperimento, inoltre, Firebaugh e Tach hanno chiesto ai partecipanti di scegliere tra due opzioni. Si prospettava loro uno stipendio annuale di 60.000 dollari, a fronte di soli 50.000 per un collega con le stesse mansioni. Oppure potevano scegliere di guadagnare 80.000 dollari, contro i 90.000 del collega. Sebbene la seconda proposta fosse più redditizia, la maggioranza degli intervistati ha scelto la prima. Quindi guadagnare più degli altri è più importante che ricevere un ottimo stipendio.
Può darsi che questo effetto rafforzi il fenomeno dell’«adattamento edonistico». È vero che in genere i dipendenti guadagnano di più con l’aumento dell’anzianità di servizio, ma non per questo diventano più felici: si abituano in fretta al nuovo stipendio. E magari altri guadagnano ancora di più. «Ci confrontiamo con gli altri costantemente», spiega Zeyringer. «Per questo la motivazione a fare soldi è davvero inesauribile».
Forse in questo aspetto si nasconde un rischio di dipendenza. Secondo gli psicologi britannici Stephen Lea e Paul Webley, il denaro è una «droga cognitiva»: come gli stupefacenti, provoca un comportamento simile alla dipendenza. Ma alcune persone, spiega Zeyringer, sono più predisposte di altre. Per dirla con una battuta dello psicoanalista Martin Grassinger: «Il denaro non rovina il carattere, ma rende visibile un carattere rovinato».
Gli spiacevoli effetti collaterali dell’avidità provocano in molti un atteggiamento scettico nei confronti del denaro: dalle bolle speculative allo sfruttamento eccessivo della natura, fino alla corruzione nello sport, la voglia spasmodica di soldi sarebbe la causa di molti mali. Per non diventarne vittima, bisognerebbe occuparsi il meno possibile di questioni finanziarie.
In effetti, invece che diventare competenti e quindi capaci di agire, molti spesso delegano le decisioni finanziarie al proprio consulente di banca, a volte correndo qualche rischio. E anche chi non nuota nell’oro disprezza volentieri il denaro in quanto «sporco». È così ingiusto che altri abbiano tanto di più: insultare il denaro serve pur sempre ad alleviare il proprio disagio.
Rifiuto sociale
In vari esperimenti di laboratorio, in effetti, pensare al denaro ha portato i partecipanti ad agire in modo meno cooperativo, come ha dimostrato la psicologa sociale Kathleen Vohs, dell’Università del Minnesota, in uno studio pubblicato nel 2006. Chi prima era stato invitato a formulare frasi su argomenti finanziari, o aveva sotto gli occhi un pacco di soldi finti, successivamente di fronte a un compito difficile chiedeva aiuto più tardi.
Inoltre le stesse condizioni sperimentali hanno fatto sì che i soggetti fossero meno disposti a offrire aiuto: di fronte a un rompicapo aiutavano gli altri per la metà del tempo, e raccoglievano meno spesso le penne cadute «per sbaglio» a chi conduceva l’esperimento. Tendenzialmente facevano meno donazioni per beneficenza e lavoravano da soli anziché in gruppo. In altre parole: chi ha in mente il denaro si sente più indipendente e crede di non avere bisogno degli altri.
In uno studio successivo Vohs e colleghi si sono chiesti se il denaro possa fungere da «risorsa sociale». Poter contare su rapporti stretti con altre persone è essenziale per la nostra sopravvivenza. Forse i soldi potrebbero sostituirli: esagerando, si potrebbe dire che con il denaro gli amici non servono.
In laboratorio i soggetti di Vohs dovevano indicare con quali altri partecipanti avrebbero collaborato più volentieri. Poi si sentivano dire che nessuno li aveva scelti come partner e quindi avrebbero dovuto risolvere da sé il compito assegnato. Il rifiuto sociale aumentava il desiderio di denaro. Al contrario, chi doveva riferire come aveva speso i suoi soldi soffriva di più l’emarginazione da parte degli altri. Inoltre, pensare al denaro alleviava non solo la percezione del rifiuto, ma perfino il dolore fisico al momento di immergere una mano in un secchio di acqua calda.
Meglio essere generosi
Nel 2014 anche gli psicologi Jakub Wierzbicki e Anna Maria Zawadzka, dell’Università di Danzica, hanno dimostrato che basta pensare ai soldi per cambiare il comportamento sociale. I partecipanti alla loro ricerca dovevano, con una serie di parole prestabilite, formare frasi collegate al denaro (per esempio, «le banconote vanno nel portafogli») o a sistemi di pagamento astratti («ho perso la carta di credito»). Ai membri del terzo gruppo si richiedeva di formare frasi riguardanti la fede («ieri sono andato in chiesa») e a un gruppo di controllo frasi neutre, per esempio sulle condizioni meteo.
In seguito a tutti i partecipanti è stato chiesto se fossero disposti a impegnarsi in un progetto sociale e quanto tempo gli avrebbero dedicato. I soggetti che avevano riflettuto sul denaro – contante o virtuale che fosse – dimostravano meno interesse rispetto a tutti gli altri all’idea di fare un lavoro del genere. I più generosi erano invece i partecipanti «orientati» verso la fede.
A questo proposito facciamo un versamento sul nostro conto della felicità se usiamo i soldi per una buona causa o semplicemente per altre persone. Il nostro stato d’animo non dipende solo da quanto guadagniamo: è altrettanto importante il fine per cui spendiamo, spiegano Elizabeth Dunn e Michael Norton, dell’Università della British Columbia. I due psicologi hanno infatti scelto un titolo esplicativo per la loro ricerca del 2011: Se il denaro non ti rende felice, probabilmente non lo spendi bene.
I volontari hanno ricevuto 5 o 20 dollari, con l’obbligo di usarli il giorno stesso. Tuttavia solo metà di loro poteva spendere questa somma per sé: gli altri dovevano darla in beneficenza o prendere un regalo per qualcun altro. La sera stessa, i ricercatori hanno chiamalo i partecipanti, chiedendo che cosa avessero deciso e come si sentissero.
Esperienze invece di beni materiali
Un gruppo si era concesso un po’ di shopping o un caffè da Starbucks, mentre l’altro aveva preso un pupazzo per una nipote o aveva fatto una donazione ai senzatetto. Alcuni partecipanti del secondo gruppo erano andati a loro volta da Starbucks e avevano offerto un caffè a qualcuno. Alla sera i soggetti del secondo gruppo avevano in media un umore migliore rispetto a prima dell’esperimento, mentre tra quelli del primo gruppo non c’erano stati cambiamenti, che l’importo speso fosse di 5 o 20 dollari. Evidentemente il fattore decisivo non è quanto si spende: con una piccola somma si può fare del bene agli altri, e quindi anche a se stessi.
Da allora Dunn e Norton hanno eseguito numerosi studi che hanno confermato le loro scoperte in diversi paesi del mondo. E hanno anche indagato ulteriori modi in cui spendere soldi rende felici. Per esempio, concedersi molte piccole gioie invece che poche grandi e investire in esperienze invece che in beni materiali. Nel 2014 i due psicologi hanno presentato i risultati delle loro ricerche in un saggio intitolato Happy Money.
Il fatto che qualcuno preferisca le esperienze o i beni materiali dipende anche dal suo patrimonio, come ha riferito nel 2015 Stephanie Tully, della Stern School of Business di New York. Secondo la sua ricerca, le persone con scarsi mezzi finanziari preferiscono andare sul sicuro, investendo in beni concreti invece che in momenti fugaci. I partecipanti all’esperimento di Tully dovevano immaginare un oggetto e un’esperienza per cui avrebbero speso volentieri del denaro. Poi veniva detto loro che potevano permettersi solo uno dei due. Chi soggettivamente riteneva di non avere grandi mezzi finanziari tendeva a scegliere il bene materiale, che d’altronde si può sfruttare più a lungo.
Il bello delle piccole cose
È vero che le persone benestanti hanno più possibilità di spendere soldi. Ma quelle con mezzi più limitati possono procurarsi un vantaggio, imparando ad apprezzare il valore delle piccole cose, spiega Jordi Quoidbach, dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona.
In uno dei suoi studi, alcuni partecipanti venivano indotti a pensare al denaro quando, apparentemente per errore, compariva l’immagine di una banconota su uno schermo mentre compilavano un questionario; agli altri invece si presentava un’immagine neutra. Poi a tutti è stato offerto un pezzo di cioccolato. Gli osservatori hanno registrato quanto tempo impiegavano a mangiarlo e quanto lo gradivano. Il risultato: chi aveva in mente i soldi masticava il cioccolato in media per 13 secondi di meno, e lo trovava meno gustoso.
Se da un lato il denaro apre molte porte, dall’altro può darsi che renda più difficile apprezzare le piccole gioie quotidiane. Allora è meglio averne di meno? Troviamo la felicità in una vita semplice? «I soldi sono importanti, ma non devono essere al centro di tutto», dichiara Jörg Zeyringer. E avere un rapporto giusto con il denaro significa non demonizzarlo né adorarlo.
Nei paesi che secondo il World Happiness Report 2015 sono più infelici – Afghanistan, Siria e alcuni Stati africani – regnano tirannia, violenza e povertà. Da questo punto di vista bisognerebbe essere addirittura soddisfatti del cinquantesimo posto su 158 nazioni. Se gli italiani sono un po’ meno euforici rispetto agli abitanti di altri paesi industrializzati, un motivo potrebbe essere anche il divario relativamente grande tra i ricchi e i poveri all’interno del paese. Nel complesso, le persone più soddisfatte vivono invece in paesi dove il benessere è il più possibile condiviso tra molte persone, e questo anche se il denaro da solo – come ci ricorda la saggezza popolare – non fa la felicità.