Massimo Picozzi, Mente&Cervello 4/2016, 30 marzo 2016
DELITTI UN PO’ BESTIALI
Nella Bibbia sta scritto: «Se un bue colpisce a cornate un uomo o una donna causandone la morte, il bue sarà lapidato e la sua carne non verrà mangiata, ma il suo padrone sarà dichiarato innocente».
Fin qui, nulla di strano. Il fatto è che sul tema della coscienza, e quindi della responsabilità giuridica degli animali, teologi e giuristi del passato si sono scontrati con risultati contraddittori. E tra l’XI e il XVIII secolo, i tribunali hanno pronunciato centinaia di condanne contro animali che si erano macchiati di crimini, o erano complici di criminali.
Per esempio, nel 1386 il piccolo villaggio di Falaise, in Normandia, si trovò ad assistere a una bizzarra cerimonia. Vestita con pantaloni alle zampe posteriori, e guanti bianchi alle anteriori, una scrofa viene accompagnata al patibolo dal boia, vestito anch’egli di tutto punto come il suo ruolo richiede. Sul muso dell’animale è posta poi una maschera con fattezze umane. Potrebbe sembrare una carnevalata, ma la scrofa era stata in precedenza sottoposta a regolare processo davanti al signore locale. Colpevole d’avere aggredito e morso il braccio di un neonato, si era meritata una condanna a morte per impiccagione.
Non tutti ce l’avevano con le bestie. San Tommaso d’Aquino, per esempio, stabiliva che gli animali sono sprovvisti di ragione, non possono rispondere delle loro azioni e non si devono perseguire perché sarebbe blasfemo opporsi alle creature di Dio, in quanto questo significherebbe opporsi a Dio stesso; inoltre agire contro un animale sprovvisto di ragione è odioso e inutile e di conseguenza illecito. Prevedeva però un’eccezione nel caso gli animali fossero posseduti dal demonio, ma questa è un’altra storia.
Vale invece la pena fermarsi sulla vicenda del porco Claudon, dal nome del suo proprietario, e per raccontarla bisogna rammentare come il maiale abbia sempre vantato uno status privilegiato nelle società di un tempo. Il fatto che del roseo animale non si buttasse via nulla, ne portava una diffusione estrema, tanto nelle campagne che nelle città. Certo, lasciar giocare i bambini molto piccoli in mezzo a bestie voraci e onnivore, portava a rischi considerevoli, e il peggio capitò dalle parti di Nancy, nel 1572.
In terra consacrata, un maiale veniva colto sul fatto, mentre divorava un piccolo incustodito. Non toccava che incarcerarlo e portarlo a processo davanti a testimoni.
Con la condanna a morte, il tribunale stabiliva che il pagamento delle spese e il risarcimento dei danni toccasse al proprietario del colpevole. Purtroppo per il signor Claudon, poca soddisfazione gli toccava per essere al contempo padrone del porco e padre della vittima.
Negare la malattia
Nella storia dei processi agli animali, altra faccenda è la presenza o meno del maligno.
Un esempio tipico riguarda i lupi mannari, che per alcuni demonologi del XVI secolo erano uomini mascherati, e andavano perciò sterminati. Per altri i lupi mannari potevano nascere dall’accoppiamento di un uomo con una lupa, oppure di una donna con elfi, folletti e gnomi; non mancava chi sostenesse che dietro a tutto c’era un patto col diavolo, o una cintura magica ricevuta in dono da un demone femminile.
Comunque sia, le ondate di processi dell’Inquisizione contro gli eretici si sono spesso accompagnate a vere e proprie campagne di sterminio dei lupi.
Non c’è dubbio che delitti a sfondo sadico sessuale, anche di tipo seriale, siano sempre stati commessi, ed è altrettanto evidente come, nei secoli bui della caccia alle streghe, si sia preferito negare la malvagità e la psicopatia dell’uomo, attribuendola piuttosto all’influsso del demonio. Com’è successo nel caso di Gilles Garnier, giustiziato a Dole, in Francia, nel 1573.
Nato a Lione, e residente a Saint Bonnot, vicino alla cittadina di Amange, Garnier viene condotto innanzi alla Suprema Corte del Parlamento di Dole con una strana accusa. Ha aggredito numerosi bambini, li ha uccisi e ne ha mangiato la carne.
Ma lo ha fatto sotto forma di lupo.
Il primo delitto avviene, come registrato negli atti del processo, appena trascorsa la festa di San Michele. Garnier sorprende una ragazzina di circa dieci anni in una vigna a un quarto di lega da Dole: la strangola, le strappa i vestiti e le affonda i denti nella carne delle braccia e delle cosce. Non contento, porta via con sé parti della vittima che, giunto a casa, divide con Apolline, sua moglie.
La scena si ripete più volte, fino a quando Garnier viene sorpreso da alcuni passanti allarmati dalle grida di un ragazzino. Non riescono a salvarlo ma catturano Garnier, colto in flagrante omicidio. Quello che i passanti stringono è un uomo con sembianze da essere umano, che aveva al momento del delitto e che mantiene anche dopo naturalmente, ma per il tribunale lui è il loup garou di Dole, e tra il sollievo dei concittadini Gilles Garnier finisce tra le fiamme del rogo.
La cintura di Satana
Il caso più famoso di licantropia, però, è quello di Peter Stumpp, o Stubbe, passato alla storia come il «lupo mannaro di Bedburg», dalla cittadina tedesca teatro delle sue imprese. Se la sua storia è arrivata a noi è merito dell’occultista Montague Summer, che nel 1920 scopre l’unico resoconto del processo, una traduzione in lingua inglese pubblicata a Londra nel 1590.
Da 25 anni la Renania è terrorizzata da una serie di aggressioni che hanno come centro la cittadina di Bedburg. Prima piccoli animali, poi donne e bambini, uccisi e straziati a morsi. Un giorno, però, un passante vede una di queste aggressioni, la interrompe urlando e riconosce l’uomo che sta fuggendo. È un cittadino di Bedburg, un possidente terriero, un membro stimato della comunità.
Si chiama Peter Stubbe. Il processo a suo carico inizia nel 1589. Sotto la minaccia della tortura, Stubbe ammette di avere ucciso 14 bambini, compreso il proprio, di cui ha divorato il cervello, e di avere infierito su due donne gravide, senza alcuna pietà per i piccoli che portavano in grembo. Confessa anche di avere praticato la magia nera fino dall’età di 12 anni, frequentando regolarmente il diavolo. Che gli avrebbe fatto un regalo prezioso: una cintura che indossata lo trasforma all’istante in un lupo crudele e insaziabile. Un lupo mannaro.
Per quanto ottenuta con la tortura la confessione di Stubbe è così ricca di dettagli e il suo riconoscimento così certo che è molto probabile che sia realmente colpevole degli omicidi che gli vengono attribuiti. Tutto il resto appartiene alla convinzione della corte: la magia esiste, i patti col diavolo si tengono, i licantropi sono una realtà. Se della famosa cintura non c’è traccia vuol dire che chi l’ha donata se l’è ripresa, buona per servire in un’altra occasione.
La pubblica esecuzione di Peter Stubbe, il 31 ottobre del 1859, si rivela una delle più feroci della storia. Il boia comincia col metterlo alla ruota, dove inizia a strappargli le carni con pinze roventi da dieci parti del tronco e dell’addome, prima di passare alle braccia e alle gambe. Quindi gli frantuma le ossa, utilizzando la parte non tagliente di un’ascia, prima di decapitarlo e dare il corpo alle fiamme.
Per monito le autorità dispongono poi che sia eretto un palo, con appese la ruota della tortura e la sagoma di un lupo, mentre in cima, infilzata, viene collocata la testa del lupo mannaro.
Insetti sotto processo
Torniamo, per concludere, al tema sul rapporto tra animali e crimini, e all’apparato giudiziario che mettevano in moto: anche esseri minuscoli come bruchi e maggiolini correvano dei rischi. Quando una loro invasione minacciava i raccolti, subito si pensava a qualche fenomeno soprannaturale, e del problema venivano interessati il curato o l’abate, intermediari tra cose di terra e di cielo.
Il primo passaggio consisteva nella preghiera, nella penitenza e nelle offerte per placare la collera divina. Se non funzionava, si passava all’esorcismo per indurre il diavolo a ritirarsi. Ma se anche l’ultimo passaggio non rallentava la calamità, allora i poveri contadini assumevano un avvocato avanti a un giudice ecclesiastico, che a sua volta nominava un esperto che conducesse l’inchiesta. Dopo una serie di dibattimenti, non era strano che tutto si concludesse con un’ingiunzione agli insetti di lasciare la regione, pena la scomunica attraverso una manifestazione di grande impatto scenografico, e con ottimi risultati!
Si, perché l’intera trafila prendeva così tanti mesi che nel frattempo il mutare delle stagioni aveva risolto il problema.