Giovanna Faggionato, pagina99 26/3/2016, 26 marzo 2016
VIAGGIO NELLA VICENZA ORFANA DELLA SUA BANDA POPOLARE
L’industriale da 50 milioni di fatturato l’anno si dice molto preoccupato. I consiglieri comunali pure. Solo interpellando l’avvocato di coloro che nel gorgo della Banca Popolare di Vicenza (Bpvi) hanno perso i risparmi, le pensioni, le eredità dei genitori, i soldi pazientemente accantonati per acquistare la casa, le parole mutano. E la preoccupazione si trasforma in disperazione: «Li hanno derubati di tutto», dice il legale Renato Bertelle, presidente dell’Associazione nazionale azionisti di Bpvi.
Tra crollo del valore delle azioni, aumenti di capitale azzerati e perdite, il primo istituto di credito del Nord Est ha bruciato oltre 11 miliardi di capitale negli ultimi tre anni. Nel bilancio 2015 sono iscritte perdite nella raccolta per 8 miliardi di euro e 355 milioni di crediti deteriorati.
Secondo quanto è emerso dalle ispezioni della Bce e della indagini della Guardia di finanza, per anni la banca avrebbe gonfiato artificialmente la sua patrimonializzazione, prestando denaro e investendo fino a 974 milioni per acquistare i propri stessi titoli. Questo almeno fino alla fine del 2014.
Ad aprile del 2015, le azioni lievitate fino a 62,5 euro sono state svalutate del 23% e poi ancora e ancora: oggi potrebbero valere appena un euro. E allo stesso ritmo con cui il capitale si volatilizzava, crollava la fiducia dei correntisti.
«Se ci fosse una legge per le zone disastrate, ma finanziariamente, dovrebbe applicarsi soprattutto qui», dice Gianni Giglioli, ex assessore alle Partecipate di Vicenza. Qui sta per la terza provincia per tasso di industrializzazione in Italia, quarantamila imprese manifatturiere, un’azienda ogni 10 abitanti, l’export pro capite pari a tre volte la media italiana. Dal distretto della meccanica e della meccatronica al primo dell’industria conciaria a livello nazionale. E poi l’oro e l’abbigliamento e ovviamente il vino, quello con cui Gianni Zonin, l’imprenditore del prosecco e dominus della Bpvi per vent’anni, ha ubriacato tutti, convincendoli di essere in grado di moltiplicare la ricchezza mentre la dilapidava.
«Siamo di fronte a un depauperamento di cui ancora non percepiamo correttamente le dimensioni», osserva Gian Carlo Ferretto, già presidente di Confindustria Veneto e socio dell’associazione Futuro 150, la cordata di imprenditori locali pronta a salire fino all’8% del capitale nell’imminente quotazione in Borsa. Liquidare la Popolare solo con il malaffare sarebbe profondamente ingiusto, aggiunge, «è stata il volano del nostro sviluppo». Dal 2011, quando gli istituti di credito hanno chiuso i rubinetti, la Bpvi ha erogato 14 miliardi di euro, il 60% alle imprese.
Nessuno però sa rispondere alla sola domanda che conta: come è possibile che non ci si sia accorti di niente?
L’ispezione della Bce, nel marzo 2015, ha scoperchiato quella che il procuratore del capoluogo berico, Antonino Cappelleri, ha chiamato una “banca deviata”, una struttura interna all’istituto di credito organizzata per «mettere a segno un numero indefinito di reati».
Nel Nord Est che si autopsicanalizza da trent’anni sui motivi della debolezza della sua classe politica, e con la Confindustria locale trasformata in un campo di guerra per bande, la banca era diventata l’asse portante di un sistema alla continua ricerca di un centro. E il suo ex presidente Zonin, abilissimo imprenditore e tessitore di relazioni di rango, ne era il king maker.
«Oggi Vicenza», osserva il giornalista Pino Dato (che si occupa di sport ma è un po’ la memoria storica della città) «è una città impoverita e con una vacanza di potere». E tutti i salotti che a quel potere erano contigui sono sottoposti a scosse telluriche. A partire da quello della Confindustria. Il presidente degli industriali veneti, Roberto Zuccato, siede nel cda dell’istituto di credito, il suo vice nel board della controllata Farbanca. Il presidente uscente di Confindustria Vicenza è indagato con Zonin e altri due consiglieri per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Quello entrante, Antonio Vescovi, è consigliere della controllata Banca nuova.
A pochi giorni dal rinnovo degli incarichi dell’associazione industriali, Antonio Zamperla, membro del direttivo nazionale di Federmeccanica, titolare di una delle prime cinque industrie di parchi di divertimento al mondo, ha inviato una lettera di fuoco al board di viale dell’Astronomia, a Giorgio Squinzi, a saggi e probiviri. Un messaggio chiaro: «Confindustria non si può considerare estranea a tutto ciò che è accaduto». E una richiesta: «Le dimissioni dalle cariche confindustriali di tutti coloro che hanno ricoperto incarichi nella banca». Nei salotti degli industriali non era mai successo nulla di simile.
La missiva non ha ricevuto risposte. I critici lo hanno accusato di strumentalizzazione. «Non si possono criminalizzare tutti quelli che sedevano nel board», puntualizza Ferretto. Ma Zamperla è convinto delle sue ragioni: «Sono rimasto deluso dai miei colleghi, sono dei vigliacchi», dice a pagina99 «Zonin lo faceva capire: chi entra in cda deve fare quello che voglio io, infatti chi gli si opponeva è stato eliminato. Cooptava coloro che ottenevano incarichi in Confindustria per farli diventare suoi uomini. E così si è anche impadronito del giornale».
Il giornale è Il Giornale di Vicenza, il primo quotidiano della città, che la Confindustria controlla, assieme alla principale emittente tv, tramite la società Athesis. Negli anni non sono mancate le critiche di chi considerava questo intreccio di poteri poco armonioso ed esposto a indebite influenze. Una banca, una confindustria, un giornale, una televisione, il capitalismo di relazione che diventa a una sola dimensione.
Il presidente degli industriali veneti, Zuccato, non vuole commentare. Il neopresidente vicentino nemmeno, però ha già annunciato che lascerà la banca. E già questa è una novità.
Gli imprenditori hanno disertato l’assemblea che ha sancito la trasformazione in società per azioni della Popolare. C’era, invece, il sindaco Achille Variati. Ma anche il primo cittadino ha le sue grane. Deve fare i conti con l’emergenza: nel bilancio di previsione per il 2016 il Comune ha stanziato 11,2 milioni di euro a sostegno delle famiglie e delle fasce deboli e già ci si chiede se potranno bastare ad affrontare le nuove povertà originate dalla crisi della Popolare. E poi c’è lo scivoloso versante politico.
La banca era il tesoriere del Comune, il socio fondatore del teatro cittadino, lo sponsor del Vicenza calcio oggi vicino alla retrocessione. Il suo presidente elargiva denaro e otteneva poltrone. Il suo vicepresidente Marino Breganze è tuttora il presidente dell’Accademia olimpica, incaricata della conservazione e della promozione del Teatro olimpico di Palladio, orgoglio e simbolo dell’intera comunità civica.
Dal 2009, poi, Zonin e il suo braccio destro governavano anche la Fondazione Roi, il più importante ente di promozione culturale della città, il primo finanziatore del museo civico di Palazzo Chiericati, patrimonio dell’Unesco. Mecenati dei capannoni che asfissiano il centro e delle chiese e dei palazzi che lo fanno respirare, i due banchieri hanno trasformato la governance dell’ente e hanno investito 29 milioni del suo patrimonio in azioni della Banca popolare di Vicenza. E così il tracollo ha travolto anche la bellezza. Risultato: il presidente della Regione, Luca Zaia, che ha potere di controllo sulle fondazioni, ha schierato gli avvocati, il sindaco invece si è defilato e ha mandato il suo vice in consiglio comunale ad affrontare i critici.
«Un sistema dello scaricabarile», dice Giglioli, che di Variati è stato assessore. «Non può esporsi: è stato troppo vicino a Zonin», confermano persino dalle fila della sua maggioranza.
L’ex padre padrone della Popolare se ne sta rinchiuso nella sua villa, mentre tutto attorno si ridisegnano gli equilibri di potere. E si attende la prova di fuoco della quotazione.
A fine aprile, confermano dal board di via Framarin, dovrebbe iniziare il collocamento delle azioni. Il consigliere delegato Francesco Iorio ha girato le piazze della City e di Wall Street per convincere i fondi di investimento a scommettere su Vicenza. Ma, spiegano dal board della Popolare, attori istituzionali come i fondi pensione investono al massimo lo 0,5%. Per il resto – tra Cariverona che si fa avanti e poi si tira indietro e Cattolica Assicurazioni che ancora non ha sciolto le riserve – le incognite sono tante. C’è poi da superare lo scoglio dell’assemblea del 26 marzo e dunque l’approvazione del bilancio. A gennaio la Consob ha acceso un faro sulla partecipazione in Cattolica Assicurazioni, il valore iscritto risulta superiore alle quotazioni di mercato e Bpvi potrebbe essere costretta all’ennesima correzione. E il fronte degli oppositori all’approdo in Borsa è già sul piede di guerra: «Come fanno a farci votare quel documento, è un’assunzione di responsabilità, bisogna rimandare a giugno», dice Luigi Ugone, presidente dell’Associazione Noi che credevamo nella Popolare di Vicenza. «Mi descrivono come l’uomo del no, ma io sono contento perché c’è chi ha sempre detto sì».