Carlo Antonio Biscotto, il Fatto Quotidiano 27/3/2016, 27 marzo 2016
ALTRO CHE MONETE DEL CALIFFO, A RAQQA LE MULTE SI DEVONO PAGARE IN DOLLARI
Avevano definito il “sistema finanziario capitalista dell’America” una forma di schiavitù e, coerentemente, nei territori occupati, i miliziani dell’Isis, su indicazione del califfo al-Baghdadi, avevano deciso di battere moneta creando il “dinar”. Un dinar equivaleva a 139 euro. Sembrava l’ultimo schiaffo, di grosso impatto simbolico, al potere americano, in particolare, e occidentale, in generale.
Ma le leggi dell’economia sono più forti delle presunte ideologie, in questo caso delle idee promulgate dai jihadisti. I miliziani di Raqqa, roccaforte del Califfato, ora pretendono che le salate multe che sanzionano ogni sorta di violazione alla sharia debbano essere pagate in dollari americani. Eppure non è passato molto tempo da quando circolavano i video dove si vedevano i combattenti dell’Isis che entravano nei negozi e pagavano in dinar d’oro, d’argento o di rame. Ormai, è acqua passata.
La “satanica” economia globale ha avuto la meglio senza sparare un solo colpo d’arma da fuoco e il sogno di “purificare il mondo dalla corruzione di cui il dollaro è il simbolo” per il momento viene rimesso nel cassetto dal califfo e i suoi adepti. Propaganda a parte, già era noto che l’Isis pagava i combattenti e i funzionari del suo apparato in dollari, vendeva il petrolio e il bottino di guerra in dollari e chiedeva il riscatto dei rapiti in dollari. La novità, stando a quanto comunicato da un gruppo di oppositori dello Stato islamico a Raqqa, è che ora anche i civili debbono pagare le multe in dollari. Lo stesso gruppo di oppositori è riuscito anche a diffondere un parziale elenco delle sanzioni: 50 dollari e 80 frustate per chi ripara una parabola satellitare; 25 dollari (a sigaretta) per i fumatori; 25 dollari per le infrazioni al codice della strada; 20 dollari per le donne che infrangono le norme in materia di abbigliamento e 20 dollari per chi non si presenta all’ora della preghiera.
E per coloro che non hanno il denaro a disposizione da versare in contanti, ci sono le punizioni corporali e i centri di “rieducazione”. Un abitante di Raqqa ha commentato tra il serio e il faceto: “Ci sono talmente tante regole che è impossibile non prendere qualche multa. E poi è solo un modo per spremere la popolazione. Gli addetti al controllo del traffico hanno un elenco di targhe automobilistiche da multare comunque, anche se non commettono alcuna infrazione. E le donne della polizia religiosa sono le peggiori”. Il rapporto dei gruppi di opposizione con sede a Raqqa è ancora più esplicito: “Il Califfato ha fatto circolare la voce che creando una sua valuta avrebbe danneggiato l’economia americana, ma la verità è che l’intera organizzazione è costruita su un sistema finanziario fondato sul dollaro”. Inoltre, i continui bombardamenti in Iraq e Siria a opera della coalizione hanno creato seri problemi alle finanze dello Stato Islamico, fino a poco tempo fa considerato la più ricca organizzazione terroristica di tutti i tempi. A gennaio i vertici del Califfato si sono visti costretti a ridurre le razioni e i premi in denaro destinati ai combattenti e a tagliare del 50% i salari dei militanti. La Associated Press ha riferito che l’Isis sta tentando di fare cassa chiedendo appena 500 dollari per ogni prigioniero rilasciato e imponendo ai civili che vivono a Raqqa di pagare le bollette delle utenze in dollari. Finora la propaganda volta a reclutare militanti e combattenti batteva molto sul tasto della qualità della vita, dei salari elevati, delle gratifiche per i figli, delle case e di tutta una serie di privilegi che poco alla volta stanno svanendo. I militari americani sono del parere che le operazioni in corso – fra cui quelle che hanno portato alla morte o alla cattura di elementi di primo piano dell’organizzazione – abbiano notevolmente “ridotto la capacità del Califfato di finanziare le sue politiche e le azioni militari”. È possibile che, ancora una volta, a vincere la guerra sia il biglietto verde.
Carlo Antonio Biscotto, il Fatto Quotidiano 27/3/2016