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 2016  marzo 27 Domenica calendario

PRIMA INGOMBRANTE, POI LUSSUOSA: COSÌ LA RADIO ARRIVÒ NELLE NOSTRE CASE

Le prime radio erano dei veri e propri problemi nelle case di chi riusciva a comprarle. Erano come dei grossi cassetti, abbastanza sgraziati, massicci e ingombranti. Erano ancora pochi quelli che ne avevano già piazzata una nel salotto buono quando, il 23 ottobre 1924, «La Stampa» diede l’annuncio della nascita a Torino dell’Uri, l’Unione Radiofonica Italiana, tra i cui soci c’era anche la Fiat, «per la gestione degli impianti e la diffusione dei programmi radiofonici».
In realtà l’Uri era stata costituita qualche tempo prima, il 27 agosto di quell’anno, e i programmi erano appena stati inaugurati, alle ore 21 del 6 ottobre, dalla voce calda di Ines Viviani Donarelli, che dalla stazione romana di Palazzo Corradi, ai Parioli, leggeva il primo annuncio della neonata radio: «Unione Radiofonica Italiana, stazione di Roma 1 RO, trasmissione del concerto inaugurale». Alla fine, in chiusura della serata, partiranno le note di «Giovinezza».
Da allora, il tempo cominciò a correre, come raccontano alcuni articoli de «La Stampa», che sognavano già addirittura il televisore, come a pagina 3 del 13 marzo 1928: «Quando si potranno acquistare gli apparecchi riceventi di radiovisione? Presto. In meno di 5 anni la televisione sarà un’arte e un’industria». Nel frattempo, a ottobre del 1926, era già cominciata la pubblicità alla radio e il 17 novembre dell’anno dopo l’Uri si trasformò per Regio Decreto nell’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (Eiar). La nuova società aveva una sede a Roma, mentre la direzione generale era a Torino, prima in via Bertola, poi in via Arsenale.
Anche la radio cominciò a diventare un pezzo elegante da piazzare nelle case, con modelli costruiti con legno di pregio fino agli Anni 30, sfruttando la radica dell’impiallacciatura e passando dalla forma di un cassetto a quella di soprammobile e consolle. Con l’avvento della bachelite, che consentiva vari colori e sagome, il design si perfezionò. La radio divenne un oggetto importante: il prezzo di un apparecchio equivaleva allo stipendio mensile medio di un impiegato statale.
Il fascismo ci mise le mani sopra. Le trasmissioni furono poste sotto il controllo del governo tramite il ministero delle Poste e Telecomunicazioni, che nominò 4 consiglieri di amministrazione all’Eiar e impose un abbonamento annuo, da 20 a 180 lire. E mentre proprio a Torino nel 1929 cominciavano i primi esperimenti tv, restavano intatti i misteri sulla potenza di questa invenzione che aveva conquistato il mondo. Come annota Della Corte su «La Stampa» il 28 agosto 1930: «Lo studio dei tecnici è ansiosamente rivolto a svelare le incognite della radio, a disciplinare la sua misteriosa forza, ad asservirla alle necessità dell’uomo...». Era solo l’inizio di una lunga rivoluzione.
Pierangelo Sapegno, La Stampa 27/3/2016