Joan Punyet Miró, Il Sole 24 Ore 27/3/2016, 27 marzo 2016
LO STUDIO DEL NONNO CON SCHELETRI DI RANE
Nel giugno 1975 apriva le porte la Fundació Joan Miró di Barcellona, cinque mesi prima della morte di Francisco Franco. Miró aveva vinto la sua battaglia agli occhi dell’opinione pubblica mondiale e veniva riconosciuto come un artista capace di mantenere il proprio impegno politico, sociale e culturale nei confronti di una società che lottava per aprirsi la strada verso la democrazia in maniera pacifica. Picasso, suo grande amico, era morto in Francia nel 1973 senza aver potuto realizzare il sogno di tornare in una Spagna post-franchista. Miró aveva invece scelto di vivere in Spagna per trentacinque anni sotto il giogo fascista e di fare della propria attività un anti-sistema all’interno di un sistema. La sua nave ammiraglia, la Fundació Miró, sarebbe stata una straordinaria piattaforma di libertà, grazie alla quale Miró seppe contraccambiare con un regalo di incalcolabile valore morale, artistico e patrimoniale l’affetto che la società gli aveva tributato.
Il 20 aprile 1978, quando mio nonno Mirò compì ottantacinque anni, potei entrare nel suo studio accompagnato da nonna Pilar e da mio fratello Teo. Fu l’unica occasione in cui feci visita a Miró nello studio Sert. Udivo lo scricchiolio dei gradini mentre scendevamo lentamente lungo la scala di legno, e la dolce voce di Pilar che chiamava suo marito. Arrivati giù, ricordo che mi affascinò il colore che le sue opere irraggiavano. Non ero che un bambino curioso, ma, pur non potendo capire l’importanza di quel momento, fui sorpreso dalla freschezza, dalla vitalità, dalla purezza e dall’energia che quell’ambiente emanava. Ricordo anche l’odore della pittura acrilica e dell’olio, dell’acquaragia, della benzina e di altri materiali sparsi per lo studio. La “pinacoteca”, composta dagli oggetti più variopinti trovati da Miró durante le sue passeggiate nei dintorni, produceva sensazioni e stimoli derivanti dall’accumulazione di una grande tensione spirituale. Scorrendo i vari oggetti con lo sguardo, vidi che, tra scheletri di rane, serpenti e uccelli, tra conchiglie e sassi, tra insetti e altre cose c’era un pupazzo di plastica che era stato azzannato dai cani e con il quale ero solito giocare durante la mia infanzia. Chiesi subito per quale ragione uno dei miei giochi preferiti fosse stato imprigionato lì e, guardando Pilar con la speranza di ricevere una spiegazione, ottenni in risposta un dolce sorriso che placò la mia curiosità. Per me fu come immergermi in un mondo immaginario, un universo creato da un solo uomo e nel quale solamente lui poteva concedersi la libertà di dare briglia sciolta al gesto, all’impulso e, insieme, all’attacco contro qualsiasi tela, cartone o carta si trovasse per terra o su un tavolo o contro una parete. Le opere di grande formato si trovavano nella parte dello studio più lontana dall’ingresso e attrassero subito la mia attenzione per il colore dei fondi e per la forza del disegno, che conferiva loro una luminosità fresca e frenetica. Tutto l’insieme assomigliava a quello che, a teatro, si sarebbe chiamata una scenografia, ove i quadri più piccoli erano distribuiti ai due lati delle opere monumentali. Ricordo che c’erano gruppi di sei o otto tele di piccolo formato sparse a terra, alle quali Miró lavorava contemporaneamente. Le forme che davano equilibrio alla composizione erano di colore nero; si intuiva, per il resto, che la pittura era stata applicata con pennellate dense e sostanziose. Alcuni colori sembravano essere stati schizzati con l’aiuto del pennello e altri invece stesi con i polpastrelli delle dita. Dovevo muovermi con cautela per non inciampare nei quadri o sbattere contro i tavoli, strapieni com’erano di bottiglie, pennelli e barattoli di pittura. Senza dubbio, uno dei particolari che più mi impressionò fu l’enorme quantità di tele vergini che mio nonno teneva pronte per lavori futuri. Ciò conferma come, nonostante i suoi ottantacinque anni, Miró non si fosse ancora arreso. Era appunto tale necessità fisica, che lo costringeva a una lotta continua contro il proprio malessere, a fortificare, in qualche modo, il suo impegno a non interrompere il proprio lavoro, giorno dopo giorno. Nel 1980, quando Michael Gibson lo intervistò a proposito dei suoi ritmi di lavoro, Miró rispose: «Lavoro alla mattina. Lavoro alla sera. E, quando non lavoro, continuo a pensare al lavoro. Anche quando dormo, continuo a pensarci in forma inconscia».
Nel 1981, Miró firmò gli statuti per la creazione della Fundació Pilar i Joan Miró a Palma di Maiorca, un istituto pubblico, municipale, nato grazie alla generosità di un artista umile e impegnato. Nel suo intervento in occasione della nomina a dottore honoris causa all’Università di Barcellona nel 1979, egli aveva detto: «Quando un artista si esprime in un contesto in cui la libertà è in pericolo, deve trasformare ognuna delle sue opere in una negazione delle negazioni, in una liberazione da tutte le oppressioni, da tutti i pregiudizi e da tutti i falsi valori stabiliti. Quando gli altri attorno a lui si impegnano in ogni modo al servizio in generale degli uomini e in particolare del proprio popolo e della completa realizzazione della sua storia, è necessario che l’artista non si senta separato da tutte queste iniziative né da tutti questi sforzi, e che contribuisca alle une e agli altri con la sua presenza personale e con l’efficacia che la sua opera può avere. Sono contento che in questa sala, già carica di un secolo di storia del nostro Paese, risuonino tali parole di solidarietà umana, di fedeltà alla terra, di dialogo diretto al di là delle frontiere di classe e di collaborazione all’impresa della libertà».
Miró, come artista, è stato oggetto di numerosissimi studi. Come uomo, tuttavia, merita un capitolo a sé, e magari centinaia di capitoli a sé, per la lezione morale che si ricava da ogni suo atto e per il coraggio di ognuna delle sue scelte. Fu, senza dubbio alcuno, una di quelle figure che segnano un’epoca, indipendentemente dal giudizio che si possa dare delle opere d’arte da lui realizzate nel corso della sua vita. Non dobbiamo dimenticare l’esempio che egli ha dato con il suo comportamento solidale e impegnato nel campo della giustizia, della democrazia e della libertà per migliorare le relazioni tra i popoli. Per questa ragione, e senza alcun’altra particolare finalità, vorrei che questo percorso trasversale attraverso la poetica esistenziale e la forza della materia di Miró ci avvicinasse maggiormente alla sua persona.
Joan Punyet Miró, Il Sole 24 Ore 27/3/2016