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 2016  marzo 25 Venerdì calendario

ECCO PERCHÉ IN ITALIA NON SI PAGANO LE TASSE


Partiamo da una buona notizia. Lo scorso anno l’attività anti-evasione dell’Agenzia delle entrate ha fruttato 15 miliardi di euro. Un record storico, salutato con soddisfazione unanime. O quasi. Sarà perché di fisco si occupa ormai da tre decenni, ma Alessandro Giovannini, ordinario di diritto tributario dell’Università di Siena, fa fatica a condividere l’euforia: «L’Agenzia ha fatto un lavoro egregio, ma su 15 miliardi ne vanno tolti almeno cinque di costi amministrativi». Ne restano comunque dieci, un bel tesoretto... «Sì ma oltre la metà, circa sei, derivano da aggiustamenti automatici su dati già dichiarati dai contribuenti». E da dieci passiamo a quattro... «Che è quanto si ricava dalla lotta all’evasione propriamente detta: su 120 miliardi di imposte non versate non mi sembra un dato entusiasmante». Nemmeno la lettura de Il re fisco è nudo (Franco Angeli, pp. 146, 18 euro), il dottissimo pamphlet che Giovannini ha dedicato all’utopia di «un sistema più equo», dispone all’entusiasmo. Eppure a modo suo è rincuorante. Nella battaglia contro l’iniquità della tassazione, la pervasività dell’elusione, l’evanescenza delle multinazionali che incassano dappertutto e non pagano da nessuna parte, abbiamo un alleato importante: come dice Giovannini, «nella Costituzione si può trovare la strada da seguire».
Il suo saggio fa continuo riferimento all’equità. Cosa manca al fisco italiano per essere giusto?
«La Costituzione prevede che la tassazione sia progressiva. Ma il nostro è un sistema sempre più regressivo: in sostanza segue il celebre passo del Vangelo di Matteo secondo cui a chi ha sarà dato, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha».
Eppure i ricchi pagano aliquote fiscali più alte dei meno abbienti...
«In teoria. Ma ci sono tre fattori che neutralizzano questa progressività: il primo è l’evasione fiscale fuori controllo, dal momento che secondo Banca d’Italia ai radar del fisco sfuggono 270 miliardi di redditi legali e ben 170 miliardi di proventi della criminalità organizzata».
E poi?
«Poi c’è l’erosione legale della base imponibile. Pensi solo all’e-commerce, che in Italia oggi vale dodici miliardi di euro, ma ne varrà cinquanta già nel 2020. A differenza degli acquisti nei negozi, gran parte delle transazioni online fanno capo a società estere e non producono reddito tassabile dallo Stato italiano».
Veniamo al terzo fattore.
«La diffusione della tassazione non progressiva ma proporzionale. Se guadagno centomila euro col mio lavoro pago un’aliquota superiore a chi ne guadagna diecimila, ma se li guadagno in Borsa pago la stessa aliquota di chi ne guadagna mille».
Un quadro desolante...
«Sì, ma spesso mascherato da un uso delle statistiche che ricorda i celebri polli di Trilussa: l’Istat ad esempio certifica che nel 2015 la pressione fiscale è stata del 43,3 per cento, in linea con l’Europa. Quello che si sa meno è che la tassazione sulle aziende e i lavoratori autonomi tocca il 63 per cento, contro una media Ue del 41!».
Eppure negli ultimi anni si sono fatti sforzi verso una maggiore equità, penso all’imposta sulle transazioni finanziarie introdotta da Mario Monti.
«La cosiddetta Tobin Tax è servita solo a strappare qualche titolo di giornale. Le eccezioni sono tali e tante che il gettito non supera i 200 milioni di euro all’anno, un’inezia».
Ci arrendiamo. Ma cosa dovrebbe cambiare per rendere più giusto il sistema?
«Va ridotta la pressione fiscale sul lavoro: possibile che nonostante il nostro cronico bisogno di investimenti non ci sia nessuna agevolazione per chi immette soldi freschi in azienda?».
E da un punto di vista più strutturale?
«Va cambiato alla radice il rapporto tra contribuente e amministrazione, e per farlo è indispensabile passare dalla dichiarazione ex post alla determinazione ex ante delle imposte: a inizio anno incontro un funzionario dell’Agenzia e gli comunico quale sarà il mio reddito. Se poi l’annata non va come doveva andare torno dal funzionario e, sulla base di concrete pezze d’appoggio, concordo gli aggiustamenti».
Quali i vantaggi?
«Maggiore stabilità del sistema, rapporto fiduciario con l’amministrazione e soprattutto verifiche in tempo reale, non a cinque o sette anni di distanza come avviene oggi. Sa a quanto ammontano le imposte accertate e non riscosse dal fisco italiano? 475 miliardi di euro».
Impressionante. Ma cosa c’entrano i tempi di verifica?
«Tra accertamenti, contestazioni e dibattimento oggi l’evasione finisce per essere sanzionata anche a dieci anni dai fatti. Con il rischio che nel frattempo l’evasore sia sparito, morto o diventato insolvibile».
Significa che la giustizia fiscale è in crisi come quella ordinaria?
«È in pessime condizioni. Non per nulla da Milano alla Sicilia si moltiplicano le indagini su casi di corruzione nelle commissioni tributarie».
Da cosa dipende?
«Stiamo parlando di contenziosi per 50 miliardi di euro all’anno, e sa chi è chiamato a deliberare su questa cifra colossale? Magistrati onorari part time, reclutati senza concorso e alle dipendenze del ministero dell’Economia. Inutile dire che la Costituzione prevedeva tutt’altro».
La scarsa professionalità è l’anticamera del malaffare?
«Non solo. Dal momento che il giudice tributario può essere chiunque, anche un avvocato o un commercialista, non è raro che due colleghi di studio si incontrino nella stessa aula, uno a difendere, uno a giudicare. A quel punto la contiguità è tale che non c’è bisogno di corrompere per falsare il processo».
Come si cambia?
«Assicurando la terzietà e la professionalità del giudice, ovvero affidando i processi tributari a sezioni specializzate della magistratura ordinaria, come avviene per le cause di lavoro».
Ha una ricetta anche per intercettare il flusso di denaro che si muove nel web?
«Certo, a ogni acquisto di un terminale operante in Italia deve corrispondere un’imposta pagata al fisco italiano. Tecnicamente è molto semplice: basta obbligare gli istituti finanziari a trasmettere all’Agenzia delle entrate i dati delle carte di credito».
Ma così non si rischia il Grande fratello fiscale?
«Ma è il nostro Stato! Quella della privacy è la tipica scusa di chi vuole continuare a eludere ed evadere».