Leopoldo Benacchio, Il Sole 24 Ore 27/3/2016, 27 marzo 2016
LA SORVEGLIANZA DEGLI OCEANI ORA È ATTUATA ATTRAVERSO IL GPS
Il Gps, sistema di posizionamento globale americano, con i suoi 31 satelliti che ruotano assieme alla Terra ed emettono continuamente segnali, ci accompagna ormai in tutte le nostre attività quotidiane. Ci aiuta a trovare una strada o una casa con il navigatore in auto, ci dice dove abbiamo scattato una foto con la macchina fotografica o il cellulare, guida gli aerei e le navi: le sue applicazioni sono moltissime e tutte utili. Eppure ce ne è una nuovissima e fondamentale, trovata e sperimentata da un team di scienziati, anche italiani, che lavorano fra Regno Unito e Stati Uniti. I quali hanno dimostrato come sia possibile sorvegliare e studiare l’attività degli oceani e dei mari utilizzando i segnali del Gps riflessi dalle acque, un’idea che permette di estendere praticamente al 100% la superficie delle acque terrestri sorvegliate e che costa veramente poco rispetto ai metodi oggi in uso.
Come la luce viene riflessa da uno specchio così i segnali emessi dai sistemi Gps - lunghezza d’onda 19 centimetri - colpiscono la superficie degli oceani e vengono riflesse, ritornando nello spazio dove, a 500 chilometri di altezza vengono catturati e misurati.
Sorvegliare e misurare gli oceani è di fondamentale importanza anche perché la superficie del nostro pianeta è ricoperta per oltre il 70 % di acqua. Paolo Cipollini, ricercatore al National Oceanographic Centre (Noc) di Southampton e firmatario della ricerca, spiega come nei primi 3000 metri di oceano, in profondità, sia immagazzinata una quantità di calore pari a quella dello strato di atmosfera che sta sopra l’acqua, ossia uno spessore di 100 chilometri di “aria”. Non solo, l’oceano che noi vediamo come un’unica distesa omogenea è in realtà un sistema molto complesso di correnti, vortici su piccola e grande scala, dalle centinaia di metri a qualche chilometro, che incessantemente trasportano calore da una parte all’altra o addirittura nutrimento dal fondo del mare dal fondo alla superficie, determinando quindi anche l’ecosistema. La fisica, in sostanza, in questi casi incide molto sulla biologia.
Finora sorvegliare i mari e oceani è stato facile, si usano altimetri posti su satellite, come ad esempio il sofisticatissimo Sentinel 3 europeo appena lanciato. Viene spedito un segnale radar che si riflette sulle acque e ritorna al mittente, il tempo intercorso ci dà l’altezza dell’oceano. Questo parametro è fondamentale, e a dir il vero non ce lo aspettiamo proprio, eppure veniamo a sapere che il mare, a causa della differenza della accelerazione di gravità presente nelle varie regioni del pianeta, può presentarsi con delle differenze di altezza anche di molti centimetri, e punte addirittura di due metri negli oceani. Noi non ce ne accorgiamo perché la differenza così importante di altezza si nota solo su lunghezze di centinaia di chilometri, ma è chiaro che questo è uno dei motivi fondamentali per cui i mari sono continuamente in movimento, sia su piccola che su larga scala, due metri di pendenza, anche su mille chilometri di lunghezza, non sono una bazzecola.
Il problema sarebbe risolto se avessimo abbastanza altimetri in orbita, mentre attualmente ce ne sono solo quattro nello spazio, posizione privilegiata per questo lavoro di mappatura topografica delle acque: conosciamo in sostanza con molta precisione solo piccole fette di oceano.
A questo punto entra la ricerca del team di scienziati guidati da Maria Paola Clarizia, dell’Università del Michigan ma che lavora a Southampton e che firma come primo autore il lavoro del gruppo. Sono riusciti a dimostrare, con un ricevitore di prova su un satellite inglese, che è possibile ricevere il segnale Gps riflesso dalle acque e calcolare l’altezza degli oceani, dato di partenza fondamentale per ogni altra analisi. Il risultato è grossolano rispetto all’uso degli altimetri, che danno una precisione di 1 centimetro contro i 10 del nuovo metodo, ma il quadro complessivo è completo e molto economico. In pratica è come guardare un bell’affresco in una chiesa e vedere alcune strisce nitidissime (altimetro) e altre sfuocate (Gps), ma comunque comprensibili. Nasa stessa si è convinta che il metodo è buono e sta per lanciare una costellazione di otto piccoli satelliti, 35 chili per le dimensioni di una lavapiatti, dalla sigla molto ostica Cygnss , che studieranno con questo metodo il fenomeno dei cicloni, vera piaga degli Stati Uniti centrali. La lunghezza d’onda del Gps infatti perfora anche le nubi delle più tremende tempeste.
Leopoldo Benacchio, Il Sole 24 Ore 27/3/2016