Simone Paliaga, Libero 27/3/2016, 27 marzo 2016
LOMBROSO AVEVA RAGIONE: IL DELITTO È NEL DNA
Lombroso è tornato! Proprio quel Cesare Lombroso!
Fino a qualche tempo fa sembrava una vestigia dell’ epoca del positivismo o nel migliore dei casi una buona comparsa in un film steampunk. Stiamo parlando proprio dell’ uomo che credeva di profetare dai tratti del volto di un essere umano il comportamento criminale di cui sarebbe stato capace. Ricordate, i preziosi dettami delle fisiognomica ottocentesca, le descrizioni di L’uomo delinquente nato atavico? Eppure se lui ambiva ad ammantare di scienza le sue analisi, noi non facciamo lo stesso forse in maniera prosaica ogni giorno? Quante volte abbiamo preso le distanze la sera da qualche presunto malintenzionato solo per le sue sembianze fisiche o suoi lineamenti? Non c’è forse un lombrosismo quotidiano di cui noi tutti ci facciamo spesso baldanzosi interpreti?
Eppure Lombroso, piaccia o non piaccia, è uno dei padri della criminologia che tanto di moda va in questi anni. E la sua importanza è tale che l’università di Torino ha pensato bene di inaugurare nel 2009 il Museo di antropologia criminale dedicandolo proprio a lui, a Cesare Lombroso. Siccome le anime belle sono sempre pronte a firmare appelli alla vigilanza contro le opinioni che le inquietano, anche per questo hanno deciso di nuovo di mettersi in azione. E la richiesta di chiusura del museo è subito partita. Malgrado gli assessorati di Comune e Regione si oppongano alla iniziativa delle anime belle turbate esse hanno anche pubblicato un libro contro il padre della criminologia, Cento città contro il Museo Cesare Lombroso. Perché?
Ovviamente perché nell’ idea che esista un rapporto insuperabile tra la morfologia del cranio di una persona e le sue inclinazioni criminali ravvisano dei tratti razzisti. Ma chissà cosa penserebbero oggi che è ai blocchi di partenza una nuova disciplina, la neurocriminologia? Ne parla in un recente libro Adrian Raine. Nel suo L’anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine (Mondadori, pp. 576, euro 28) lo psichiatra e criminologo inglese pensa di ritrovare le basi del comportamento antisociale nelle pieghe del cervello. A supporto della sua tesi mette a frutto le evidenze che si possono trarre dai sistemi di brainimaging, oggi in voga, nel campo delle neuroscienze. Nella propensione al crimine oggi peserebbero, secondo Raine, fattori che non possono essere ridotti al sociale. Certo questa volta non si tratta della disposizione delle fila dei denti né delle forma del cranio né di altre anomalie anatomiche.
Ma ci muoviamo comunque nell’orizzonte dischiuso un secolo fa da Lombroso. Oggi sullo scranno degli imputati non siedono i tratti del volto ma dei geni. Sarebbe il gene
mutato «Mao-A» a interferire con le funzioni dei neurotrasmettitori che disciplinano impulsività e altri comportamenti a rischio. E poi un ruolo lo giocherebbero anche altri protagonisti come i geni «5htt62», «Drd263», «Dat164» e «Drd465» che regolano la produzione di serotonina e dopamina. Se tutto però si fermasse qui rimarremmo ancora nei territori modaioli delle neuroscienze.
L’occulta presenza di Lombroso invece si ritrova con ancora maggior peso quando Raine tenta di interpretare l’attitudine delinquenziale dalla conformazione del cervello. Seguendo lo studioso inglese sembrerebbe che uno sviluppo incompleto della corteccia prefrontale, una disfunzione nella corteccia cingolata posteriore, delle anomalie nell’amigdala o nell’ippocampo potrebbero acuire la possibilità
di inclinazioni criminali. Se qui non siamo a un lombrosismo di ritorno poco ci manca. Solo che è un Lombroso all’ epoca del brainimaging.
Cosa fare con questa marea di dati che lo sviluppo delle tecnologie ci permette di acquisire? Lanciarsi, come in Minority Report di Philip Dick, in arresti preventivi per evitare che si commetta un crimine? Rafforzare sempre di più la società di controllo per monitorare il comportamento di soggetti a rischio? Raine su simili questioni glissa mettendo in luce come non ci sia un automatismo fisiologico anche se sullo sfondo sembra apparire all’ orizzonte un mondo dimentico del libero arbitrio. E soprattutto orfano del cardine della libertà dell’uomo, la responsabilità.
Non trovando risposte, se non ideologiche e pregiudiziali, non ci resta che rendere omaggio al sempre oltraggiato Cesare Lombroso magari leggendo per svago i gialli che qualche mese fa lo hanno eletto a protagonista delle loro vicende come L’enigmatico caso di Cesare Lombroso di Diana Bretherick (Newton Compton) o L’uccisore di Gino Saladini (Rizzoli) o ancora il lavoro a quattro mani di Andrea Vitali e Massimo Picozzi, La ruga del cretino (Garzanti), oppure La scelta di Sigmund di Carlo A. Martigli (Mondadori).